Eliade – Sotto la guida del cervo

caccia-cervo-medievalIl tema mitologico della «caccia» è molto diffuso, sia nella forma di miti di origine (origine di popoli, di stati, di dinastie, ecc.), sia nella forma di leggende folcloristiche che mettono in luce le conseguenze inaspettate dell’inseguimento di un animale: […] un principe indiano insegue un cervo e si smarrisce in regioni sconosciute; attirato da un cervo, Teodorico giunge all’Inferno; un cacciatore del Tirolo, inseguendo un cervo, muore sui monti; il cervo inseguito si trasforma in una fanciulla o in un demone, ecc.

Qui, di questi miti, ci interessa soltanto notare la funzione di guida che assume l’animale, o incontrato durante una caccia, o apparso in altre circostanze.
Secondo Gregorio di Tours, per esempio, una cerva mostrò a Clodoveo il guado attraverso la Vienne in piena, mentre egli si accingeva ad attaccare Alarico e l’armata dei Goti. E in un altro passo il medesimo autore racconta che il generale della Borgogna, Mummolus, mentre accorreva in aiuto agli abitanti di Grenoble, assediati dai Longobardi, riuscì ad attraversare l’Isère perché un animale selvaggio gli mostrò il guado.

Il tema sembra essere stato molto diffuso in Occidente; Fredegario riferisce che una «fiera» rivelò ai Vandali lo stretto di Gibilterra così che essi riuscirono a passare dalla Spagna in Africa.
Secondo un’altra tradizione, una cerva condusse attraverso la Manica i Franchi, inseguiti dai Sassoni. […]

Per ragioni facili a comprendersi, la storia dell’invasione degli Unni, raccontata da Giordane, ha avuto una popolarità straordinaria. L’irruzione degli Unni in Europa, nel 375, benché rappresenti soltanto un episodio delle numerose invasioni dei popoli della steppa eurasiatica, ha avuto conseguenze considerevoli e si comprende perché l’avvenimento non sia stato dimenticato.
Giordane racconta, riferendosi a Prisco, che gli Unni abitavano al di là delle paludi della Meozia, riservate esclusivamente alla caccia. Un giorno, mentre alcuni cacciatori Unni cercavano della selvaggina sulle sponde della Meozia, apparve all’improvviso una cerva che avanzava nelle paludi. L’animale si comportava come una guida: avanzava per un certo tratto, poi si fermava, così che i cacciatori potessero seguirlo e attraversare a piedi le paludi della Meozia che essi avevano immaginato estese come il mare. Quando giunsero nel paese degli Sciti, la cerva disparve.

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Gli Unni, che ignoravano l’esistenza di un altro mondo al di là delle paludi, furono affascinati dal paese degli Sciti e credettero che una divinità avesse loro rivelato il guado attraverso le paludi, fin’allora sconosciuto.
Ritornati nel loro paese, lodarono la scitica terra e convinsero gli altri a seguirli, attraversando il guado indicato dalla cerva. Dopo essere giunti nel paese degli Sciti, sacrificarono alla Vittoria tutti i prigionieri.

Esaminiamo i seguenti elementi: 1) gli Unni ignoravano l’esistenza di un territorio al di là delle paludi, perché vivevano isolati dal resto del mondo; 2) si dedicavano esclusivamente alla caccia: vedendo la cerva, la inseguirono, dapprima, come si insegue la selvaggina, ma ben presto compresero la natura «divina» dell’evento, perché la cerva si fermava ogni tanto per aspettarli; in conclusione, essa non fu più considerata selvaggina, ma guida, e disparve quando i cacciatori furono al sicuro sull’altra sponda delle paludi della Meozia; 3) ritornati nella Scizia con tutto il loro popolo, gli Unni si comportarono da cacciatori-guerrieri; i primi prigionieri furono sacrificati alla Vittoria.
Il passaggio dalla caccia alla guerra è accaduto «naturalmente». Del resto, è noto che gli Unni combattevano col metodo dei cacciatori delle steppe eurasiatiche, imitando cioè il modo di comportarsi dei cacciatori all’inseguimento di un branco. […]

Come agli Unni, a ogni popolo il Racconto attribuisce la leggenda di un animale-guida. In tutti i casi, l’apparizione, l’inseguimento e, qualche volta, l’uccisione di un animale selvaggio o domestico sono in rapporto con il formarsi di un popolo, con la fondazione di una città o di una colonia, o con l’interrogazione di un oracolo, come per il Fondatore del primo impero europeo.
In tutti questi miti, leggende e modelli «letterari» troviamo un’idea comune: un animale decide l’orientamento in un territorio sconosciuto o salva un gruppo di persone in una situazione difficilissima; questo gesto non è soltanto «miracoloso», ma segna o rende possibile l’inizio di una nuova realtà storica: città, nazione, stato, impero. […]

La leggenda magiara di Hunor e Magor elabora lo stesso motivo. Andando a caccia nella steppa, i fratelli Hunor e Magor, figli del gigante Ménróth, videro una cerva e la inseguirono attraverso le paludi della Meozia, fino a una fertile pianura, dove la cerva disparve.
Tuttavia, poiché il luogo sembrava adatto al pascolo, Hunor e Magor ritornarono nella loro terra per chiedere al padre il permesso di stabilirsi colà coi loro amici.
Dopo sei anni furono di nuovo attratti nella steppa da suoni e canti: le mogli del figlio del re Bereka (Bedar) e le figlie del re Dula celebravano una festa, della quale non ci è giunta alcuna notizia. Hunor e Magor rapirono le donne e, unendosi con loro, generarono i capostipiti degli Unni e dei Magiari […]

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Il paiolo di Gundestrup

Il tema mitico dell’animale che conduce un gruppo etnico nella sua futura patria è ampiamente attestato in Italia e nel mondo greco. I due animali a cui più di frequente si attribuisce questo ruolo di «guida» sono il toro (l’uro) e il cervo.
Il cervo e il toro sono già raffigurati nei disegni rupestri della regione iberica e della Liguria e, sul paiolo di Gundestrup, il dio è rappresentato fra un cervo e un toro.
Nei testi irlandesi è talvolta difficile stabilire se si parli di un cervo o di un toro: il cervo è chiamato «bue selvatico», la cerva «vacca selvatica», e il cerbiatto «vitello selvatico». Fra il V e l’VIII secolo le autorità ecclesiastiche condannarono con forza i riti paesani che comportavano maschere e travestimenti che si riferivano ai cervi e ai tori.

Tutto ciò dimostra quanto sia complesso il problema. Fin dalla preistoria, culti e sistemi religiosi diversi si sono reciprocamente influenzati. Le simbiosi e i sincretismi sono avvenuti molto prima dei «grandi incontri» fra le religioni. Dall’era neolitica, se non dall’alto paleolitico, è difficile trovare concezioni religiose «pure», cioè del tutto indipendenti dalle creazioni religiose anteriori e contemporanee.
Esaminiamo, per esempio, la parte del cervo nelle mitologie e nelle religioni dell’Eurasia. Il problema è vasto, ma è opportuno conoscere la genesi religiosa di un mito come quello che si riferisce all’arrivo degli Unni in Europa.

Il culto del cervo si estende a est fino alla Cina e al Giappone, e a sud fino all’Italia (Valcamonica, Diana di Nemi, ecc.), all’Illiria, alla Grecia (Artemide), al Mar Nero, al Caucaso, all’Asia Minore (il dio ittita delle tempeste che cavalca un cervo).

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Lo «stregone» della grotta dei Trois Frères

Maschere di cervi sono presenti in Europa fin dalla più lontana antichità fino ai tempi moderni.
Il celebre «stregone» paleolitico della grotta dei Tre Fratelli (Ariège) è rappresentato con una testa di cervo dalle grandi corna ramose, mentre su una placca di ardesia, a Lourdes, è inciso un uomo con corna di cervo e con coda di cavallo.

La caccia e l’uccisione dei cervi sono raffigurate nei disegni rupestri dell’età del bronzo in Svezia.
Nell’Edda, il cervo è posto in relazione con Óðinn e con l’albero del Mondo (Yggdrasill). Un cervo adorna l’estremità dello stendardo di ferro scoperto nello ship burial di Sutton Hoo (Suffolk) e che risale al secolo VIII.
La funzione del cervo come animale funerario e guida dei morti nell’aldilà è ampiamente attestata nelle tradizioni germaniche. I morti appaiono talvolta sotto l’aspetto di cervi, e vi è anche l’usanza di avvolgere i morti in pelli di cervo, senza dubbio a causa del ruolo di psicopompo di quest’animale.

Tuttavia la funzione funeraria del cervo non è la più importante, poiché è anche attestato il suo carattere solare. In una poesia islandese del secolo XIII, il «cervo solare» è descritto coi piedi sulla terra e con le corna che toccano il Cielo.
Nelle antiche leggende popolari russe, il sole è immaginato come un cervo fiammeggiante che attraversa di corsa il cielo. […]

È inseguendo il cervo che si scopre un paese sconosciuto, o si penetra nell’Inferno, o si incontra il Bodhisattva o il Cristo, ecc.; in altre leggende, il cervo inseguito è una fata, una strega, un demone o il capo del regno dei morti che attrae il cacciatore nell’altro mondo, o in un mondo incantevole e magico, ecc.
Si può, tuttavia, stabilire un carattere fondamentale comune a tutte queste leggende: l’inseguimento del cervo si conclude con un mutamento radicale della situazione, o del modo d’essere, del cacciatore. Si tratta di una «rottura di livello»: si passa dalla vita alla morte, dal profano al sacro, dalla condizione ordinaria alla sovranità; si incontrano esseri sovrumani (fate, maghi, stregoni) o morti o dèi o demoni; si passa dalla steppa alla pianura fertile, dallo stadio larvale all’esistenza piena e gioiosa, dall’anonimato alla storia o dalla dipendenza alla libertà.
In tutti i casi la rottura di livello porta un nuovo modo di esistere (e ciò è vero anche per le varianti in cui l’eroe muore o penetra nell’altro mondo).

(Eliade, Da Zalmoxis a Gengis-Khan)