C’era un uomo che si chiamava Sigi ed era figlio di Odino. Egli aveva compiuto un misfatto uccidendo uno schiavo per invidia: per questo venne dichiarato un infame e cacciato. Odino allora lo accompagnò fuori dal Paese e non lo lasciò finché non gli ebbe procurato una nave da guerra.
Egli divenne un guerriero vittorioso e un re potente; tuttavia fu infine ucciso dai nemici.
Il figlio di Sigi si chiamava Rerir. Egli non era col padre quando questi venne ucciso, perciò ne ereditò i possedimenti e il titolo di re, e lo vendicò, dando la morte ai suoi assassini. Così divenne ancora più eminente di suo padre.
Rerir prese in sposa una fanciulla, essi però non avevano figli. Allora si rivolsero agli dèi con preghiere per avere un erede. È narrato che Frigg ascoltò le loro suppliche e disse a Odino il motivo per cui essi pregavano.
Subito Odino chiamò una delle sue valchirie, figlia del gigante Hrímnir, le consegnò una mela e le disse che avrebbe dovuto darla al re. Ella prese l’aspetto di una cornacchia e volò là dove il re si trovava.
Egli stava seduto su un tumulo e la valchiria gli lasciò cadere la mela in grembo. Il re si alzò e tornò dalla regina, ed ella mangiò un po’ di quella mela.
Avvenne allora che la regina rimase incinta. Ella tuttavia rimase gravida a lungo e non poteva partorire il bambino. Durante questo periodo Rerir morì nel corso di una spedizione.
Trascorsero sei inverni, e la regina non poteva partorire. Allora capì che non avrebbe potuto vivere più a lungo e si fece estrarre il figlio dall’utero. Così fu fatto secondo il suo volere.
Questo figlio era un maschio e si dice che quando nacque baciò sua madre prima che ella morisse. Egli ebbe poi un nome e fu chiamato Völsungr.
Quando fu cresciuto, il gigante Hrímnir mandò da lui sua figlia, di cui prima si è detto, ed egli la prese in moglie. Essi furono felici ed ebbero dieci figli e una figlia.
Il maggiore dei maschi si chiamava Sigmundr, la figlia Signý. Erano gemelli e in ogni cosa erano i migliori tra i figli di re Völsungr.
È detto che re Völsungr fece costruire una splendida casa e che nell’atrio vi era un grande melo: i rami che portavano bei fiori si protendevano fin sul tetto, ma il tronco era dentro la casa. Quest’albero era detto «tronco dei bambini».
C’era un re di nome Siggeir, che chiese in moglie Signý; la cosa parve buona al re e ai suoi figli, mentre la fanciulla non era ben disposta verso di lui. Ciò malgrado, gli fu promessa ed ebbe luogo la cerimonia delle nozze.
La sera in cui si celebrò il matrimonio, avvenne che, mentre la gente stava accanto al fuoco, arrivò uno sconosciuto coperto di un mantello senza maniche, a piedi nudi e con calzoni di lino. L’uomo impugnava una spada e avanzò fino al «tronco dei bambini».
Sul capo aveva un cappello, era piuttosto alto, vecchio e con un occhio solo. Egli conficcò la spada nel tronco, sicché essa penetrò fino all’impugnatura.
Poi disse: «Colui che sarà capace di estrarre questa spada dal tronco l’avrà in dono da me ed egli stesso confermerà di non aver mai avuto tra le mani una spada migliore di questa».
Poi uscì dalla corte e nessuno seppe chi fosse o dove andasse.
Ora tutti volevano prendere quella spada: molti provarono, ma solo Sigmundr seppe estrarla. Era una spada di cui non se n’era vista una migliore, perciò Siggeir offrì il triplo del suo peso in oro per averla. Ma Sigmundr rifiutò, poiché – disse – avrebbe potuto prenderla se avesse voluto.
Siggeir ne fu molto dispiaciuto, ma essendo un ipocrita fece come se nulla fosse. La sera stessa però meditò fra sé come rifarsi, come in seguito si vide. Andò dunque a letto con la sua sposa.
Il giorno dopo, poiché il tempo era favorevole, egli chiese il permesso di tornare a casa con la moglie; tuttavia invitò Völsungr e i suoi alla sua corte in capo a tre mesi.
Signý disse a suo padre che non voleva partire col marito, poiché non le veniva da lui alcuna gioia e inoltre presagiva che da quel matrimonio sarebbe derivata a lei e a tutta la famiglia una grande sventura.
Il padre ribatté che ciò sarebbe stato una grande vergogna, perciò ella dovette partire col marito.
Or dunque, al tempo stabilito, re Völsungr e i suoi figli si recarono da Siggeir. Venne loro incontro Signý e parlò in confidenza e disse che re Siggeir aveva raccolto un grande esercito e voleva tradirli. Perciò li pregava di tornare indietro immediatamente.
Tuttavia Völsungr rispose che non sarebbe stato opportuno ritirarsi, quanto piuttosto opporsi nel modo migliore.
Signý si mise a piangere e disse che doveva tornare dal marito: era giusto così – rispose Völsungr – ed ella avrebbe dovuto rimanere con lui qualsiasi cosa fosse loro accaduta.
Il mattino seguente Völsungr e i suoi figli si prepararono a combattere, si armarono di tutto punto e scesero a terra. Non dovettero attendere molto, prima che Siggeir giungesse col suo esercito.
Ci fu un’aspra battaglia e alla fine re Völsungr dovette soccombere alle forze preponderanti dell’avversario.
Così Signý venne a sapere che suo padre era stato ucciso e i suoi fratelli fatti prigionieri e condannati a morte. Su consiglio di lei essi non furono uccisi immediatamente, ma incatenati nella foresta. Là rimasero tutto il giorno fino al calar della notte.
Verso mezzanotte venne una vecchia lupa e morse uno di loro fino a farlo morire. Poi se ne andò.
Il giorno dopo Signý mandò un uomo di sua fiducia dai fratelli per vedere come stavano le cose. Quando egli tornò, disse che uno di loro era morto. A lei parve una cosa grave che essi dovessero tutti finire così, ma non poteva farci nulla.
Quel che avvenne è presto detto: per nove notti di seguito venne la medesima lupa e li divorò l’uno dopo l’altro, finché furono tutti morti, eccetto Sigmundr.
Prima che giungesse la decima notte Signý mandò da Sigmundr il suo uomo di fiducia: su sua istruzione egli lo spalmò di miele sul viso e gli mise anche del miele in bocca. Così quando la lupa arrivò, leccò il volto di Sigmundr, poi gli introdusse la lingua in bocca.
Egli le morse la lingua con tutte le forze. Allora la lupa puntò le zampe contro il ceppo ed esso andò in pezzi; Sigmundr però le strappò la lingua alla radice ed essa morì.
È detto che quella lupa era la madre del re Siggeir che aveva assunto tale aspetto per effetto di magia.
Quando Signý venne a sapere che suo fratello era libero, andò nella foresta a incontrarlo. Egli si costruì un rifugio sotterraneo nella foresta ed ella gli diede ciò di cui aveva bisogno.
Siggeir tuttavia credeva che tutti i Völsungar fossero morti.
Signý aveva avuto dal marito due figli. Un giorno mandò il maggiore, che aveva allora dieci anni, da Sigmundr per vedere se poteva aiutarlo a vendicare suo padre.
Sigmundr ne provò il coraggio dicendogli di impastare della farina nella quale era nascosto un serpe. Ma poiché il ragazzo non ebbe il coraggio di farlo, egli venne ucciso su consiglio della madre.
L’anno seguente Signý mandò da Sigmundr il figlio minore, ma anche a lui toccò la medesima sorte.
Ora accadde che, mentre Signý si trovava nella sua casa, venne da lei una maga. Signý disse alla maga che voleva cambiare aspetto con lei. Così fecero e quella sera la maga si coricò accanto a Siggeir, mentre Signý andò nella foresta e chiese asilo per la notte a Sigmundr suo fratello.
Egli la trovò bella e attraente, perciò le chiese di coricarsi accanto a lui. Così fu per tre notti di seguito. Poi ella tornò a casa e riprese il suo aspetto.
Dopo qualche tempo diede alla luce un figlio maschio che ebbe nome Sinfjötli. Sinfjötli crebbe robusto e forte. Aveva cinque anni quando fu mandato da Sigmundr. Prima di mandarlo, Signý fece per lui come aveva fatto per i precedenti: ella gli cucì addosso una camicia, prendendo insieme pelle e carne; e quando gliela strappò, la pelle rimase attaccata alle maniche.
Egli tuttavia osservò che quella era una cosa da poco per i Völsungar.
Questa volta, allorché il ragazzo dovette impastare la farina per il pane, non si lasciò impressionare dal fatto che vi fosse mescolato qualcosa di vivo. Sigmundr però gli disse che non avrebbe mangiato quel pane, poiché vi era stato impastato insieme un serpe velenosissimo.
Si ricorda che Sigmundr poteva assumere il veleno senza subirne danno. Sinfjötli tollerava il veleno esteriormente, ma non poteva mangiarne né berne.
Sigmundr e Sinfjötli vissero insieme nella foresta e conquistarono ricchezze uccidendo delle persone.
Accadde una volta che essi giunsero a una casa e là trovarono due uomini addormentati. Costoro erano preda di un incantesimo e sopra di loro erano appese delle pelli di lupo. Ogni nove giorni venivano liberati dalla magia e potevano riprendere l’aspetto umano.
Sigmundr e Sinfjötli indossarono le pelli di lupo e non poterono più liberarsene. Presero la natura di lupi e parlavano il linguaggio dei lupi. Andarono nella foresta, ma ciascuno doveva stare per conto proprio. Essi però si accordarono, perché in caso di pericolo l’uno chiamasse l’altro.
In seguito Sigmundr chiamò in aiuto il figlio per uccidere sette persone, ma altrettanto non fece Sinfjötli quando fu assalito da undici uomini. Egli li uccise tutti e ne rimase gravemente ferito.
Si racconta che fu risanato miracolosamente dopo che Sigmundr ebbe messo sulla ferita la foglia di una pianta portentosa datagli da un corvo, i cui benefici effetti aveva potuto osservare su un gatto selvatico.
Infine, i due tornarono alla casa dove avevano trovato le pelli di lupo: ora potevano togliersele. Subito le gettarono nel fuoco e le bruciarono, così che nessuno più ne fosse danneggiato. In aspetto di lupi essi avevano compiuto grandi imprese.
Dopo un po’ di tempo Sigmundr decise di cercare vendetta per il padre. Si recarono allora alla reggia di re Siggeir e là si nascosero.
Il re e Signý avevano due figli piccoli. Essi si trastullavano gettando dell’oro sul pavimento e correndo a prenderlo. Ora, un anello rotolò via, finendo nel luogo dove si trovava Sigmundr. Allora il bambino corse a cercarlo e vide due uomini robusti e feroci con le armi. Egli corse nella sala e disse a suo padre quello che aveva visto.
Il re sospettò che si ordisse un inganno contro di lui. Signý rivelò a Sigmundr e Sinfjötli che i ragazzi li avevano traditi e li sollecitò a ucciderli.
Sigmundr non voleva farlo, ma Sinfjötli non si lasciò intimidire: li uccise entrambi e li gettò nella sala davanti al re.
Siggeir chiamò i suoi ed essi furono assaliti; si difesero con coraggio, ma alla fine vennero sopraffatti e incatenati. Il re li lasciò così tutta la notte, pensando quale morte avrebbe potuto dar loro, che fosse la più lenta possibile.
Perciò il giorno dopo fece costruire un grosso tumulo di pietra e zolle. Poi fece innalzare dentro al tumulo una pietra piatta, così grande da occupare tutta l’altezza del tumulo e che non potesse essere superata. Infine fece rinchiudere nel tumulo Sigmundr e Sinfjötli, ciascuno da una parte, perché pensava che fosse peggio per loro non essere insieme, ma tuttavia potersi sentire.
Mentre stavano ricoprendo il tumulo di zolle, venne Signý e gettò della paglia nel tumulo a Sinfjötli, dicendo ai servi di tenere nascosta questa cosa al re. Essi acconsentirono e il tumulo fu chiuso.
Quando si fece notte, Sinfjötli disse a Sigmundr che pensava che Signý avesse portato loro della carne da mangiare, nascondendola nella paglia. Cercò la carne, ma trovò invece che nella paglia era nascosta la spada di Sigmundr; egli la riconobbe dall’impugnatura, perché nel tumulo era buio.
Allora lo disse a Sigmundr ed entrambi se ne rallegrarono. Con quella spada, capace di tagliare la pietra, essi poterono fendere la roccia che li separava, aprire il tumulo e uscirne.
Poi andarono alla reggia. Là tutti dormivano. Essi portarono della legna e appiccarono il fuoco.
Quando il re domandò chi avesse appiccato il fuoco, Sigmundr rispose e disse i loro nomi, e anche che non tutti i Völsungar erano morti.
Egli invitò sua sorella a uscire per mettersi in salvo: ella gli rispose rivelando tutto quel che aveva fatto perché suo padre fosse vendicato e anche che Sinfjötli era suo figlio. Ora aveva ottenuto vendetta e dunque non voleva vivere più a lungo.
Disse infine: «Ora morirò con re Siggeir tanto volentieri quanto malvolentieri ho vissuto con lui».
Poi baciò Sigmundr e Sinfjötli, diede loro l’addio e tornò nella casa, dove trovò la morte con re Siggeir e tutti i suoi.
(Chiesa Isnardi, I miti nordici)