La tradizione ermetica in lingua araba ci insegna che la Natura Perfetta è il compagno celeste e la Guida di luce del Saggio. Per comprenderne il ruolo e la manifestazione, è necessario ricostruire l’antropologia con cui essa è solidale, un’antropologia il cui eroe è «l’uomo di luce» che, schiavo delle tenebre, se ne libera. L’intera ideologia e l’intera esperienza centrate sulla manifestazione della Natura Perfetta presuppongono, dunque, la nozione dell’uomo di luce e dell’avventura cosmica da lui vissuta.
Solo allora capiremo come si lega la coppia, l’unità dialogica dell’uomo di luce e della sua Guida.
La nozione di «uomo di luce» (φωτεῖνος ἄνθρωπος) compare nei documenti ermetici che ci sono stati trasmessi grazie a Zosimo di Panopoli (III secolo), il celebre alchimista la cui dottrina medita le operazioni metallurgiche reali come tipi o simboli di processi invisibili, di trasmutazioni spirituali.
Questa dottrina rinvia a uno gnosticismo cristiano in essa rappresentato dal «Libro degli Ebrei», e dall’altro a un platonismo ermetizzante rappresentato dai «Libri santi di Ermes».
Comune agli uni e agli altri è un’antropologia che presenta l’idea dell’uomo di luce nel modo seguente: vi è l’Adamo terrestre, l’uomo esteriore carnale (σάρκινος ἄνθρωπος) assoggettato agli Elementi, alle influenze planetarie e al Destino (le quattro lettere del nome ADAM «cifrano» i quattro punti cardinali dell’orizzonte terrestre) – e vi è poi l’uomo di luce (φωτεῖνος ἄνθρωπος), l’uomo spirituale nascosto, polo opposto dell’uomo corporeo: φῶς (phôs).
Un’omonimia, dunque, attesta l’esistenza dell’uomo di luce anche nella lingua: φῶς, la luce, e φώς, l’uomo, l’individuo per eccellenza (l’eroe spirituale corrispondente in questo senso al persiano javânmard).
Adamo è l’archetipo dell’uomo di carne; Phôs (il cui nome proprio personale fu conosciuto soltanto dal misterioso Nicotheos) è l’archetipo, non degli uomini in generale, ma degli uomini di luce (φῶτες).

Phôs preesisteva, innocente e tranquillo, in Paradiso; gli arconti lo convinsero con un’astuzia a rivestire l’Adamo corporale, quell’Adamo che, spiega Zosimo, è chiamato dai Greci Epimeteo, e ricevette da Prometeo-Phôs, suo fratello, il consiglio di non accettare i doni di Zeus, ovvero il legame che assoggetta al Destino, alle potenze di questo mondo.
Prometeo è l’uomo di luce che è orientato e che orienta alla luce, perché segue la propria guida di luce. Non lo possono udire coloro che hanno il solo udito corporeo, perché sono assoggettati alla potenza del Destino e alle potenze collettive; i soli a intendere la supplica e il consiglio sono coloro che hanno un udito spirituale, ovvero coloro che hanno sensi e organi di luce.
Non è solo in Zosimo che si raccolgono precisazioni sulla Guida di luce, ma anche negli gnostici a cui egli fa riferimento.
È infatti l’uomo di luce a parlare con le labbra di Maria Maddalena quando ella assume, durante i colloqui iniziatici del Risorto coi suoi discepoli, il ruolo assegnatole nel libro della Pistis Sophia, il «Nuovo Testamento» della religione dell’uomo di luce:
La potenza che è scaturita dal Salvatore, e che è adesso l’uomo di luce che è dentro di noi … mio Signore! Non soltanto l’uomo di luce in me ha orecchi, ma la mia anima ha udito e compreso tutte le parole che tu hai pronunciato … L’uomo di luce in me mi ha guidata; egli si è rallegrato e ha palpitato in me, come se desiderasse uscire da me e passare in te.
(Pistis Sophia, 189. 1: 12; 206. 1: 33; 221. 1: 30)
Allo stesso modo in cui Zosimo oppone da un lato Prometeo-Phôs e la sua guida di luce che è il «figlio di Dio», e dall’altro l’Adamo terrestre e la sua guida, l’Antimimos, il contraffattore, così nel libro della Pistis Sophia: «Sono io – dichiara il Risorto – ad avervi apportato la potenza che si trova in voi, emanata dai dodici salvatori del Tesoro di Luce».
Grazie alla stessa alternanza e reciprocità, che nel sufismo farà del «testimone celeste» allo stesso tempo il Contemplato e il Contemplante, l’uomo di luce appare sia come Guida che come Guidato.
Basta questa communicatio idiomatum [«comunione linguistica»: essi parlano la stessa lingua] ad avvertirci che la bi-unità, l’unità dialogica, non può essere l’associazione di Phôs e dell’Adamo carnale, che ha invece tutt’altra guida [che parla tutt’altra «lingua»]. La luce non entra in composizione con la tenebra demoniaca, prigione di Phôs che lotta per separarsene, Tenebra che tornerà alla sua negatività originaria. La sizigia, la coppia di luce, è formata da Prometeo-Phôs e dalla sua guida, il «figlio di Dio».
Viene qui precisata una struttura che si è tuttavia trovata esposta a equivoci d’ogni tipo. La «potenza che si trova in voi, in ognuno di voi», non può essere una guida collettiva, una manifestazione e un rapporto collettivamente identico per ognuna delle anime di luce. Né può essere il macrocosmo o l’Uomo Universale ad assumere il ruolo di controparte celeste di ogni microcosmo.
L’infinito prezzo attribuito all’individualità spirituale rende inconcepibile che la sua salvezza consista nel farsi assorbire in una totalità, sia pure mistica.
È importante osservare che questa analogia di rapporti presuppone quattro termini. È questo, in fondo, ciò che l’angelologia della gnosi valentiniana ha espresso in modo ammirevole: gli Angeli di Cristo sono Cristo stesso, perché ogni Angelo è Cristo rapportato all’esistenza individuale. Ciò che Cristo è per l’insieme delle anime di Luce lo è ogni Angelo per ciascuna anima.
La relazione costitutiva del pleroma di luce si riproduce tante volte quante sono le diadi di questo tipo.
{ (Cristo : totalità delle Anime di luce) = (Cristo-Angelo : anima individuale) }
Questa relazione è così fondamentale da ritrovarsi nel manicheismo, e da permetterci di concepire nella «filosofia orientale» di Sohrawardî il rapporto tra la Natura Perfetta del [singolo] mistico e l’Angelo archetipo dell’umanità (identificato con lo Spirito Santo, l’Angelo Gabriele della rivelazione coranica, l’Intelligenza agente dei filosofi avicenniani).
Ciò che questa Figura [dell’Angelo dell’umanità] è per l’insieme delle anime di luce da essa stessa emanate, lo è rispettivamente ogni Natura Perfetta per ciascuna anima.
Sono i testi ermetici in lingua araba sulla Natura Perfetta, che ci portano a concepire questo rapporto.
Tra questi testi il più importante oggi conosciuto è l’opera attribuita a Majrîtî, il Ghâyat al-Hakîm, «La meta del Saggio», opera redatta senza dubbio nell’XI secolo, ma i cui materiali sono molto più antichi perché ci fanno conoscere in dettaglio la religione e il rituale dei Sabei di Harrân.
Anche qui la Natura Perfetta è descritta come «Angelo del filosofo», come sua iniziatrice e precettrice, e infine come oggetto e segreto dell’intera filosofia, figura dominante della religione personale del Saggio.
La descrizione che ne abbiamo conserva un tratto fondamentale: la Natura Perfetta può manifestarsi «in persona» soltanto a colui la cui natura è perfetta, ovvero all’uomo di luce; il loro rapporto è un unus-ambo, in cui ognuno dei due assume simultaneamente la posizione di io e tu, di immagine e di specchio: la mia immagine mi guarda col mio stesso sguardo, e io la guardo col suo stesso sguardo.
La prima cosa che devi fare verso te stesso è meditare attentamente la tua entità spirituale (rûhânîyato-ka, «il tuo angelo») che ti governa e che è associata al tuo astro, ovvero la tua Natura Perfetta, quella che il saggio Ermes menziona nel suo libro dicendo: quando il microcosmo che è l’uomo diviene di natura perfetta, la sua anima è allora l’omologo del sole fissato in cielo, che illumina tutti gli orizzonti coi suoi raggi.
In modo simile la Natura Perfetta sorge nell’anima; i suoi raggi colpiscono e penetrano le facoltà degli organi sottili della saggezza, e le attirano facendole innalzare nell’anima allo stesso modo in cui i raggi del sole attirano le energie del mondo terrestre e le fanno salire nell’atmosfera.
(Pseudo-Majrîtî, Ghâyat al-Hakîm, p.193)
[…] Ogni racconto che evoca il raggiungimento della Natura Perfetta presenterà dunque una scenografia di iniziazione, sia essa in sogno o nello stato di veglia.
La Natura Perfetta viene raggiunta al centro, ovvero in un luogo pieno di tenebre che viene a illuminarsi di una pura luce interiore. È così che si legge nel racconto che fa Ermes di se stesso e del suo «viaggio» […]

In questo sforzo verso il centro, verso il polo e verso le «Tenebre al di là del polo», si manifesta all’improvviso la Guida di luce, la Natura Perfetta. Essa inizia al gesto che porta la luce in questa Notte: l’estrazione dell’Immagine che è la prima, la più «arcaica» rivelazione dell’Absconditum.
Quando l’iniziato ha messo la lampada in un cristallo, come gli indica di fare la Natura Perfetta, egli penetra nella camera sotterranea, e lì vede uno shaykh, che è Ermes e che è la sua propria immagine, seduto su un trono con una tavoletta di smeraldo tra le mani. La tavoletta ha un’iscrizione in arabo, il cui equivalente latino sarebbe: hoc est secretum mundi et scientia Artis naturae.
La sizigia dell’uomo di luce e della sua Guida di luce si stabilisce dunque facendo di Phôs il «portatore di luce», φωσφόρος, perché a lui e attraverso di lui la Natura Perfetta, sua guida personale, rivela il segreto che essa è in sé: il segreto di luce dell’inaccessibile Notte divina.
La loro unione in forma di sizigia è dunque così intima che lo stesso ruolo viene assunto, alternativamente e persino simultaneamente, da Ermes e dalla sua Natura Perfetta.
(Corbin, L’uomo di luce nel sufismo iraniano)