Nell’andare «là dove guardano gli occhi», l’eroe, l’eroina, viene a trovarsi in un bosco cupo e selvaggio … l’eroe e l’eroina capitano immancabilmente in una foresta.
L’eroe della fiaba, sia esso il principe, la figliastra scacciata di casa o il soldato fuggiasco, inevitabilmente si ritrovano in un bosco. Ed è qui che comincia la loro reclusione.
Questo bosco non viene mai descritto nei particolari: è buio, terribile, misterioso, convenzionale ma assai verosimile.
Lo studioso si trova a questo punto davanti un intero oceano di dati relativi all’immagine della foresta e dei suoi abitanti. Per non perdersi, egli è costretto ad attenersi soltanto a quelle immagini che sono legate alla fiaba.
Strettissimo è il legame fra la foresta della fiaba e quella che figura nella cerimonia d’iniziazione. Il rito dell’iniziazione avviene sempre proprio nella foresta. È questa la caratteristica costante e immutabile del rito in tutto il mondo. Quando non c’è il bosco, gli adolescenti vengono portati nella macchia.
Il legame tra la cerimonia dell’iniziazione e la foresta è tanto solido e costante che dobbiamo ritenerlo verificato anche nell’ordine inverso. Ogni volta cioè che l’eroe capita nel bosco, sorge il problema del legame di quel dato soggetto con il ciclo dei fenomeni propri dell’iniziazione.
Quando nella favola leggiamo: «Il padre lo portò nel bosco in una capanna solitaria e pregò dio per 12 anni», oppure: «Andiamo nel bosco, là troveremo la nostra casa», ecc. – il legame risulta assai trasparente e può essere facilmente individuato.
Dobbiamo dire però che nella fiaba non troviamo per il momento altri segni relativi al bosco che ci permettano di confermare questo accostamento.
La cosa cambia quando esaminiamo il ruolo funzionale di questa foresta. Il bosco nella fiaba svolge in linea di massima il ruolo di ostacolo che impedisce il cammino. La foresta nella quale viene a trovarsi l’eroe è impenetrabile.
Questa funzione del bosco si rivela anche in un altro motivo, quello del lancio del pettine che si trasforma in bosco e ostacola l’inseguitore. Qui il bosco non ostacola l’inseguitore, ma il forestiero, l’estraneo che non riesce ad attraversarlo. Vedremo che l’eroe riceverà dalla strega un cavallo che gli farà superare la foresta a volo. Il cavallo «vola al di sopra del bosco immobile». […]
La foresta, come elemento preso isolatamente, non dimostra ancora nulla. Ma che non si tratti del solito bosco lo deduciamo dai suoi abitanti, dalla capanna che improvvisamente si para davanti agli occhi dell’eroe.
Nel camminare «verso il luogo dove guardano gli occhi» e sollevando involontariamente lo sguardo, egli vede uno spettacolo straordinario: una capanna su zampe di gallina.
Ma è come se Ivan conoscesse già da tempo la capanna: «Entriamo, ci daranno il benvenuto». Ivan non se ne meraviglia e sa come comportarsi.
In alcune fiabe leggiamo che la capanna «gira», ruota cioè intorno al suo asse.
«Davanti a lui c’è una capanna su zampe di gallina e ruota continuamente su se stessa». Questa immagine deriva dall’errata comprensione delle parole «ruota su se stessa». In alcune fiabe troviamo una precisazione: ruota quando è necessario.
La capanna tuttavia non ruota da sola. Bisogna costringerla a ruotare e, perché questo accada, è necessario conoscere e pronunciare una parola.
Ancora una volta vediamo che l’eroe non se ne sorprende. Non è affatto impacciato e sa cosa dire.
«Secondo l’antico detto, secondo il racconto della balia: “Capanna capannuccia – pregò Ivan soffiandole sopra – mettiti con la parte di dietro verso il bosco e con la parte davanti verso di me”. E la capanna si rigirò verso Ivan, che vide dalla finestrella una grigia vecchietta» (Afanasjev: 75).
«Capanna capannuccia, girati con gli occhi verso il bosco e con la porta verso di me: non ci resterò un secolo, devo dormirci solo per una notte. Lascia entrare il viandante» (favola della Carelia).
Cosa avviene? perché la capannuccia deve girare? Perché non si può entrare normalmente? Spesso Ivan si trova davanti a una parete liscia «senza finestre né porte», l’entrata è dalla parte opposta.
«Questa capanna non ha porte né finestre, niente».
Ma perché non fare il giro della casa ed entrare dal retro?
Evidentemente, non è possibile. Evidentemente, la capanna si trova su un certo confine, visibile o invisibile, che Ivan non può superare. È possibile superare questo confine soltanto attraverso la capanna, e la capanna deve girarsi «per farmi entrare e uscire» (Smirnov: 1). […]
L’eroe non uscirà a piedi dalla capanna; ne uscirà volando su un cavallo o su un’aquila o trasformato in aquila. La capanna è aperta dalla parte del regno in capo al mondo, ed è chiusa dalla parte del regno già raggiunto da Ivan.
È per questo motivo che Ivan non può aggirare la casa, ma deve farla girare. Questa capanna è un posto di guardia. Egli passerà al di là del confine, quando avrà subìto l’interrogatorio e avrà superato la prova che dovrà decidere se può proseguire.
In sostanza la prima prova è già superata: Ivan conosce lo scongiuro, sa che bisogna soffiare sulla capanna e farla girare. «La capanna si rigirò verso di lui e le porte si aprirono da sole e le finestre si spalancarono» (Afanasjev: 81). «La capanna si fermò e le porte si aprirono» (Afanasjev: 65).
La posizione di confine occupata dalla capanna talvolta viene messa in particolare evidenza: «Al di là della prateria c’era un bosco selvaggio e sul margine del bosco c’era una capanna» (Afanasjev: 80). «C’è una capanna e al di là di essa nulla» (Afanasjev: 152b).
Talvolta la capanna si trova sulla riva del mare, talvolta sulla riva di un canale che deve essere superato con un salto. Dallo svolgimento successivo del racconto vediamo a volte che la strega è stata messa a guardia di questo confine da padroni ai quali è sottoposta e che la rimproverano per aver lasciato passare Ivan. […]
Veniamo ora a quando la capanna si è girata su se stessa e l’eroe vi è entrato.
Per il momento non ha ancora visto nulla, quand’ecco improvvisamente sente: «Fu-fu-fu! Non si era mai visto o sentito prima uno spirito russo. Ora lo spirito russo sta sul cucchiaio che imbocca da solo» (Afanasjev: 77). «Uno spirito russo è venuto a farmi visita nella foresta» (Karnaukova: 7). O più sinteticamente: «Fu, che puzza di russo» (Afanasjev: 79).
Dobbiamo soffermarci su questo particolare perché è essenziale. […]
L’«odore» di Ivan è quello di uomo, non di russo. Più precisamente ancora, è odore di uomo vivo. I morti, gli esseri immateriali non emanano odori; gli esseri vivi odorano; i morti riconoscono i vivi dall’odore.
Nelle leggende dell’America Settentrionale lo si nota chiaramente. Ad es.: un uomo si mette alla ricerca della moglie morta; nel mondo sotterraneo egli si imbatte in una casa. Il padrone di casa vuole ingoiarlo, ma dice: «Manda un enorme puzzo! Non è morto!».
Possiamo trovare numerosi casi del genere, ad es. nell’opera di Gayton dedicata al mito di Orfeo in America. In questi miti l’eroe viene riconosciuto per vivo dal suo odore. «Dall’altra parte – si racconta in questo mito – c’erano la moglie e molta altra gente». La moglie è morta e l’eroe l’ha ritrovata dopo lunghe ricerche. Ella danza con altri morti una danza particolare. Il nuovo venuto è riconosciuto dall’odore.
«Tutti parlavano del cattivo odore che il nuovo venuto emanava perché era vivo». È questa la caratteristica costante di questo mito.
Ma questa caratteristica la incontriamo non soltanto in questo mito e non solo in America. In una leggenda africana una bambina perde la madre e la morta viene ad aiutare la figlia a vangare il giardino. La riconoscono e la morta si allontana portando con sé la figlia.
Là in basso – continua la storia – la madre nasconde la figlia in un locale chiuso della capanna e le vieta di parlare. Dopo qualche tempo vengono in visita parenti e amici, tutte ombre. Ma appena si sono seduti nella capanna chiedono arricciando il naso: «Cosa c’è in questa capanna? Che cos’è questo odore? Qui c’è l’odore di vita. Cos’hai nascosto?».
Presso gli Zulu: «Si dice che se un uomo è appena morto sulla terra e se ne va tra i morti questi gli dicono: non ti avvicinare subito a noi, tu odori ancora di focolare. Essi gli dicono: rimani lontano finché non ti raffreddi dal calore del focolare».
Questo odore dei vivi è particolarmente sgradito ai morti. Probabilmente in questo caso sono stati trasferiti nel mondo dei morti i rapporti esistenti nel mondo dei vivi, con il segno invertito. L’odore dei vivi è sgradito e fa paura ai morti così come l’odore dei morti è sgradito e fa paura ai vivi. […]
Tutto questo dimostra che l’odore di Ivan è l’odore dell’uomo vivo che tenta di penetrare nel regno dei morti. Se questo odore risulta sgradito alla strega, è perché i morti provano in generale paura e orrore davanti ai vivi. Nessun uomo vivo deve superare l’ultima soglia, il Confine della Capanna. […]
Una volta entrato, il comportamento dell’eroe risulta inatteso. Incurante delle minacce della strega, egli chiede innanzitutto da mangiare. E là dove l’eroe entra in una casa vuota, trova già una tavola preparata e si serve da mangiare anche in assenza della strega.
La capanna stessa è a volte ridotta dal narratore a quest’unica funzione: essa è «puntellata da una torta», «coperta da una grande frittella», immagine che nelle fiabe per bambini dell’Occidente corrisponde alla «casetta di pan pepato». Questa casetta già dall’aspetto si presenta come un posto nel quale si mangia.
Noteremo che questo è il tratto caratteristico della strega: ella offre da mangiare e da bere all’eroe. Sottolineiamo anche che l’eroe si rifiuta di parlare finché non ha mangiato.
Il mangiare ha un suo significato particolare: partecipando al pasto destinato ai morti, il neofita entra a far parte definitivamente del regno dei morti. Di qui la proibizione fatta ai vivi di toccare questo pasto.
Chiedendo di mangiare, l’eroe dimostra di non temere questo cibo poiché ne ha diritto, perché egli è «autentico». Ecco perché anche la strega si placa quando l’eroe le chiede da mangiare.
In una leggenda americana l’eroe fa soltanto finta di mangiare, mentre in realtà getta per terra questo cibo pericoloso. Il nostro eroe si comporta invece diversamente, egli non ha paura di questo cibo.
Là dove il culto dei morti aveva avuto completo sviluppo, questa necessità di ricevere del cibo lungo il cammino è rispecchiato con chiarezza e nel dettaglio. Un esempio di particolare evidenza è quello egizio.
Il materiale egizio ci spiega perché è necessario mangiare prima di poter parlare. Il cibo apre la bocca del morto. Soltanto quando ha partecipato a questo pasto il morto può parlare.
Nel culto egizio al morto, cioè alla mummia, veniva offerto da mangiare e da bere mentre lo trasportavano nella cripta. Si tratta della cosiddetta «tavola delle offerte».
La cerimonia dell’apertura della bocca del morto era una delle cerimonie più importanti del culto. Nei testi funebri a questa cerimonia è dedicato un libro speciale intitolato Libro dell’apertura della bocca. […]
Una volta arrivati dunque alla capanna della strega, ovvero alle soglie dell’altro mondo, bisogna come prima cosa mangiare e bere.
Bisogna, cioè, «aprirsi» al cibo dei morti – iniziare a nutrirsi del loro stesso nutrimento, per avere accesso al loro Paese.
(Propp, Le radici storiche dei racconti di magia)