Per una sceneggiatura del Peloso

uomo-scimmiaEchi sparsi della «grandeur» di cui una volta ebbe a godere questo strano Personaggio che di tanto in tanto fa capolino nel Racconto, e che non possiamo altrimenti chiamare che con l’ATTRIBUTO, la «property» si dice nel gergo teatrale inglese, la «veste» con cui entra in scena: il PELOSO.
Solo notizie frammentarie.

Di Enkidu è detto che «tutto il suo corpo era coperto di peli»: Enkidu è il Selvatico, l’«uomo di natura», lo Scimmione che se la fa con le Bestie

… nel bosco vive un Selvatico, una specie di Animale Peloso, e il Re, sentendosi minacciato dalla sua presenza nei dintorni, per sicurezza ha mandato una prostituta a civilizzarlo

… il corpo di Vibhândaka «era coperto di peli fino alla punta delle unghie»

Enkidu e Vibhândaka – il primo è un «pezzo» del corpo del dio Enki, il secondo è figlio di Kašyapa, e dunque «nipote» di Visnu.
Non si tratta di piccoli trascurabili dettagli. Il «rango» del PELOSO non è da cercare in una genealogia «terrena», ma nelle alte «sfere celesti». Se scende di lassù, è per nullaosta divino. Scende a portare «aiuto» agli Uomini, a dare una mano al loro Re, a risolvere un problema «sociale», una difficoltà «urbana».
La sua è, dunque, una discesa provvidenziale. Viene a sciogliere un nodo umanamente inestricabile.
Questo dice il Racconto.

Le due storie, di Enkidu e Vibhândaka, hanno in comune anche un altro dettaglio: la seduzione ad opera di una «cortigiana»: la prostituta Shamkhat nel racconto mesopotamico, la bellissima Šântâ in quello indù.
In quest’ultimo però (e questa è la sola differenza tra le due storie) a essere «sedotto e donna-cervacivilizzato» non è direttamente il PELOSO, ma il figlio Rsyašrnga che egli ha avuto dalla CERVA. Neanche questo è un dettaglio da poco: il racconto indù ha in questo modo preservato la «santità» del PELOSO da ogni corruzione «umana». Il PELOSO rimane nella FORESTA – come dire: può sempre generare altri figli che potranno risultare, a noi uomini in difficoltà, provvidenziali. Altri Buddha verranno a «beatificarsi» dopo di lui. Altri santi verranno a «resistere» alle Tentazioni diaboliche a cui invece soccombiamo noialtri «cittadini»: noialtri ci «associamo» in quanto posseduti tutti dalle stesse Tentazioni, dalle Tentazioni della Specie, dalle Tentazioni che vengono ad affascinarci dall’Inconscio della Specie – e perciò sono per noi speciali. E noi, a nostra volta, ci siamo specializzati nell’Arte di frequentarle.
Noi, i «depilati».

Questo è quanto dice il Racconto. Anche se, un po’ di superfluo, ce l’ho qui aggiunto io – ma m’è scappato di bocca in un attimo di dissociazione dalla lettera del Racconto.
In ogni caso rimane il fatto che, per «sedurre» e portare «in società» il PELOSO o, perlomeno, suo «figlio», il Diavolo non ha che da inviare le cento milioni di truppe demoniache al suo servizio: ma chi mai sarebbe, a questo punto, il Diavolo se non il SOCIO che vuole addomesticarlo alla sua LEGGE? e quale lingua parlerebbe questa LEGGE se non la LINGUA SOCIALE? e quali sarebbero le lettere di cui è fatto l’alfabeto di questa LANGUE, se non le TENTAZIONI a cui essa ha saputo dare un NOME?
Il PELOSO dell’India rimane FORESTIERO a tutto questo. Rimane, stando al Racconto, in compagnia della CERVA – mentre a noialtri «rilascia» suo figlio, ovvero un «frutto» delle sue «nozze bestiali».

Se proviamo a buttare giù uno schizzo, abbiamo all’incirca questo schema:

FORESTA MEDIUM CITTÀ
Enkidu Shamkhat Gilgameš
(CERVA)-Vibhândaka = =
Rsyašrnga Šântâ Lomâpada

Solo un «pezzo» del Selvatico viene «sedotto e tradotto» nella LANGUE: le sue «nozze» con la CERVA restano FORESTIERE.
Non c’è dubbio: lo Sceneggiatore indù non si è rassegnato come il suo omologo mesopotamico a ridurre la Donna a una Puttana! Certo, è anche lui d’accordo: per addomesticare il Selvaggio serve una Cortigiana, ma – dice lui – la Cortigiana non può sedurre che un «pezzo», un «resto» appena della sua Santità.

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Salvador Dalì – La tentazione di sant’Antonio

Solo un organo, potremmo dire, appena un organo: quel corno portafortuna, quel «creapopoli» come ama chiamarlo Rabelais. Solo quello si «organizza» per associarsi alle Tentazioni della LANGUE. Solo quell’«avanzo» di Voluttà che Psiche e Amore «rilasciano» un attimo prima di congedarsi da noialtri.
È, più o meno, così che diventa Tutto Sesso.
E una volta che tutto è «ridotto» a una questione di sesso, bisogna trovare un Freud che abbia la pazienza di scendere a patti col Diavolo. Abbiamo bisogno di chi pensi «forestiero», di chi abbia i PELI SULLA LINGUA, di chi sia «restio alla parola» nella quale invece noialtri ci siamo imputtanati.

Ma non basta.
C’è dell’altro. C’è molto altro ancora. Abbiamo, è vero, solo echi sparsi del Racconto del PELOSO, ma con un po’ di attenzione queste tessere disperse le possiamo far risuonare l’una nell’altra, e forse ci diranno molte altre cose ancora. Forse addirittura troppe, per stare dentro le parole della nostra LANGUE.

… non è ancora «uomo», non si è spogliato del tutto del suo antico habitus animale, talvolta è ancora peloso, sempre e comunque viene al mondo che è «selvatico», e ogni volta bisogna che il Sisiutl ne attesti, punto e a capo, l’«umanità»

… il reame di Pan, del Selvatico, del Peloso: il regno di tutto ciò che non è «addomesticato», che non è «lavorato», che non è «acculturato»

… chiamalo Esaù, chiamalo il Peloso – è sempre lui: il Selvatico Bruto istinto di natura

… mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia – dice Giacobbe

Tu mi dirai: che c’entra Pan con Esaù?
E io ti rispondo: sono rispettivamente l’Interprete ellenico e quello ebraico dello stesso Personaggio – il PELOSO.
Sono due METONIMIE della stessa METAFORA.
Due diversi «trattamenti» delle stesse TENTAZIONI linguistiche: in parole povere, due modi differenti di «dire» (di maledire o di benedire, per intenderci) lo STESSO. O ancora meglio: due modi differenti di prelevare il questo o il quello dallo stesso MUCCHIO di semi inconsci (giusto per non dimenticarci della «cernita» di Psiche).

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Pieter Huys – Le tentazioni di sant’Antonio

C’è chi dice: il Selvatico è divino, il Peloso è il Tutto divino (Pan) – e chi invece «Senza Peli» (sulla lingua) non esita a scippare la «primogenitura» e, con essa, il diritto a dire del Tutto.
De gustibus.
C’è chi dice: l’ultimo resto di dio vive nella FORESTA, e chi invece ha puntato tutto sulla parola mendace del SENZA PELI.
Ma c’è anche chi dice: il SENZA PELI sa d’aver mentito, sa di misconoscere i diritti del PELOSO PRIMOGENITO, sa il VALORE di quei diritti che, invece, il PELOSO gli cede in cambio di un piatto di lenticchie – e dunque, è lui a non sapersi VALORIZZARE: non mente, è vero, ma perché non «dice» niente, perché rimane FORESTIERO a ogni «dire», rimane al di là del bene (dire) e del male (dire). Non dice.

Perciò, lo Sceneggiatore ebreo giustamente ne deduce che non c’è bisogno di scomodare la Puttana! Basta una qualunque minestra riscaldata per farlo fesso!
Chissà, forse sarà per questo che proprio gli Sceneggiatori ebrei si sono dovuti poi lambiccare il cervello più di tanti altri, a cercare di fare un po’ di luce su questo deserto, su questo «vuoto di donna» (a parole, s’intende) tra il FORESTIERO e il CITTADINO – tra l’INCONSCIO e il CONSCIO.

… Merlino nasce «così peloso e che, a nove mesi, sembrava già di due anni»

Insomma: dove meno te l’aspetti – a millenni di distanza, da tutta un’altra parte del Mondo del Racconto, in pieno Medioevo Cristiano, quando ormai erano state «cristianizzate» le antiche leggende celtiche e druidiche – ecco spuntare un altro Interprete, una a noi più vicina Metonimia del PELOSO, e a quanto pare, in tutt’altro contesto, eppure … di nuovo, il PELOSO è destinato a dare una mano al Re della Città, lui con la sua MAGIA (un «mago della pioggia» era pure Rsyašrnga) dovrà sostenere Re Artù nei momenti di maggiore difficoltà. Starà a lui rammendare gli orli della Leggenda della Tavola Rotonda.
Era figlio di un Demonio e di una Santa Donna. Non di una cortigiana, ma – detto nella lingua dei musici druidi – di una Cerva.
Vittima di un attentato, non già Tentatrice: ecco chi è la MATRICE della MAGIA di Merlino. Finalmente un po’ di «dolce stilnovo» che avanza: un venir a noi di quell’«immagare» che gli stessi stilnovisti dicevano d’aver patito dalla loro CERVA.

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Félicien Rops – La tentazione di sant’Antonio

Eppure, il canto quinto dell’Inferno, e soprattutto quel «che pense?» con cui Virgilio prova a scuotere Dante da chissà quale perplessità, induce pure a noi a non affrettare il giudizio, a non infervorarci troppo di questa MAGIA della Donna-Angelo: Francesca e Paolo sono finiti all’inferno!
Anche Dante finirà come il Beato Buddha per liquidare la TENTATRICE che comunque era nascosta dietro l’IMMAGINE che l’aveva «immagato». Anche Dante si beatificherà solo quando quell’IMMAGINE si sarà sciolta nella Luce che l’illuminava, quando ogni sua «ruga», ogni sua «curva», ogni sua «opacità» sarà tornata a immergersi nel Mantello di Luce del Paradiso di Amitâbha.

Tra CERVA e PUTTANA, tra la SPOSA CORNUTA e quella che METTE LE CORNA ALLO SPOSO – la LANGUE ci porta a spasso nel Racconto.
Quale meraviglia, dunque, se a uno poi gli gira la testa?
Non sto bene, sono depresso: questo rimuginava tra sé e sé Owein. E pensò che gli avrebbe fatto bene «inselvatichirsi» un po’. Andarsene un po’ «fuori città», nel rifugio di un eremo, più o meno come sant’Antonio. Ed ecco

… «lunghi peli gli spuntarono dappertutto ed egli ebbe per compagni gli animali selvaggi»

{ a proposito: qual è il confine tra l’animale e l’umano?
ma c’è davvero un confine o l’Inizio è, come diceva Anassimandro, sconfinato? }