Se nasconderai il tuo volto, verranno meno,
toglierai loro lo spirito, morranno
e ritorneranno nella polvere.
Manderai il tuo spirito e saranno creati,
e rinnoverai la faccia della terra.
(Salmo 103: 29-30)
Che ne sarà più di noi, quando avremo talmente rimosso il «suo volto», da doverne parlare nella più astratta delle astrazioni – dio?
Quando più non la riconosceremo, l’Immagine Matrice – l’immagine in cui ci si stampò il Volto del nostro primo «doppio», l’immagine della Prima Preda che ci predò, del primo narciso che ci si specchiò – quando l’avremo rinnegata tante volte quante il gallo avrà voglia e fiato di cantare, essa diventerà una pietra, e su questa Pietra Santa ci saranno fondazioni, e sorgeranno templi. Templi vasti quanto l’oblio in cui avremo facoltà di seppellire la Prima libidine, la più naturale e ingenua che ci fu «inviata».
Cos’è un’«inviata» senza volto, cosa un dio, o peggio ancora una dea, che non si vede?
Ne resterà, dicono, lo spirito.
Così almeno lascia intendere il Salmista. Forse l’Immagine rimossa da qualche parte si accaserà nel respiro di chi l’avrà rinnegata. Forse andrà su e giù per la sua voce. Ma lui, il san Pietro di turno, non saprà più di chi è il peso della croce che porta «a testa in giù».
Respirerà, sì: respirerà … ma nella polvere. E ogni sua parola, di polvere sarà fatta. Il respiro, ansimando, andrà su e giù in cerca dello stupore che ne scandì il primo diesis, nella polvere cercando le impronte dei piedi della sua Scordata. E come un pellegrino ambulerà intorno al tempio del suo astratto dio, tra un giro e l’altro domandandosi: «ma lei che fine ha fatto? la mia antica Pleiade quale sentiero ha preso?».
I Maestri sanno che respiriamo polvere perfino nei ricordi. Sanno che a ogni parola che parliamo, la nostra voce è costretta a mangiare la polvere della sua più antica Credenza. Ecco perché consigliano di farla bere alla fonte delle Acque: per mettere un «vestito» al nostro respiro.
Ma per andare alla fonte a dissetarsi e rivestirsi, da che parte si va?
Nella polvere troverai le tracce – essi dicono. – Sta a te riconoscerle tra le confuse impronte dei mille e mille pellegrini che ti hanno camminato avanti nel deserto! Nella polvere dei libri – dicono – sotto il chiacchiericcio dei mille e mille racconti, sei tu che devi ritrovare la parola delle tue «chiare fresche e dolci acque».
Sono partito alla ricerca, ormai non ricordo più da quando. Ogni giorno però nel deserto un vento diverso ha soffiato, e ogni secolo sopra le dune un nuovo dio ha imperato, e ogni istante il suo soffio ha «rinnovato la faccia della terra».
Maestri, come faccio a ritrovare le tracce, se la polvere, da un momento all’altro, cambia il Volto del Deserto? Se a ogni parola la mia voce s’affida a una metonimia, come posso io, modesto grammatico, tenermi saldo a una sola Metafora? Se lo Stesso pioppo un giorno lo chiamo «Noè ubriaco», e il giorno dopo «Torre di Babele», come posso io immaginarmi una Mappa?
Si rinnova ogni giorno il mio umore. Ogni istante sono diversamente umido. A volte, addirittura, patisco la siccità.
Dov’è la fonte? – ho domandato insistente ai Maestri.
Ma essi hanno taciuto. Ho visto i loro volti contrarsi in una smorfia, quasi a significarmi la loro impotenza a darmi la sia pur minima indicazione. I Santi tacciono.
Due di loro, non so perché commossi al caso mio, mi hanno dato però un indizio. Un fiorentino e un andaluso, non so perché inteneriti alla mia sorte, mi hanno «cifrato», ciascuno nel suo idioma, lo stesso indizio. E io non so perché lo passo ora al primo pellegrino spaesato che si trova a passare da queste parti.
«Non piangere», mi hanno suggerito. Non piangere è il nome della Fonte. Se non piangi, la troverai.
(Ceccardo il Vecchio, Opus imperfectum ad Mattheum)