Ibn ‘Arabî – Quella notte alla Mecca

Il mio sentimento e il tuo sentimento
sono là, nell’oceano del Racconto,
un solo e unico rivolo.
Perché ci succede questo
se non per scioglierci qui
nell’acqua di quella conoscenza lì?

Mecca-notte

Una notte, stavo girando attorno alla Ka’ba, il momento era piacevole quando, all’improvviso, mi assalì un turbamento, uno di quelli che mi capitavano già da tempo. Perciò mi allontanai dal terreno lastricato perché c’era gente, e presi a camminare sulla polvere, quando mi tornarono alla mente certi versi che mi misi a recitare a voce alta, facendo sì che non solo io li udissi, ma anche chi casomai mi fosse stato accanto:

Oh, se sapessi se esse sanno di quale cuore furono sovrane!
E se sapesse il mio cuore quale sentiero di montagna hanno preso!
Saranno esse sane e salve, o sono morte?
Rimangono perplessi i Signori d’Amore e nell’Amore confusi!

D’un tratto mi sentii toccare sulla spalla da una mano più morbida della seta, al che mi voltai ed ecco [di fronte a me vedo] una giovane schiava bizantina!
Non avevo mai trovato volto più bello, né eloquio più dolce, né fanciulla più cortese di lei, né idea più amabile, né allusione più sottile, né parola più arguta della sua; ella superava gli uomini del suo tempo in ingegno, attitudine, bellezza e conoscenza.
Mi disse: «O mio signore! Com’è che hai detto?». E io a lei:

Oh, se sapessi se esse sanno di quale cuore erano sovrane!

E lei a sua volta: «È strano da parte tua! Come? tu, il sapiente del tuo tempo, dici simili cose! Non è vero che ogni cosa posseduta è cosa conosciuta? Si possiede forse qualcosa finché non se ne ha coscienza? E il desiderio dei sensi non è forse il presentimento di qualcosa che ancora non è [in nostro possesso e che quindi ancora non si conosce]?
La via [che dal desiderio conduce al possesso cosciente di qualcosa] a tracciarla è [la parola di] una lingua che sia sincera e spontanea. E perciò [ti chiedo:] può un sovrano [della parola sincera e spontanea] dire simili cose? [Può un fedele passaparola dire che questo è quanto Amore gli «ditta dentro»?]. E dimmi, mio signore: poi cosa hai detto?».
E io:

Oh, se sapesse il mio cuore quale sentiero di montagna esse hanno preso!

Ed ella disse: «O mio signore! Quel tratto di strada che va dal pericardio al cuore è sempre un’incognita finché uno non l’attraversi. E [dimmi:] com’è, la tua analogia non ambisce forse proprio a ciò a cui non si può arrivare se non dopo averne preso coscienza? La via, la traccia una lingua che sia sincera e spontanea. Com’è possibile, mio signore, che la tua metafora scada in simili idiozie? E cosa hai ancora detto?».
E io:

Saranno esse sane e salve o son morte?

E lei: «Quanto ad esse, sono salve; tuttavia ti domando ed è necessario che tu a te stesso rivolga la domanda: sei vivo o sei morto, mio signore? E cos’hai ancora detto?».
E io:

Rimangono perplessi i Signori d’Amore e nell’Amore confusi!

TheodoraE lei esclamò dicendo: «O che bella novità! Com’è che all’innamorato resta qualcosa di cui essere perplesso, quando invece lo stato indotto da Amore è di un totale intorpidimento dei sensi, di una perdita della ragione e di una tale confusione mentale per cui chi da Amore è dominato non può fare a meno, prima o poi, di perdersi ? [e dimmi:] dov’è che ancora ci può essere una perplessità? e cosa resta di cui essere [ancora] perplessi? La via, la traccia una lingua che sia sincera e spontanea; [dimmi:] si può considerare appropriata la tua analogia?».

[Ero così in imbarazzo, mi sentivo nudo dinanzi a lei, che seppi a malapena farfugliare qualcosa.] Le chiesi: «Cugina, come ti chiami?».
Mi disse: «Frescura degli occhi».
«Dei miei!», soggiunsi io.
Un attimo dopo, mi salutò e se ne andò.
Fu solo allora [solo dopo che se ne fu andata] che la riconobbi e che divenni suo [inseparabile] compagno, e in sua compagnia [nel corso degli anni] sono stato illuminato intorno a certe irripetibili sottigliezze relative a tutt’e quattro i tipi di conoscenza.

Commento
«Oh se sapessi se esse sanno»: con «esse» si allude alle intuizioni più profonde che hanno luogo nella stazione più intima della mente, là dove sgorga la sorgente più dolce dei nostri desideri: sorgente per la quale gli spiriti vanno in estasi e alla quale anelano i divini agenti [gli attori cioè del nostro teatro mentale inconscio].
«Di quale cuore erano sovrane»: si allude qui al cuore mohammadiano perfetto, in quanto immune da legame con le stazioni, malgrado la dominazione che su di esso esercitano le più intime intuizioni [che in quelle stazioni gli si schiudono].

[Domanda qui il poeta:] ma com’è che, ora che lui [queste intuizioni] le cerca, esse non vengono più a essere sue sovrane?
Va da sé che esse non ne sanno nulla, perché le intuizioni [non rispondono a una chiamata della coscienza, ma] dipendono dal cuore [e il nostro cuore è fatto in modo] che può rendersele visibili solo nella misura in cui le comprende, per cui, quel che nel cuore di volta in volta muta e si rinnova, è sempre lo Stesso Intuito che il cuore ama e desidera.

islamic-preghiera

«E se sapesse il mio cuore quale sentiero di montagna (shi’b) hanno preso!»: per shi’b si intende la strada che porta al cuore, perché i sentieri (shi’âb) sono le vie che portano su per i monti.
Una volta che queste intuizioni profonde sono svanite dalla mia mente, capisci tu [cuore mio] quale strada presero i cuori di quanti gnostici per tali sentieri si siano avventurati?

L’uso di shi’b suggerisce in particolare l’immagine [del sentiero] di montagna: la montagna [che ai sentieri mutevoli] funge da sostegno immutabile, simboleggia la stazione mentale [più intima], in quanto essa è immutabile a differenza degli stati [mentali, che sono i sentieri per cui si scala la montagna]; se e quando questi stati [mentali] danno la sensazione di immutabilità e permanenza, è solo perché essi affluiscono in continuazione nei cuori.

«Saranno esse sane e salve o sono morte?».
Queste intuizioni sono profonde, in quanto non hanno esistenza al di fuori [dell’intimità] di chi le intuisce, così come le stazioni mentali non hanno esistenza [conscia] finché uno [nella sua mente] non vi stazioni. Eppure, [ogni stazione deve essere già nella mente prima che la mente la visiti e ne prenda coscienza, perché] se non ci fosse stazione, non ci sarebbe neanche modo di stazionarvi [dal che si deduce che le stazioni mentali godono islamic-uccelli-paradisodi esistenza inconscia a priori, così come ne gode pure il soggetto reale di un’intuizione, dal momento che] se non ci fosse lui a intuire, come potrebbe esserci una qualunque intuizione di cui solo a posteriori prendiamo coscienza d’averla intuita?
Per cui la loro «morte» [l’assenza d’intuizioni] avviene solo se e quando l’intuitivo [inconscio] è latitante. È quel che si intende con «saranno esse sane e salve o sono morte?».

«Rimangono perplessi i Signori d’Amore e nell’Amore confusi!»: dal momento che Amore reclamava una cosa e insieme il suo contrario, l’amante è rimasto perplesso e confuso. Infatti, uno dei suoi desideri è di rispettare la volontà dell’amato anche se nel contempo smania di accoppiarsi.
Per cui, qualora l’amato voglia la separazione, l’amante, posseduto da Amore, è messo alla prova coi due contrari, che altro non sono che i suoi due [simultanei] «amati». Questa è la perplessità che è inseparabile da Amore e in cui s’imbatte chiunque sia da Amore segnato.

(Ibn ‘Arabî, L’interprete degli ardenti desideri: Prologo)

***

Le intuizioni sono sempre a portata di mano, e gli stessi desideri sono un flusso continuo, un fiume che non smette mai di scorrere. E allora com’è che ci succede di essere assetati e di patire la mancanza d’Acque?
Non dipende – dice qui il poeta – dalle «regine» della nostra mente: esse ci sono sempre e comunque. Ci sono sempre Signore del desiderio, siamo piuttosto noi che manchiamo loro, che ci sottraiamo e ci tiriamo indietro!
E allora com’è?

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Nasser Ovissi – La suonatrice

È che dipende dal filtro che il nostro cuore usa per portarle a giorno. Nella notte fonda dei suoi abissi il cuore «intravede» soltanto quello che comprende, interpreta solo quei ruoli che, in quel momento, è capace d’interpretare. Se non «vede» sovrane, è perché non è sovrano di se stesso.
E solo se non è sovrano di se stesso, piange e si lamenta, a vanvera, dell’assenza di regine sul trono della sua immaginazione. Piange, capisci?, sulla soglia del paradiso ove «ogni uomo è felice»!

Una dopo l’altra, le regine non cessano mai di andare e venire – anche se il cuore non le avvista, esse ci sono: sono le forme di apparizione che nuotano nei nostri oceani inconsci. Sono sempre là: sono gli occhi del nostro, mai appagato, narcisismo che non riescono a vederle.
Le Ninfe vanno e vengono dalla nostra immaginazione: però, appena le desideriamo fuggono via spaventate. Solo una non fugge. Di tutta la Pleiade solo una Stella resta come guida al pellegrino «angosciato» dall’assenza: qui nei panni della Schiava Bizantina, altrove in quelli di Beatrice, resta però per rivolgergli parole «severe», parole «intransigenti».

Le Apparizioni su questo non transigono: il visionario, se davvero vuole «vederle», il sapiente gnostico se veramente vuole «saperle», deve smetterla di piangere, perché è il suo pianto a trattenerlo sulla soglia del paradiso.