Maui era l’ultimo di cinque figli, ma quando nacque nessun fratello seppe della sua esistenza. Ne vennero a conoscenza una sera, mentre tutti erano radunati nella Casa delle Riunioni. Erano presenti i quattro fratelli, la madre Taranga e tutti i parenti.
C’erano delle danze in corso, quando il piccolo Maui s’infilò nella Casa senza farsi notare e andò a sedersi proprio dietro i fratelli. Sicché, quando la madre ordinò ai figli di alzarsi per ballare, si alzò anche Maui.
«Maui mua, Maui roto, Maui taha, Maui pae», disse la madre: cioè, Maui il primo, Maui di mezzo, Maui di fianco e Maui sull’orlo.
Poi, vedendo un altro ragazzo insieme a loro, disse: «E questo da dove spunta fuori?».
Maui le rispose: «Sono anch’io figlio tuo».
Allora Taranga contò di nuovo e poi disse: «I miei figli dovrebbero essere solo quattro. Questa è la prima volta che ti vedo».
Scoppiò allora una lite tra Maui e la donna. Alla fine, la donna spazientita disse: «Esci da questa casa! Non sei mio figlio, sarai figlio di qualcun altro. Vattene via!».
Il piccolo Maui non si perse però di coraggio e continuò a tenerle testa: «Ah! è così! sarebbe meglio che me ne andassi! – disse. – Da quello che dici, sarei figlio di qualcun altro; invece io credo d’essere proprio figlio tuo, perché sono nato in riva al mare quando ti sei tagliata il nodo dei capelli entro cui mi avevi avvolto, e poi l’hai gettato in acqua. Sono state le alghe marine a farmi da culla, portandomi a spasso per le onde dell’oceano, stretto nei loro flutti, finché non s’è alzata la brezza che mi ha riportato sulla spiaggia, e lì qualche medusa si è avvolta attorno a me per proteggermi dalla sabbia. Nugoli di mosche sono venute a posarsi su di me e stavo per finire in pasto ai vermi, e stormi di uccelli si sono levati in volo per venirmi a beccare e fare a pezzetti. Proprio allora però è venuto il mio antenato Tana nui re rangi. Ha visto le mosche e gli uccelli che mi tormentavano, e li ha scacciati. Poi ha staccato la medusa, ed ecco ha fatto di me un essere umano. Mi ha raccolto, lavato e portato in casa, e qui mi ha appeso alle travi al caldo del focolare, salvandomi la vita. Così sono cresciuto, finché ho sentito dire che in questa Casa delle Riunioni ci sarebbe stata una danza, ed ecco ci sono venuto per parlarti».
Taranga ascoltava con grande meraviglia il racconto di Maui: la storia era tutta vera, e lei, mano a mano che l’ascoltava, andava ricordandosi di ogni cosa.
«Sin da quando ero nel tuo grembo – continuava intanto a dire Maui – ho saputo i nomi dei tuoi figli». E per confermare che diceva il vero, li chiamò per nome uno per uno: «Maui mua, Maui roto, Maui taha, Maui pae», e poi aggiunse: «e io sono Maui potiki, cioè l’ultimogenito».
«Tutto ciò che dici è vero – disse a questo punto la madre con gli occhi gonfi di lacrime. – Sei davvero il mio ultimogenito! Sei il figlio della mia vecchiaia. Poiché ti sei formato nel nodo dei miei capelli, ti chiamerò Maui tikitiki a Taranga» (ovvero: Maui nato dal nodo di capelli di Taranga).
Quella notte Taranga volle che Maui dormisse accanto a lui. Ma i fratelli, soprattutto i due più piccoli, s’ingelosirono e cominciarono a bisbigliare tra loro: «Guardate, nostra madre non ci chiede mai di dormire accanto a lei, eppure noi siamo certamente figli suoi. Ora ecco che questo piccolo bastardo, che non sappiamo neppure se è stato davvero allevato dalle alghe marine, come lui afferma, o se è invece figlio di qualcun altro, dorme con lei sulla sua stessa stuoia».
«Non fateci caso! – dissero i due fratelli maggiori. – È bene per tutti accoglierlo come nostro fratello». E così li dissuasero dall’esagerare con la loro gelosia.
Ora accadeva che ogni mattina, allo spuntare dell’alba, Taranga si svegliava prima di figli, lasciava la casa e scompariva fino a sera. I fratelli di Maui si erano ormai abituati a questo suo comportamento, ma per Maui – che la madre trascorresse coi figli soltanto la notte – era un fatto di cui voleva e doveva a tutti i costi sapere la ragione.
Invano chiese spiegazione ai fratelli che erano all’oscuro quanto lui: «Non abbiamo mai saputo – gli dissero – se i nostri genitori stanno sopra o sotto o da qualche altra parte».
«Lo scoprirò io», rispose fiero Maui.
«Come puoi scoprirlo tu – dissero i fratelli – tu che sei il minore, se noi che siamo più grandi di te non lo sappiamo? È sempre stato così: allo spuntar dell’alba, nostra madre sparisce e nessuno di noi saprà mai dove va».
Intenzionato a scoprire il segreto della madre, Maui ogni notte le rubava un indumento: ora la gonna, ora la cintura intrecciata, ora il caldo mantello di piume – e quando gliel’ebbe rubati, con degli stracci tappò tutte le fessure che c’erano nella porta di casa e nell’unica finestra da cui poteva filtrare la luce.
Avvenne così che, una mattina, Taranga dormì più a lungo del solito e, quando si svegliò e vide che il sole era già alto, si dovette precipitare in fretta e furia fuori dalla casa raccattando, per coprirsi, lo straccio con cui Maui aveva chiuso uno spiraglio nella porta.
Non appena uscì di casa, Maui corse a spiare che direzione prendesse, ed ecco: la vide fermarsi non distante da casa, sollevare un fascio di giunchi e infilarsi in una buca.
Maui sgattaiolò fuori di casa, corse alla buca, sollevò i giunchi e sentì una corrente d’aria sul volto. Allora guardò nella buca e così intravide un altro mondo, con alberi, con un oceano e fuochi accesi, e uomini e donne che andavano per le loro faccende.
Rimessi i giunchi al loro posto, tornò poi a casa e svegliò i fratelli. E a loro di nuovo domandò: «Sapete dirmi dove vivono di giorno i nostri genitori?».
E quelli di nuovo risposero che non sapevano e che non l’avrebbe mai saputo neanche lui.
«Che c’importa, in fondo, di saperlo? – dissero. – Possiamo chiamarla nostra madre, se appena sorge il sole scompare e non si prende più cura di noi? Ci ha forse nutriti e allevati lei?».
«Io – disse a quel punto Maui – io che sono stato allevato e nutrito dalle alghe marine, mentre voi siete stati nutriti dal petto di una madre che disprezzate, io a differenza vostra questa madre l’amo. Per amarla, a me basta il fatto d’essere stato concepito nel suo grembo. È per quest’amore che le porto, che devo trovarla e la troverò».
Maui era abile nei giochi di prestigio: la sua magia prediletta era quella che lo trasformava in un uccello della foresta. Quella volta dinanzi ai fratelli si mutò in un piccione selvatico (kereru) che li lasciò incantati.
«Sei bellissimo! – gli dissero in coro. – Sei il più bello degli uccelli. Non sei mai stato così bello: sei una meraviglia!».
A renderlo così affascinante erano, in realtà, gli indumenti che aveva rubato alla madre e che ora aveva indossato per la sua esibizione magica. La gonna, fatta coi peli lucidi della coda di un cane, gli dava un grande splendore, e il fermaglio della cintura rendeva magnifiche le piume della gola, per non parlare del mantello piumato che era il suo nuovo corpo di piccione.
Maui si appollaiò sul ramo vicino ai fratelli e, come un vero piccione, se ne stette quasi immobile a tubare da solo. E mentre i fratelli elogiavano le sue doti di mago, ecco che all’improvviso spiccò il volo, e volò in un baleno così lontano che i fratelli lo persero di vista.
«Se nostra madre è lontana – disse il maggiore agli altri fratelli – state sicuri che il piccione selvatico la raggiungerà. Fosse andata ad abitare anche alla fine del mondo, il piccione selvatico la ritroverà. Statene certi».