Come la masturbazione, lo stupro è un comportamento psicologico e merita perciò attenzione psicologica. Come la masturbazione e il panico, anch’esso esemplifica il rapporto tra mitologia e patologia.
Parte del complesso dello stupro è un’avversione emotiva ad esso: è una violazione, una trasgressione, un orrore. Un’indagine su quest’argomento evocherà quindi la stessa avversione che è insita nel modello archetipico. Il tema stesso agisce su di noi come uno stupro, bloccando la nostra soggettività in rapporto a esso. Lo stupro diventa un argomento chiuso, non c’è nulla da discutere: è ciò che è.
La psicologia preferisce tenerlo a distanza, anche come soggetto di dissertazione; quando non può proprio evitarlo, lo affronta servendosi di elaborate scappatoie concettuali, come «sadismo» o «aggressività».
È necessario uscire dalla psicologia e rivolgersi verso spiriti letterari (per esempio, Genet) per trovare la disponibilità e l’intelligenza necessarie per osservare fenomenologicamente lo stupro.
Per cominciare: lo stupro è appartenuto all’esistenza umana e divina da molto prima che la psicologia entrasse sulla scena per spiegarlo. Perciò non dobbiamo aspettarci troppo dalla psicologia: le sue considerazioni possono avvalersi soltanto della gracile tradizione di poche generazioni confinate in una cultura angusta, prevalentemente nordica, occidentale ed ebraico-protestante.
Per di più, oltre alla generale inadeguatezza della psicologia a trattare i grandi temi archetipici, vi è la specifica lacuna nei riguardi dello stupro, come se l’astensione della psicologia dall’indagine la tenesse al riparo da un orrore. (Altre azioni criminali e altri atti sessuali ricevono un’attenzione molto maggiore). […]
Se la masturbazione è «sanzionata dalla divinità», se è inventata da un Dio, allora lo stupro ha un fondamento ancora più saldo della divinità, poiché lo stupro di ninfe e mortali – e di un Dio da parte di un altro – è una figura corrente nella mitologia greca.
Lo stupro non è specifico di Pan, però è caratteristico di Pan: è il suo primo modo di manifestarsi con le figure femminili, che provoca la loro fuga e la sua frustrazione. […]
Un’ermeneutica neoplatonica direbbe che lo stupro delle ninfe esprime l’essenza immediata, diretta e risoluta della divinità nel regno degli avvenimenti naturali. Lo stupro rivela la necessità coatta che sta dietro e dentro ogni forma di generazione. Quanto più si è vicini al mondo della natura materiale, tanto più il potere divino si manifesterà in forma sessuale e coatta. Lo stupro è il paradigma della penetrazione e fecondazione divina del resistente mondo della materia.
Gli stupri della mitologia dovrebbero, perciò, venir considerati a un livello non letterale, ed essere percepiti come un’allegoria teo-filosofica.
Ora, la «depravazione» del mito, o quella che chiamiamo la sua psicopatologia, ha turbato a lungo gli esegeti.
Gli apologeti della religione classica dovettero difendersi dall’accusa di corruzione morale gettata su di loro soprattutto dai cristiani (che, almeno a partire da Eusebio, videro il diavolo in Pan).
La difesa neoplatonica del mito fu la più elaborata, coerente e intellettuale; raggiunse l’acme della sua perspicacia psicologica nella filosofia orfica dell’Italia rinascimentale.
Nondimeno, il neoplatonismo è una difesa. Giustifica. Spiega.
La masturbazione non sarebbe veramente masturbazione, ma un’espressione simbolica di qualcos’altro affine all’auto-generazione.
Il neoplatonismo si serve di un metodo ermeneutico che ci è stato reso familiare da Freud: il manifesto è soltanto la copertura di un significato latente che è più vero, più reale e più liberante delle apparenze psicopatologiche (sintomatiche).
Lo stesso vale per lo stupro: questo modo di esegesi non accetta la psicopatologia come un modo essenziale della vita psicologica. Questo, tuttavia, è precisamente quanto dice il mito. […]

La seconda fondamentale questione in questo rapporto rovescia la prima: la mitologia è necessariamente patologica (descrittiva di psicopatologia) perché altrimenti non potrebbe parlare dell’anima quale essa è. Diversamente, la mitologia sarebbe «soltanto mito», una sorta di religione idealizzata (quale la tradizione tedesca ha spesso tentato di rendere il mondo greco, pagando in tal modo un prezzo terrificante nella psicopatologia).
La mitologia priva delle sue «depravazioni morali» diverrebbe una religione libresca, una interpretazione o una rivelazione ispirata di dogmi etici e non la continua espressione dell’esperienza umana in cui sono inevitabilmente incorporati dei modelli patologici.
Sicché sembra che il mito condoni lo stupro perché è uno di quegli eventi che debbono essere raffigurati da ogni sistema che sia adeguato a quello che è il vero ambito dell’anima.
Dove sta allora la differenza tra il vostro o il mio stupro e uno stupro da parte delle figure del mito? Se il mito spiega (e sanziona) la patologia, allora una imitatio dei significa anche stupro.
La differenza sta tutta nel contesto in cui vengono compiuti? Accettando questo punto di vista, produciamo una separazione tra sacro e secolare, e ritorniamo coi neoplatonici. Vedremmo la copula di capri con donne in un tempio egizio (qual è riferita da Erodoto) a un livello sacro, rituale.
Ma questo non fa altro che accentuare la psicopatologia dello stupratore nel vicolo. Dove sono oggi i contesti rituali per trasporre le rappresentazioni mitiche dal secolare al rituale? […]

È chiaro che la questione rimane insolubile finché insistiamo a trattare comportamento e fantasia come due regni distinti. Questo scisma produce tutti gli altri: tra secolare e sacro, tra «dentro di noi» e «là fuori», tra mitologia e patologia.
Perciò, il primo passo per risolvere il problema particolare dello stupro, è quello di riconoscere il più ampio errore che gli sta dietro. Questo errore può essere corretto ricordando che il comportamento è anche fantasia, e la fantasia anche comportamento, e questo sempre.
Ciò significa, primo, che la fantasia è anche fisica; è un modo d’essere nel mondo. Non possiamo essere nel mondo fisico senza manifestare nello stesso tempo e in ogni momento una struttura archetipica. Non possiamo muoverci o parlare o sentire senza con ciò mettere in atto una fantasia.
Le nostre fantasie non stanno soltanto nella mente: esse sono anche il nostro comportamento.
Secondo: l’unione di fantasia e comportamento significa che non esiste nessun comportamento puro od oggettivo come tale. Il comportamento non dovrebbe mai essere preso a quello che è il suo livello, letteralmente. Esso è sempre guidato da processi immaginali e li esprime.
Il comportamento è sempre metaforico e richiede un approccio ermeneutico allo stesso modo che la più bizzarra fantasticheria della visione mistica. […]
La psicologia è perciò obbligata a considerare lo stupro sempre come metaforico, anche il tuo e il mio, anche per la strada.
Questa premessa è già un atto terapeutico, poiché vi è già affermata l’unità di fantasia e comportamento. Anche in strada c’è sempre un rituale che si svolge nel comportamento e qualcosa di sacro permane sempre in tutto ciò che è profano.
La trasposizione che abbiamo cercato è una trasposizione nella nostra visione delle cose, una trasposizione psicologica che ci consenta di vedere l’unità di fantasia e comportamento. Non abbiamo perciò bisogno di costruire messe in scena letterali e di chiamarle rituali. Il nostro è un tentativo di operare quella trasposizione della nostra visione.
Vedendo Pan dentro il comportamento nel panico, nella masturbazione e nello stupro, restituiamo sia il Dio alla vita, sia la vita al Dio.
Quando manca questa visione del Dio nel comportamento, lo stupro diventa soltanto psicopatologia. E quando perdiamo di vista Eros nell’analisi, l’erotismo del transfert diviene soltanto nevrosi; senza Saturno e Dioniso, depressione e isteria si riducono a diagnosi psichiatriche. Perdiamo di vista che, pur essendo sofferenze, esse appartengono a un modello più ampio.
In ciascuna di queste situazioni lo spirito moderno ha visto piuttosto la patologia che non la psicologia, dimenticando che la malattia fa parte del significato.
Il pathos è parte della psiche e ha il suo logos.
Il patologico, per quanto costruttivamente distorto e concretistico, nondimeno partecipa a «fare anima». Di questo i neoplatonici erano consapevoli. Essi compresero che le storie mitiche avevano dei significati per l’anima e che perciò questo valeva per tutte le parti delle storie, comprese le loro bizzarre depravazioni, gli orrori che sono immaginativamente essenziali per le storie, ma che oggi chiamiamo psicopatologici.
Ricordiamoci che l’orrore archetipico dello stupro colpisce anche la sua qui presente discussione […], ma mettiamo quest’orrore dello stupro entro la costellazione di Pan.
Ed ecco: innanzitutto, Pan insegue le ninfe: cioè, lo stupro ha come obiettivo una forma di coscienza indefinita ancora ubicata nella natura, ma non incarnata personalmente. Questa coscienza è ancora soltanto naturale, proprio come soltanto naturale è la pulsione di Pan.
La ninfa è ancora attaccata ad alberi, fonti, caverne, esili fantasmi, foschia; essa è casta, natura ancora intatta, una vergine.

Pan porta il corpo, un corpo caprino. Egli impone la realtà sessuale della generazione fisica a una struttura di coscienza che non ha una vita fisica personale, la cui vita è tutta «là fuori» nella natura impersonale.
L’assalto di Pan trasforma repentinamente la natura in istinto. Lo stupro ne fa qualcosa di intimo. Lo stupro lo porta «dentro di noi» da «là fuori».
L’impersonale penetra dal basso, nella parte più segreta del corpo, portando una consapevolezza dell’impersonale nella forma di un’esperienza personale.
Come tale, lo stupro è un orrore perché è una trasgressione archetipica. Fa incrociare a forza due strutture irrelate di coscienza, la cui distanza l’una dall’altra è espressa nel linguaggio degli opposti: vecchia/giovanotto, fanciulla/vecchio, vergine/libertino, bianca/negro, indigeno/straniero, soldato/borghese, padrone/schiavo, bella/bestia, classe dominante/classe subalterna, barbaro/civilizzato.
Ma la trasgressione è anche una connessione tra queste due strutture. Lo stupro situa la pulsione del corpo verso l’anima in una metafora concreta. Spinge l’anima alla concretezza. Mette forzatamente fine alla divisione tra comportamento e fantasia, violando la privilegiata distanza dell’anima che vorrebbe vivere la vita attraverso la riflessione e la fantasia.
Interpretare la forza e la trasgressione presenti nello stupro come aggressione è archetipicamente errato.
L’aggressione è insignificante nella costellazione di Pan. I suoi assalti e i nostri stupri, che li imitano, non sono aggressioni: sono coazioni. Non sono propriamente attacchi per distruggere l’oggetto, ma esprimono piuttosto un bisogno convulso di possederlo.
Il linguaggio dello stupro parla in genere di deflorazione, il cui paradigma è Persefone, la quale coglieva fiori quando fu afferrata da Ade.
Anche la deflorazione deve essere presa metaforicamente, non stiamo infatti parlando della rottura dell’imene di vergini reali, ma della coscienza fiorita che viene penetrata e della sua morte. Ben pochi stupri vengono compiuti su vere vergini, e tuttavia nella fantasia tutte sono vergini, si tratti di sorelle, figlie o monache, di compagne di scuola o di anziane cameriere.
Il fantasma della deflorazione e della verginità appare insieme con lo stupro. Empiricamente questa associazione ha poco senso; dal punto di vista psicodinamico è un’elaborazione secondaria e non essenziale; ma archetipicamente l’associazione di stupro e verginità è necessaria perché dimostri che il comportamento è governato dal fantasma di Pan e delle ninfe.
Da una parte l’intatto, cioè una coscienza priva di sensi corporei; dall’altra colui che tocca, il tattile corpo sensuoso.
Tatto, contatto, connessione – questo è cruciale per la metafora che si sofferma in tal modo sul linguaggio del corpo.
Pan, che a volte è detto l’invisibile, è nondimeno contemplato in modo quanto mai fisico come stupratore. È detto il sussultante, sfrontato, rozzo, feroce, zotico, sudicio, irsuto, nero Pan. Tali erano gli epiteti latini di Pan. […]
La vera trasgressione è la connessione a livello genitale di due strutture di esistenza umana dotate di differente status ontologico. Pan lo stupratore è un potenziale entro ogni impulso sessuale. Ogni erezione può scatenarlo, implicando un bisogno di deflorazione psichica.
Come psicologi, dobbiamo anzitutto vedere questo fatto, prima di accusarlo o di difenderlo. Una certa necessità della psiche può convertire un impulso in una fantasia di stupro, o perfino produrre una fantasia di stupro senza eccitazione sessuale.
È in atto un tentativo di trasgressione, un tentativo di passare da un livello a un altro, portando sesso e morte a una parte dell’anima che è completamente refrattaria a questo tipo di consapevolezza.

Pan lo stupratore verrà evocato da quegli aspetti verginali della coscienza che non sono fisicamente reali, che sono «privi di contatto», distanti dai sensi.
Sentimenti e pensieri che rimangono nebulosi e sfuggenti, che sono ancora freddi, remoti, riflessivi richiameranno su di sé lo stupro. Saranno continuamente assaliti da concretismi. Le pure riflessioni verranno stuprate e ancora stuprate allo scopo di essere immesse nel comportamento.
Lo stupratore che insegue la vergine è un altro modo di esprimere il comportamento in cerca della fantasia che acquieti la sua coazione. La repulsione della vergine è un altro modo di esprimere la paura che la fantasia ha del comportamento. Ma la violazione della vergine è inevitabile in tutti i casi in cui ci siano confini eccessivamente rigidi tra fantasmi troppo remoti dal corpo e fantasmi totalmente immersi nel corpo.
È allora che la metafora concreta della «forzata giustapposizione genitale» viene costellata ri-unendo fantasia e comportamento.
L’idea psicodinamica della comprensione esprimerebbe questa idea dicendo che il concreto ci viene addosso – come stupro, panico, o incubo – quando la coscienza è troppo eterea, effimera. Il concreto compensa la distanza dalla vita fisica, rappresentata in un paradigma concentrato dai genitali. Ma la psicodinamica, nel suo tentativo di riportare gli eventi nella psiche, li riconduce in realtà soltanto nell’io.
Si dice che questi orrori (stupro, panico, incubo) sono la conseguenza di qualcosa di sbagliato compiuto dall’io. L’irruzione del potere numinoso diviene nient’altro che un meccanismo psichico per correggere l’io. Le spiegazioni in termini di compensazione dimenticano che l’esperienza è del tutto trans-psicologica. Essa giunge con le qualità del numinoso.
Tuttavia, l’accento che la psicodinamica mette sul concreto non è privo d’importanza se lo consideriamo fenomenologicamente, lasciando da parte la teoria degli opposti in equilibrio.
Dal punto di vista fenomenologico stupro, panico e incubo mettono a disagio la coscienza con la loro concretezza, e perciò ci colpiscono sempre come psicopatologici: gli eventi sono talmente letterali!
Di nuovo, la psicopatologia non sta in ciò che accade ma nel come, nella metafora concreta dell’avvenimento. Stupro, panico e incubo sono appropriati dove l’angoscia e la sessualità sono prese concretamente, talché la psiche è già divenuta una vittima, catturata, oppressa, privata della sua libertà. L’orrore è già iniziato.
Tuttavia, dalla prospettiva della coscienza della ninfa lo stupro sarà sempre un orrore. È archetipicamente autentico e perciò anche questo orrore è significativo e non soltanto una pudibonda resistenza e un sintomo d’angoscia. L’orrore mette in guardia. Tenta di mantenere intatta una struttura di coscienza.
La coscienza riflessiva corre il pericolo di essere sopraffatta, stuprata e violata da quello stesso mondo fisico che essa riflette. La coscienza riflessiva si ritira. Questo è il suo movimento naturale, poiché anche la riflessione è istintuale.
Per mantenere libera la sua struttura riflessiva, questo aspetto della coscienza deve fare in modo che quell’incubo che è la natura non prenda il sopravvento e la ricopra. Il lato d’incubo della natura è il soffocante e oppressivo concretismo espresso dagli epiteti di Pan.
Ma il concretismo è presente in ogni domanda letterale che poniamo a qualcuno, in ogni frecciata fatta di consigli realistici, in ogni penetrante interpretazione su come vivere e che cosa fare.
Noi stupriamo e siamo stuprati non solo sessualmente. Il sessuale è soltanto una metafora che esprime il movimento «dal di sotto» (riduttivamente) per penetrare nell’intimità personale di qualcuno in una maniera rude e «soltanto naturale».
Niente costella queste trasgressioni di confine più delle innocenti domande poste dall’ambigua mente ninfica.
Il concretismo oscura la luce e blocca il movimento della fantasia. In questa prospettiva, la deflorazione non significa penetrazione e trasformazione, ma un’anima in pezzi. In questa prospettiva, si deve a tutti i costi mantenere intatta una purezza di luce riflessiva, poiché essa dà la libertà di allontanarsi dall’oppressione della natura e la capacità di immaginare la vita, e non di viverla e basta.
(Hillman, Saggio su Pan)