Rabelais – L’anno delle nespole

Cripps-carnevale

Non sarà cosa inutile, né oziosa, visto che ne abbiamo tutto il tempo, ricordarvi il primo ceppo e le origini donde è venuto a noi il buon Pantagruele.
Perché vedo che tutti i buoni storici hanno cominciato così le loro cronache, non soltanto fra i Greci, gli Arabi, e gli Etnei, ma anche gli autori delle Sacre Scritture, come monsignor san Luca, nonché san Matteo.

Dovete sapere che, ai tempi delle origini del mondo (la prendo alla lunga, e son cose che accaddero più di quaranta quarantine di notti fa, per contare al modo degli antichi Druidi) poco dopo che Abele fu ucciso da suo fratello Caino, la terra, imbevuta del sangue del giusto, fu in uno di quegli anni talmente fertile in ogni frutto che suole offrirci dalla sua matrice, e particolarmente di nespole, che a memoria d’uomo quell’anno fu chiamato l’Anno delle nespole: perché bastavano tre a farne un moggio.

Fu l’anno che si fissarono le calende negli almanacchi dei Greci; e che la quaresima non cadde di marzo, e il ferragosto arrivò a mezzo maggio. E in quel mese d’ottobre, mi pare, o di settembre (perché non vorrei sbagliare, ché mi spiacerebbe troppo), cadde quella settimana rimasta famosa in tutti gli annali, col nome di Settimana dei tre giovedì: perché ce ne furono proprio tre, a causa delle irregolarità bisestili, per via che il sole Max-Ernst-Pleiadisbandò un pochettino, come uno zoppo, sulla sinistra, e la luna scantonò dall’orbita più di cinque tese, e si poté manifestamente vedere quel tal moto di «trepidazione» nel cielo delle stelle fisse detto aplane: al punto che la mezzana delle Pleiadi, lasciando le sue compagne, declinò verso l’Equinoziale, e la stella chiamata Spica abbandonò la Vergine, ritirandosi verso la Bilancia; che sono fatti veramente spaventosi, e fenomeni così duri e difficili che gli astronomi non ci possono mettere su i denti, perché dovrebbero proprio averli ben lunghi per azzannarli.

Fate conto che il mondo mangiava volentieri di quelle grandi nespole: perché erano belle a vedere e deliziose a gustare. Ma, così come Noè, quel sant’uomo (cui dobbiamo tanta gratitudine per il fatto che per primo piantò la vigna, donde ci proviene quel nettareo, delizioso, prezioso, celeste, gioioso e deifico liquore che si suole chiamare sciroppino), restò ingannato bevendolo, perché ne ignorava il grandissimo potere e la virtù: allo stesso modo gli uomini e le donne di quel tempo mangiarono tutti con gran piacere di quegli splendidi e grandissimi frutti.

Ma ne risentirono molti e diversi accidenti: perché venne in corpo a tutti uno spaventoso gonfiore; ma non a tutti nello stesso luogo.
Infatti, a certuni gonfiarono i ventri, che diventarono tondi e sporgenti come un barile; e son quelli dei quali è scritto: Ventrem omnipotentem; e furono tutte persone dabbene e di carattere allegro. E furono di questa razza Santo Pancione e Martedì Grasso.
Ad altri gonfiarono le spalle, e diventarono così gobbi che furon chiamati Montiferi, come a dire Portamontagne; e ne vedete ancora per il mondo di vario sesso e ceto. E fu di questa razza il nostro Esopetto, del quale tutti possono leggere i bei fatti e i bei detti.

Ad altri gonfiò in lunghezza il membro che si suole chiamare creapopoli: in modo che l’avevano meravigliosamente lungo, grande, grasso, grosso, verde e ben crestato all’uso antico, al punto che se ne facevano una cintura, girandoselo cinque o sei volte attorno al corpo.
E se capitava di trovarselo arzillo, e col vento in poppa, a vederli andare avreste detto che fossero tanti guerrieri con la lancia in resta pronti per correre la quintana. E di questi se n’è perduta la razza, a quel che dicono le donne: perché si lamentano continuamente che Così grossi non ce n’è più, ecc.; il resto lo sapete anche voi.

Ad altri crescevano invece i coglioni, così enormemente che ne bastavano tre a empire protuberanzeun moggio. E di questa razza son venute le coglie di Lorena, che mai stanno a posto nella brachetta, ma scendono fino in fondo ai calzoni.
Altri invece crescevano nelle gambe, che li avreste detti a vederli fenicotteri o gru, o gente sui trampoli. E gli scolaretti li chiamavano, in grammatica, giambi.

Ad altri cresceva il naso che sembrava lo stelo di un lambicco: tutto screziato, tutto costellato di bitorzoli, pullulante e purpureo, a bottoni, ben smaltato, ricco di porti e inquartato di rosso.
E avete potuto vederne di tali al canonico Panzoult, o a mastro Piedilegno, medico ad Angiers. E di questa razza pochi ce n’è che amano le tisane, ma quasi tutti sono amatori dello sciroppino di settembre, e da essi discesero Ovidio e Nasone, e sono quelli dei quali si trova scritto: Ne reminiscaris.

Ad altri crescevano le orecchie, così grandi che con una si facevano il corsetto, le brache e il saio, e con l’altra una gran cappa alla moda spagnola. E si dice che nel Borbonese durano ancora questi orecchioni, donde il proverbio «orecchie di Borbonese».
Ad altri invece cresceva tutto il corpo in lunghezza. E sono quelli che diedero origine ai Giganti, dai quali discese Pantagruele …

(Rabelais, Gargantua e Pantagruele, 2: 1)