Tawhaki viveva in questo nostro mondo. La bella Hapai abitava invece nei cieli. Tawhaki e Hapai erano lontani.
Un giorno però, di lassù, Hapai posò lo sguardo su Tawhaki e subito se ne invaghì. Al calar della notte discese dal cielo in cui viveva e venne a giacere accanto a lui.
Tawhaki credette che era una donna di questo mondo e fece l’amore con lei. Ma il mattino dopo, la donna era sparita nel nulla: era tornata a casa sua in cielo.
Solo la notte, da allora per molte notti di seguito, Hapai si lasciò vedere e amare da Tawhaki.
Ogni volta lui le diceva: «Resta qui! Non te andare!».
E ogni volta lei più o meno così gli rispondeva: che non poteva restare, che doveva andarsene come se ne vanno le stelle appena spunta l’alba. Come se ne vanno i sogni, appena ci si sveglia.
E così ogni volta, alle prime luci del mattino, se ne tornava a casa, da suo padre, il fabbro Tane.
Una volta le accadde però di rientrare più tardi del solito, e al padre che le chiedeva spiegazioni, Hapai finì per rivelare i suoi appuntamenti notturni col bel giovanotto di questo mondo, e lo pregò che la lasciasse andare a vivere con lui.
Il fabbro così le rispose: «Se egli è veramente Tawhaki, va’ a dirgli: Tane dalle antiche acque mi ha detto che, se tu riesci a passare davanti al suo volto, sei sicuramente Tawhaki; se riesci a sederti sul suo sgabello a quattro gambe, sei sicuramente Tawhaki; se riesci a estirpare il suo sacro albero dalle radici, allora certamente sei Tawhaki».
Tawhaki si recò da Tane dalle antiche acque, per superare le tre prove: passò davanti al suo volto, sedette sul suo alto sgabello a quattro gambe – e questo si infranse sotto di lui – ed estirpò dalle radici il suo albero sacro – e Tawhaki guardò giù e vide, di sotto, l’ingresso di Hawaiki.
Allora Tawhaki e Tane dalle antiche acque cantarono un canto sulla morte di Tawhaki. Poi col consenso di Tane, Tawhaki prese come sposa la bella Hapai e la condusse con sé nella sua casa in questo mondo.
Hapai gli disse: «Giurami che quando ci nascerà un figlio, se sarà un maschio, lo laverò io, ma se sarà una femmina, giurami che sarai tu a lavarla!».
A suo tempo, Hapai diede alla luce una bambina. Tawhaki, come aveva giurato, la prese e la portò al fiume per lavarla, ma infastidito dal cattivo odore che la bambina emanava, fece una smorfia.
Hapai lo vide e se ne sentì offesa. Le strappò la bambina dalle braccia e con lei se ne volò in cielo.
A Tawhaki che la implorava di perdonarlo e di restare: «No – rispose Hapai – non tornerò mai più da te».
E mentre si allontanava, disse anche: «Queste sono le mie ultime parole. Sta’ attento a non attaccarti ai fili pendenti del rampicante che dondola avanti e indietro nell’aria! Afferra invece quelli dalle radici ben salde nel suolo!».
Pronunciò queste parole e poi se ne andò via.
Tawhaki divenne triste: amava ardentemente Hapai e non poteva più vivere senza di lei. Passarono diverse lune e, quando la malinconia divenne insopportabile, propose al fratello Kariki di mettersi in cerca di Hapai e della figlia.
Kariki accettò di accompagnarlo nel difficile viaggio. E così i due fratelli partirono, portandosi dietro due schiavi.
Avevano già camminato abbastanza, quando Tawhaki si rivolse agli schiavi: «Fra non molto – disse – passeremo dinanzi al villaggio fortificato di Tongomeha. State attenti a non levare lo sguardo, altrimenti voi due, che non siete persone sacre, morirete».
Giunsero al villaggio e uno dei due schiavi alzò lo sguardo. All’istante, per effetto degli incantesimi di Tongomeha, gli venne strappato un occhio e questo causò la sua morte.
Tawhaki e Kariki continuarono il viaggio con un solo schiavo.
Alla fine giunsero alla casa della trisavola Whaitiri. La vecchia era cieca, ma Tawhaki con un incantesimo le restituì la vista. Così la donna rivide i due pronipoti e, avendoli riconosciuti, pianse insieme a loro.
«Dove siete diretti?», domandò.
«Sto cercando mia figlia», disse Tawhaki.
«Ma dove si trova?», chiese Whaitiri.
«Lassù nei cieli», disse Tawhaki. E le raccontò per filo e per segno la storia di Hapai e della sua fuga in cielo.
«Ah – esclamò la vecchia. – Ecco laggiù la strada che devi prendere (e gli indicò i viticci d’un grosso rampicante che pendeva dal cielo). Ma sta’ attento a non arrampicarti se non alle prime luci dell’alba. E quando sarai a metà del cammino, non volgerti a guardare in basso, altrimenti sarai colto da vertigini e cadrai. Sta’ attento a non aggrapparti al viticcio che dondola, ma a quello che ha le radici ben salde nella terra. Se cadi, sarai cibo buono per me, che ti mangerò».
Fu Kariki che per primo tentò l’impresa, ma si aggrappò per sbaglio al viticcio senza radici, e una raffica di vento lo spazzò via di là dall’orizzonte.
Tawhaki lo chiamò: «Fratello mio, fa’ un salto! Lasciati andare!».
Con un balzo, Kariki gli fu di nuovo accanto.
«Tu hai pronunciato un incantesimo e mi hai fatto cadere», disse irritato al fratello.
I due fratelli litigarono per questo. E Tawhaki, temendo che Kariki avrebbe compromesso l’esito del suo viaggio, gli consigliò di tornarsene a casa e proseguì la scalata da solo.
Il cammino era impervio, ma lui, memore dei consigli della trisavola e recitando certi potenti incantesimi appresi dall’anguilla Tuna roa, riuscì a salire fino a Rangi-tamaku, il cielo senza numero, dove viveva Hapai.
Quando vi giunse, per non farsi riconoscere, prese le sembianze d’un vecchio straccione. E così camuffato si presentò ai cognati e parenti di Hapai, che stavano lavorando allo scafo d’una nuova canoa.
Uno di loro, appena lo scorse, gridò: «C’è un vecchio che potrebbe aiutarci».
Ma il vecchio si sedette e stette a guardare.
Al tramonto lo chiamarono di nuovo e gli dissero: «Vecchio, perché non ci trasporti queste asce?».
Tawhaki raccolse da terra le asce e disse ai giovani: «Andate pure avanti, perché io non cammino spedito come voi!».
E quelli si avviarono, e appena scomparvero dalla vista Tawhaki riprese il suo aspetto e, afferrata un’ascia, andò a lavorare allo scafo della canoa. Cominciò dalla prua e proseguì verso la poppa, stando sempre da un lato. Poi lavorò dalla poppa alla prua, dal lato opposto. In poco tempo la parte esterna della canoa era bell’e finita!
Ripreso l’aspetto d’un vecchio e raccolte le asce, Tawhaki andò al villaggio e andò dritto da Hapai che era seduta con la figlia davanti al fuoco.
La gente gli gridò: «Non avvicinarti! Il posto dove Hapai è seduta è tabù, e se ti avvicini anche tu sarai tabù!».
Ma lui non ascoltò l’avvertimento e si sedette a terra accanto ad Hapai e vi rimase fino al calare della notte, senza dire neanche una parola.
La mattina seguente, i cognati gli dissero: «Vecchio, portaci le asce! Andiamo a riprendere la costruzione della canoa: tu, portaci le asce!».
Essi andarono e Tawhaki a passo lento li seguì.
Per tutto il giorno i cognati lavorarono all’interno dello scafo. Poi, quando fu sera, ordinarono al vecchio di raccattare le asce e si avviarono al villaggio.
Anche questa volta Tawhaki restò indietro, e quando non scorse più gli uomini, tornò a completare l’interno della canoa. Poi tornò al villaggio e andò di nuovo a sedersi nel posto tabù, accanto ad Hapai, senza dire una sola parola fino al calare della notte.
La mattina seguente, i cognati ordinarono per la terza volta al vecchio di portare le asce al cantiere. Per tutto il giorno lavorarono alle estremità della canoa e, quando fu sera, come al solito dissero al vecchio: «Raccatta le nostre asce prima di far ritorno al villaggio!».
Fecero però solo un tratto di strada e si appostarono dietro i cespugli, curiosi di vedere com’era che accadesse che il lavoro che essi lasciavano incompiuto, lo ritrovavano bell’e finito la mattina dopo.
E videro il vecchio prendere l’aspetto di un capo, d’un giovane di meraviglioso aspetto. E lo videro che, impugnata un’ascia, si metteva al lavoro per portare a termine le estremità della canoa. Pensarono: «Costui dev’essere un dio!», e corsero al villaggio ad avvertire Hapai.
Dalla descrizione che le fecero dello sconosciuto, Hapai non ebbe dubbi: «Dev’essere Tawhaki – disse. – Quel capo è certamente vostro cognato!».
E andò incontro al vecchio che, trascinandosi a stento, rientrava al villaggio.
«Ora devi dirmi chi sei!», gli disse.
Tawhaki non le rispose, ma tirò dritto verso la casa dov’era seduta la figlia.
«Dimmi! – soggiunse Hapai. – Sei forse Tawhaki?».
Ma lui senza dire una parola si chinò e prese in braccio la figlia. E in quello stesso istante, con stupore di tutti i presenti, riassunse il suo vero aspetto.
Poi, finalmente, disse: «Sono venuto a celebrare la cerimonia dell’imposizione del nome di nostra figlia».
Puanga fu il nome che le fu imposto. Dicono che, al culmine della cerimonia, su di lei scaturirono lampi dalle ascelle di Tawhaki. Dicono che fu un bagno di luce, e che tutti i presenti dovettero chiudere gli occhi per non essere abbagliati, ma che poi, quando li riaprirono, Tawhaki non c’era più.
Se n’era andato, a quel che si sa, in un paese lontano, sperando di essere ucciso colà. Noi solo questo sappiamo: che la terra dove Tawhaki fu infine ucciso, fu da allora chiamata il Rifugio della pioggia rinfrescante.