Non c’è che, da una parte, una produzione sociale di realtà, e dall’altra, una produzione desiderante di fantasma.
Tra queste due produzioni non si stabilirebbero che legami secondari di introiezione e di proiezione, come se alle pratiche sociali si abbinassero pratiche mentali pratiche mentali interiorizzate, oppure come se pratiche mentali si proiettassero nei sistemi sociali, senza che le une intacchino mai le altre.
Fintantoché ci accontentiamo di stabilire un parallelo tra il danaro, l’oro, il capitale e il triangolo capitalistico da una parte, e la libido, l’ano, il fallo e il triangolo familiare dall’altra, ci abbandoniamo a un piacevole passatempo; ma i meccanismi del danaro restano del tutto indifferenti alle proiezioni anali di coloro che lo maneggiano.
Il parallelismo Marx-Freud resta del tutto sterile ed indifferente, mettendo in scena termini che si interiorizzano e si proiettano l’uno nell’altro senza cessare di essere estranei, come nella famosa equazione oro = merda.
In verità, la produzione sociale è unicamente la produzione desiderante stessa in condizioni determinate.
Noi diciamo che il campo sociale è immediatamente percorso dal desiderio, che ne è il prodotto storicamente determinato e che la libido non ha bisogno di alcuna mediazione o sublimazione, di alcuna operazione psichica, di alcuna trasformazione, per investire le forze produttive e i rapporti di produzione.
Non c’è che desiderio e socialità, e nient’altro.
Anche le forze più mortifere e repressive della riproduzione sociale sono prodotte dal desiderio, nell’organizzazione che ne deriva in tale o talaltra condizione che dovremo analizzare.
Per questo il problema fondamentale della filosofia politica resta quello che Spinoza seppe porre (e che Reich ha riscoperto): «perché gli uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della loro salvezza?». Come si arriva a gridare: «ancora più imposte, meno pane!».
Come dice Reich, il sorprendente non è che della gente rubi, che altri facciano sciopero, ma piuttosto che gli affamati non rubino sempre e che gli sfruttati non facciano sempre sciopero: perché degli uomini sopportano da secoli lo sfruttamento, l’umiliazione, la schiavitù, al punto di volerle non solo per gli altri, ma anche per se stessi?
Mai Reich è pensatore così grande come quando rifiuta di invocare un misconoscimento o un’illusione delle masse per spiegare il fascismo, e reclama una spiegazione tramite il desiderio, in termini di desiderio: no, le masse non sono state ingannate, hanno desiderato il fascismo in tal momento, in tali circostanze, ed è questo che occorre spiegare, la perversione del desiderio gregario.
Reich tuttavia non riesce a dare una risposta sufficiente, perché a sua volta ripristina quel che stava abbattendo, distinguendo la razionalità così com’è o dovrebbe essere nel processo della produzione sociale, e l’irrazionale nel desiderio, il secondo soltanto essendo di competenza della psicoanalisi.
Riserva allora alla psicoanalisi la spiegazione del «negativo», del «soggettivo» e dell’«inibito» nel campo sociale. Si riconduce necessariamente a un dualismo tra l’oggetto reale razionalmente prodotto, e la produzione fantastica irrazionale. Rinuncia a scoprire la comune misura o la coestensività del campo sociale e del desiderio.
Il fatto è che, per fondare veramente una psichiatria materialistica, gli mancava la categoria di produzione desiderante, cui il reale fosse sottoposto tanto nelle forme dette razionali che in quelle razionali.
L’esistenza massiccia di una repressione sociale relativo alla produzione desiderante non intacca per nulla il nostro principio: il desiderio produce del reale, o anche: la produzione desiderante non è altro che la produzione sociale.
Non si tratta di riservare al desiderio una forma particolare d’esistenza, una realtà mentale o psichica che si opporrebbe alla realtà materiale della produzione sociale.
Le macchine desideranti non sono macchine fantasmatiche o oniriche, che si distinguerebbero dalle macchine tecniche e sociali, e che si affiancherebbero ad esse. I fantasmi sono piuttosto espressioni secondarie, che derivano dall’identità di due sorte di macchine in un ambiente dato.
Così il fantasma non è mai individuale; è fantasma di gruppo, come ha saputo mostrare l’analisi istituzionale.
E ci sono due sorte di fantasmi di gruppo, perché l’identità può essere letta nei due sensi, a seconda che le macchine desideranti siano prese nelle grandi masse gregarie che esse formano, o a seconda che le macchine sociali siano ricondotte alle forze elementari del desiderio che le formano.
Può dunque capitare, nel fantasma di gruppo, che la libido investa il campo sociale esistente, anche nelle sue forme più repressive; oppure al contrario che essa proceda a un contro-investimento che innesta sul campo sociale esistente il desiderio rivoluzionario (le grandi utopie socialiste del XIX secolo, ad esempio, funzionano non come modelli ideali, ma come fantasmi di gruppo, cioè come agenti della produttività reale del desiderio che rendono possibile un disinvestimento o una «disistituzione» del campo sociale attuale, a profitto di un’istituzione rivoluzionaria del desiderio stesso).
Ma, tra le due, tra le macchine desideranti e le macchine sociali tecniche, non c’è mai differenza di natura. C’è, sì, una distinzione, ma solo una distinzione di regime, secondo rapporti di grandezza.
Sono le stesse macchine, eccettuato il regime; ed è quel che mostrano i fantasmi di gruppo.
(Deleuze-Guattari, L’anti-Edipo)