«Ah, signore – domandò la donna – dormiste dunque nel castello del ricco Re Pescatore?».
«Damigella, per il nostro Salvatore, non so se è re o pescatore, ma è molto saggio e cortese. Dirvi di più non saprei, se non che due uomini trovai iersera tardi, assisi in una barca che lentamente navigava. Uno dei due uomini remava, mentre l’altro pescava all’amo. Questi mi indicò la propria casa e là m’ospitò per la notte».
«Bel signore – dice la damigella – sappiate che è re, ve lo posso ben dire, ma in battaglia fu ferito e storpiato sì tristamente che perse l’uso delle gambe. Si dice che fu un colpo di giavellotto diretto alle anche a fargli quella ferita. E non ha cessato di soffrirne. Soffre ancora e non può montare a cavallo. Allora, quando vuol distrarsi, si fa portare su una barca e va pescando all’amo: per questo è detto il Re Pescatore. Così si svaga, che non può far altro esercizio. Cacciare nei campi o agli uccelli acquatici non saprebbe. Ma ha sempre accanto a sé i suoi falconieri e i suoi arcieri e i suoi cacciatori che tirano con l’arco nella foresta. Per questo gli piace soggiornare qui, ché trae grande diletto dalla sua terra. Nessun altro posto gli converrebbe meglio. Vi fece così costruire un castello degno di un re potente».
«Damigella, in fede mia voi dite il vero! Ieri sera provai gran meraviglia quando gli fui condotto davanti. Mi tenevo un po’ in disparte e lui mi disse di avvicinarmi e di sedergli accanto. E mi pregò di non scorgere segno di orgoglio nel fatto che non si levasse per venirmi incontro, non potendolo. Andai dunque a sedermi sul suo letto come egli voleva».
«Certo vi fece grande onore quando accanto a lui vi fece sedere. Ora ditemi: avete visto la lancia dalla punta sanguinante, che pure non ha né sangue né vena?».
«Se la vidi? Sì, in fede mia!».
«E domandaste perché essa sanguina?».
«Mai ne parlai!».
«Che Dio mi aiuti! Ma sappiate dunque di aver ben male agito. E vedeste il Graal?».
«Lo vidi».
«Chi lo teneva?».
«Una damigella».
«E donde veniva?».
«Da una camera».
«E dove andò?».
«Entrò in un’altra camera».
«Nessuno camminava dinanzi al Graal?».
«Sì!».
«Chi dunque?».
«Due valletti e nessun altro».
«Che tenevano in mano?».
«Candelieri guarniti di candele».
«E dietro il Graal chi veniva?».
«Un’altra damigella».
«Cosa teneva?».
«Un piccolo piatto d’argento».
«Domandaste a quella gente verso qual luogo andavano così?».
«Non una sola parola uscì dalla mia bocca».
«Che Dio mi aiuti! È peggio ancora! Come avete nome, amico?».
E lui che il proprio nome non sapeva, subito lo conobbe e disse che era Perceval il Gallese. Non sa se dice il vero o no. Dice il vero, pur non sapendolo.
Quando la damigella lo sente, d’un subito si alza davanti a lui dicendo tutta corrucciata: «Amico, il vostro nome ora è cambiato!».
«Come?».
«In Perceval lo Sventurato. Ah, infelice Perceval, hai avuto cattiva ventura di non aver mai domandato che tanto bene avrebbe fatto al buon re che è ferito. Ben presto avrebbe ritrovato l’uso delle membra e della propria terra. Così gran bene ne sarebbe derivato! Ma sappi che disgrazia ne verrà, a te e agli altri, per questo peccato. Sappilo bene! Fu già così per tua madre, che ella è morta di dolore per te. Io ti conosco meglio di come tu ti conosci, perché tu non sai chi io sia. Eppure nella casa di tua madre per lungo tempo fui cresciuta con te. Sono tua cugina germana e tu sei mio cugino germano. Ma la disgrazia che hai avuto di non saper cosa viene fatto del Graal e chi lo si porta, non mi pesa meno che l’aver visto tua madre che è morta, come morto è questo cavaliere che sì vivamente amavo e che mi amava come cavaliere franco e leale chiamandomi la sua dolce amica».
«Ah, cugina, se di mia madre mi diceste il vero, come lo sapete?».
«E come non lo saprei? L’ho vista mettere sotto terra».
«Che Dio misericordioso abbia pietà della sua anima! Mi avete raccontato una storia ben dolorosa. Ma, cugina, poiché ella è già sepolta, che andrò cercando oltre? Vi andavo solo per rivederla. Prenderò dunque altra strada. Se con me voleste venire, anch’io lo vorrei. Mai più sarà il vostro uomo colui che giace accanto a voi. Che i morti siano coi morti, e i vivi coi vivi! Andiamocene, voi e io! Sì, sarebbe follia, credo, vegliare sola accanto al morto. Inseguiamo colui che l’ha ucciso! Ve lo giuro sulla mia fede: purché io lo possa raggiungere, o sarò alla sua mercé o gli farò invocare grazia!».
«Mio dolce amico – gli risponde colei che non può raffrenare il dolore del cuore – non posso partire con voi prima d’averlo sotterrato. Seguite questa via sassosa che da qui vedete partire. È per di là che se ne andò il cavaliere crudele e fellone che m’ha ucciso il dolce amico. Non che io voglia inviarvi dietro di lui, ma gli auguro altrettanto male che se m’avesse ucciso con le sue mani! Ma dove prendeste questa spada che pende dal vostro fianco sinistro, che mai si prese sangue d’uomo né fu sguainata per alcun bisogno? So dove fu costruita e anche chi la forgiò. Ma guardate bene di non di farvene, perché senza dubbio vi tradirà quando andrete in battaglia: volerà in pezzi!».
«Bella cugina, una delle nipoti del mio ospite gliela mandò ieri sera. Lui me ne fece dono. Me ne credevo molto onorato, ma voi mi causate gran timore, se è vero quanto m’avete detto. Ditemi, se dovesse rompersi, sarebbe mai forgiata di nuovo? Lo sapete?».
«Sì, ma ci vorrebbe gran pena. Colui che conoscesse la strada del lago presso Cotovatre potrebbe farla ribattere e ritemprare e riparare. Se l’avventura vi ci menasse, non andate da altri se non da Trébuchet, il fabbro, perché lui la fece e lui solo la saprà rifare. Nessun’altra persona lo saprebbe, chiunque sia l’uomo che vi lavorasse. Guardate che altri non ci metta mano, che non saprebbe venirne a capo».
«Certo – dice Perceval – se essa si rompe ne sarei ben dispiaciuto».
Lascia dunque la damigella, che non vuole abbandonare il corpo dell’amico e resta sola immersa nel suo dolore.
(Chrétien de Troyes, Conte du Graal)