In Romania si racconta che Dio, dopo averla creata, osservò che la Terra si era tanto estesa da non lasciare più spazio alle acque. Non sapendo come porre rimedio, mandò allora l’ape dal riccio, il più astuto di tutti gli animali, per chiedergli consiglio.
Il riccio però si rifiutò di dare il suo aiuto, col pretesto che Dio è onnisciente. L’ape sapeva tuttavia che il riccio ha l’abitudine di parlare da solo e, in effetti, l’udì presto mormorare: «Evidentemente Dio non sa che bisogna fare le montagne e le valli, per lasciare posto alle Acque».
L’ape volò subito da Dio a riferire, e il riccio la maledisse: da quel giorno l’ape avrebbe mangiato solo lordura. Ma Dio benedisse l’ape: i rifiuti che avrebbe mangiato, sarebbero diventati miele.
Presso i Bulgari il mito è ancor più significativo. La Terra si era estesa a tal punto che il sole non riusciva più a illuminarla tutta. Dio allora creò gli angeli e inviò l’angelo della guerra da Satana, per domandargli consiglio. Ma l’angelo della guerra non riuscì neanche ad avvicinarsi al Diavolo. Dio allora creò l’ape e le ordinò di andarsi a posare sulla spalla del Diavolo, per ascoltare le sue parole.
«Oh! che bestia è Dio – mormorava il Diavolo tra sé e sé – non sa che deve prendere il bastone, fare un segno di croce nelle quattro direzioni e dire: Tanta Terra è sufficiente!».
L’ape andò subito a riferire a Dio la soluzione del problema.
In una variante bulgara, Dio aveva fatto la Terra così vasta che il cielo non era sufficiente a coprirla. Dio non sapeva come fare, ma avendo notato che il Diavolo parlava col riccio, mandò subito l’ape ad ascoltarli.
«Dio non sa – diceva il Diavolo – che bisogna prendere un bastone e colpire la Terra con tutta la forza, per fare le montagne e le valli. Solo allora potrà coprire la Terra col Cielo».
Ritroviamo il riccio anche in una leggenda lettone. Dio aveva creato la Terra troppo estesa e non riusciva a farla entrare sotto il Cielo.
Il riccio, che passava in quei paraggi, domandò a Dio la ragione delle sue perplessità. Dio gli raccontò la sua disavventura cosmogonica e il riccio mormorò: «Nulla di grave, basta comprimerla un po’ ed entrerà sotto la volta celeste».
Ebbero origine da questa pressione le montagne e le valli e, per ricompensare il riccio, il Signore gli diede un abito di spine, in modo che nessun nemico potesse toccarlo.
Questo mito si differenzia notevolmente sia dalle tradizioni bibliche, sia da quelle mediterranee. Il Dio, di cui abbiamo visto le difficoltà cosmogoniche, non ha nulla in comune con il Dio creatore dell’Antico Testamento, né con gli dèi creatori e sovrani della mitologia greca.
Anche il paesaggio mitico è del tutto diverso, non ha certo l’ampiezza, la maestosità delle cosmogonie greche e bibliche. Anche qui vi sono le Grandi Acque primordiali, ma, in complesso, scenario e personaggi sono piuttosto modesti: un Dio che crea di malavoglia, per consiglio del Diavolo, e che, senza aiuto, non saprebbe terminare l’opera; un Diavolo più intelligente di Dio, ma che usa inganni infantili (nascondersi un po’ di sabbia in bocca, cercar di spingere Dio nel mare); l’ape e il riccio.
Questo semplice universo mitico non è però privo di significato. Qualunque ne sia l’origine, è certo che deve essere stato assai diffuso fra il popolo e che si deve essere perfettamente adattato a mentalità semplici.
Il mito si può ridurre ai seguenti elementi:
1) le Acque primordiali;
2) Dio che si muove sulla superficie delle Acque;
3) il Diavolo che è presente fin dall’inizio dell’azione, o che Dio incontra in seguito, o che Dio crea involontariamente dalla sua ombra, dal suo sputo, dal suo bastone;
4) la «semenza della Terra», che si trova in fondo al mare e di cui solo Dio conosce l’esistenza e con la quale solo lui è capace di fare il mondo, ma che, per un’ignota ragione, non può o non vuole portare in superficie da solo, ed è costretto ad inviare il Diavolo a cercarla;
5) le tre immersioni del Diavolo e la sua incapacità di prendere la terra in nome proprio;

6) la potenza di Dio, che crea la Terra da pochi granelli di sabbia, o dal fango rimasto sotto le unghie del Diavolo. Ma questa creazione ha qualcosa di «magico» e di «automatico»: la Terra cresce dalla sua «semenza» quasi nel segno del mango trick, come un mango, cioè, che cresce improvvisamente dal seme e produce frutti in breve tempo; la Terra si dilata «automaticamente», contro il volere di Dio, solo perché il Diavolo ha tentato di spingerlo in acqua durante la notte;
7) ciò che in verità sorprende in questo mito è la stanchezza di Dio dopo la creazione del mondo. Dio vuole riposarsi, sente il bisogno di dormire e si addormenta profondamente, come il contadino dopo una giornata di lavoro, tanto che non si accorge di quanto il Diavolo sta tramando. Spesso, in queste tradizioni popolari, Dio è rappresentato in forma antropomorfa, ma, nel nostro caso, la stanchezza e il sonno di Dio non sembrano giustificati, perché Dio non ha quasi lavorato; è il Diavolo, piuttosto, che si è immerso per tre volte (e tuttavia non si addormenta) ed è per «magia» che la terra si è dilatata;
8) questo aspetto negativo e inatteso, presente nella figura di Dio, si aggrava nella seconda parte del mito, quando Dio si riconosce incapace di risolvere un piccolo problema post-cosmogonico e deve domandare consiglio al Diavolo e al riccio. Alla stanchezza fisica, che l’ha costretto a distendersi e dormire, si aggiunge ora una stanchezza mentale; improvvisamente Dio che sembrava onnisciente (sapeva infatti la cosa più importante: dove si trovava la «semenza della Terra» e come creare il Mondo), rivela un’intelligenza stranamente scarsa: benché le sue facoltà creatrici siano ancora intatte (come nella variante bulgara, dove crea gli angeli e l’ape), la sua inerzia mentale sembra essere totale. E non è il solo Diavolo a conoscere la soluzione del problema, ma anche il riccio, una delle creature di Dio (benché nel racconto biblico non si noti mai questo particolare).
Ancor più del «dualismo», sono gli elementi negativi – la stanchezza di Dio, il suo profondo sonno, la sua diminuita intelligenza – che contribuiscono a caratterizzare questo mito rispetto agli altri miti romeni e del sud-est europeo.
Qualunque sia l’origine di questo mito, una cosa ci sembra evidente: il suo carattere drammatico è dovuto più alla passività di Dio e alla sua incomprensibile decadenza, che all’antagonismo del Diavolo. È inutile ripetere che questo Dio non ha nulla a che vedere col Dio creatore e signore dell’universo della tradizione giudaico-cristiana.
Sebbene la vita religiosa di questi popoli dell’Europa sud-orientale sia influenzata dalla religione cristiana, dalla credenza in un Dio trino, nelle leggende cosmogoniche qui considerate, come in altri motivi folklorici, ci troviamo di fronte a un Dio completamente diverso: che soffre della sua solitudine, che sente il bisogno di avere un amico per creare il Mondo, distratto, stanco, incapace di completare la creazione con le proprie risorse.
Si può, piuttosto, paragonare questo Dio al deus otiosus di tante religioni «primitive», nelle cui leggende Dio, dopo aver creato il Mondo e gli uomini, si disinteressa della sorte del Creato e si ritira in Cielo, lasciando che un altro Essere soprannaturale o un demiurgo perfezioni la sua opera.
Non si tratta necessariamente di una sopravvivenza di tempi remoti, quanto piuttosto di un processo realizzatosi assai più recentemente. In altre parole, è possibile che i caratteri negativi, presenti nei nostri miti cosmogonici, siano l’espressione popolare, recente, di un deus otiosus, di un Dio che si stanca dopo aver creato il Mondo e che quindi non è più al centro del culto.
Bisogna aggiungere che il motivo del «Dio lontano» ricopre un ruolo centrale nel folklore romeno ed è rintracciabile anche presso altri popoli dell’Europa sud-orientale.
Secondo queste leggende, in origine Dio scendeva ogni tanto a passeggiare sulla Terra in compagnia di san Pietro, ma, per i peccati degli uomini, rinunciò a queste visite e si ritirò definitivamente in Cielo. L’allontanamento di Dio trova la sua immediata giustificazione nella depravazione dell’umanità. Dio si ritira in cielo perché gli uomini hanno scelto il male e il peccato.
Così il mito esprime l’incompatibilità fra Dio e il male, fra Dio e l’umanità che si è macchiata del peccato.
(Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan)