La fortuna di chiamarsi Ciro

Ciro, un nome che dice più di quel che sembra dire.
Il nome innanzitutto di un Re, di un Grande Re di Persia, Κύρος, Ciro il Vecchio, figlio di Cambise e di Mandane. Ma poi anche il nome del «potere» (κύρος) personificato in ogni Re, in ogni Signore (κύριος).
Il κύρος (dalla stessa radice da cui il sanscrito «curah», e il latino «cura») ha la forza di Ciro-statuachi «si prende cura» dell’altro, di chi lo «cura», di chi presta ascolto e, si presume, provvede alle altrui domande.

D’accordo, Erodoto fa un po’ sorridere. Il «padre della Storia» (mi pare che fu Cicerone a dargli questo appellativo) ci propina a volte certe «storielle» che di «storico», così come l’intendiamo noi oggi, hanno poco o niente. Fare storia, per lui, era raccontare storie – limitandosi a verificare, non che quelle «storie» fossero «vere», ma che «veramente» ci fossero Genti che se le tramandavano e che, magari, ancora le sceneggiavano nei loro riti.
D’altronde, perché una «storia» sia credibile fino al punto di fare Storia, non è affatto necessario che essa sia «vera», ma che sia «veramente» la Credenza di una Gente, che cioè eserciti su di essa quel potere di suggestione «linguistica» che la induce a imboccare la via di questa o quella Metafora, e a perseverare su di essa per un certo tempo.

Un racconto, una storia non è mai, di per sé, qualcosa di «storico». Di «storico» non c’è che il «fatto», e il fatto è che una Gente ci «crede».
Erodoto è dunque, in questo senso, il Padre della Storia – in quanto è stato il primo a intuire che il Fatto, vero o non vero, è il Racconto Creduto, e che le «storie» fanno Storia solo a questa condizione: che ci sia un bel po’ di gente a crederci fino al punto di farne la sua bibbia.

Ecco perché Ciro è più di nome: un nome, meglio, che nomina assai più di quel che sembra nominare. Non nomina solo un re, ma quel Re che i Persiani, a detta di Erodoto, riconobbero da nient’altro che da un gioco di ragazzi.
E Ciro è quel «ragazzo», il Guaglione che, ai confini tra i due mondi (che noi, coi nostri occhi moderni, distinguiamo in Racconto e Storia), personifica il Re … proprio quel Re a cui ancora alludiamo, quando diciamo il Re dei Sogni.
Quel Personaggio, a cui rinviamo quando diciamo il Purusa del Dormiente. Il Sognatore dei sogni di cui Faraone non è che il «corpo dormiente».
Perché il confine tra i due mondi è tra Sogno e Realtà. Tra la Notte e la prima Aurora – quella che noi pomposamente chiamiamo l’Alba della Storia.

Dalì-rapsodia-moderna

Tra Immaginazione e Realtà non c’è che il Confine dei confini. E gli uomini – tutti gli uomini, re e sudditi – lo passano una sola volta, da bambini. È allora, diceva un greco antico, che il κύρος si distingue da un qualsiasi κούρος (cfr. latino puer, «ragazzo»). Una sfumatura vocalica, una piccola variazione fonetica, gli bastava per dire il fondamento primo di tutta una Storia.
E cioè che il buongiorno si vede dal mattino!
Non ci vuole tanto a capirlo: ci sono pochi mattini che meritano un avvenire, ma più di tutti ne è degno quel Mattino là, il Mattino Signoriale (κύριος) che «si prende cura» delle Ore che lo seguiranno. Quello che «governa» i giochi appena, ma non del tutto, «desti», quello che li provvede d’una Regola «vigile e cosciente», quello che detta Legge, quello che dispensa Simboli.

La Realtà, la perdemmo tutti di vista quel Mattino là.
Chi «si ribellò» alla crudeltà di Ciro, fu severamente punito: dovette, suo malgrado, soccombere e farsi castrare.
La perdemmo, per sempre, ma noi continuiamo a fingere che non è vero, e che la Realtà è quest’altra – qui e ora presente. Noi, la Realtà, continuiamo a confonderla con ciò che vediamo e sentiamo, e soprattutto con ciò che tocchiamo e portiamo alla bocca. Perché, allora, quando eravamo «reali», già vedevamo e sentivamo e toccavamo e soprattutto portavamo alla bocca – solo per questo «crediamo» di essere ancora quelli.
Invece, solo Ciro è rimasto: solo lui di tutti quelli là. E solo lui è «invecchiato». Solo il Fantasma di quel Re Mattutino, apparso sulla cresta di un’onda di Okéanos.

Okéanos è il Fiume del Racconto che sta al Tempo, alla Tirannia Oscura di Chronos – così come – ogni nostro «gioco linguistico» sta alla Legge dettata dal Re del nostro primo confine-sognosogno, del sogno più antico di cui riuscimmo a tradurre un frammento, un’eco, una lettera al di qua del Confine.
Tra Realtà e Immaginazione – tra il Paradiso Perduto e quest’inferno che è, da sempre, la Storia Umana – sta ancora là il Despota a cui rivolgere il nostro tardivo κύριε ελείσον. Il Re del Mattino – il nostro Tiranno è il Simbolo.
Se è Re, è perché «ha visto» in sogno la Regina, e ha fatto l’amore con sua madre, la Metafora, e da quelle nozze ha generato un figlio: ha generato un altro Guaglione, e l’ha messo a questo mondo – fuori dal Sogno.

Ciro è l’Unico ad avere un piede in ciascuno dei due mondi. Solo lui ha visto il Sogno. E perciò, di tutti i fantasmi della nostra infanzia, solo lui sopravvive, anche se abbiamo fatto di tutto per sbarazzarcene.
Facci caso: in tutti i racconti, gira e rigira, ci trovi sempre un «infante divino». Il che non vuol dire che questo «fanciullo» sia veramente esistito. Vuol dire che veramente ci hanno creduto più Genti. E questo è più che un fatto «storico», più che un fatto «antropologico». Questo è il fatto che ci ha fatto «uomini» in carne e ossa (anche se, ultimamente, più ossa che carne).
Il fatto è la Credenza a cui crediamo: il guaio è se ci credi tu soltanto. Puoi fare tutte le storie che vuoi – non farai mai Storia.

Tu dici: va beh, che me n’importa?
T’importa, eccome! Non fare Storia, non scorrere nel senso della Storia di una Gente – di quella Gente di cui pure parli la stessa Lingua – dimmelo tu se questo non è il primo comma della Sentenza che ti «vota» alla Pazzia.
Oh, sì – sarebbe impazzito anche quel povero Ciruzzo di Persia tra chi lo voleva e chi lo dava per morto, tra chi diceva: «uccidilo!» e chi ne aveva un tocco di pietà.
Sarebbe morto, hai voglia, se a Ciruzzo non fosse rimasto un piede di là, in quel certo qual Paese che, essendo fuori dalla nostra portata, non potrebbe chiamarsi meglio che come si chiama: Fortuna, Tykhé, xvarnah, Luce di Gloria o anche, come volgarmente si dice, Culo.

E quale fu il Culo di Ciruzzo?
Quello di trovare una Cagna a cui da poco era morto un figlio.
La sua Fortuna fu d’incontrare Nostra Signora la Metafora nella migliore delle proporzioni possibili: a lui «morto» al mondo degli uomini prima ancora di nascervi, la tarocco-fortunaFortuna offrì l’incontro con un animale a cui era «morto» il figlio appena nato.
Non ci poteva essere una simmetria inversa – più inversa di questa. Bastava infatti che Madre e Figlio si scambiassero le «morti», per provvedersi di vita nova. Entrambi erano stati «cacciati» dal loro mondo, toccato dalla «morte»: entrambi ne erano stati disgiunti per una disgiunzione «simile»: dolorosa, traumatica finché vuoi, ma – fortunosamente – simile e, per giunta, inversa, di modo che era facile, era proprio un gioco da ragazzi, incastrarsi l’uno nel vuoto dell’altra.

Ciro non è, dunque, un ragazzo, un κούρος, un puer qualsiasi: la Fortuna ne fa un κύρος – anzi: il κύρος.
Prima del loro incontro fortuito – Madre e Figlio erano madre e figlio di Nessuno. Erano entrambi «morti» alla Realtà, nel cuore del loro linguaggio immaginario s’era aperta a tutt’e due una ferita che solo un colpo di fortuna poteva sanare. Fortuna fu a entrambi incontrarsi dopo essere «morti» di una «morte» simile, ma reciprocamente inversa.
Era per tutt’e due la Grande Occasione per mettere il mondo sottosopra. Infatti, in quel «mondo alla rovescia» che il Sogno (dolorosamente infranto) sarebbe diventato ai loro occhi «svegli», era già a entrambi nota, o perlomeno presentita, la contropartita che avrebbero guadagnato «svegliandosi» al mattino di una vita nova.

Sarò più chiaro (sic): nel Sogno erano già presenti, a ciascuno dei due, le sue «cose future», anche se in quella forma negativa «che era, per così dire, il pegno del loro avvento» (Lévi-Strauss).
In sogno sappiamo benissimo chi o che cosa ci manca. E ogni mattina, appena svegli, invano la cerchiamo. Poi, per il nostro «bene», volgiamo la mente altrove.
Quel che ci manca in sogno, solo chi viene da un sogno in cui ha accusato una mancanza simmetrica e inversa alla nostra, ce lo può dare. Solo quel Mattino là – solo il Mattino che ce lo porterà – potrà dire d’essere stato prefigurato e atteso in un sogno sognato non distante dal Confine.

Il Sognatore di quel Mattino, lui in prima persona, il Purusa (il cui nome proviene sempre da una trasformazione fonetica della stessa radice di puer), in persiano, in greco e, con varianti, in tutto l’indoeuropeo si chiama Ciro.
È un ragazzo, ma è passato alla Storia come Ciro il Vecchio. È un orfanello strappato al seno della mamma Umana – ma ha la fortuna d’essere allevato da una Nutrice Animale (come Romolo e Remo, come Gengis Khan e molti altri re leggendari). È nato «nire»: così si dice a Napoli. È nato che pareva segnato da un nero destino, ma gli è bastata trovare una mamma, per essere chiamato «Cire».