
Le più antiche raffigurazioni di esseri compositi che ci siano state conservate, provengono dal Giappone.
L’immagine di Yorimitsu assalito dai demoni, attribuita a Tosa Mitsuaki (metà del Trecento), mostra l’eroe dopo che ha combattuto coi suoi quattro compagni contro i mostri, seduto in una notte di tempesta nell’angolo di una stanza in una casa dove l’ha condotto un teschio.
L’uomo è sereno e immobile come un monaco. Ma, tutt’attorno a lui, comincia una misteriosa agitazione: spiriti, ombre, si risvegliano, muovono verso di lui, demoni e bestie emergono dalle profondità notturne e, insieme con essi, una processione di oggetti: una ciotola rovesciata corre sui suoi manici; una valigia con occhi e una bocca per serratura avanza sul dorso di una creatura umana; un coltello inguainato trotta su due zampe.
È una Tentazione, che però anticipa di più di un secolo le grandi composizioni occidentali. Il soggetto è molto diffuso nell’iconografia estremo-orientale, ed è ancora frequente nel Settecento.
Tra le innumerevoli varietà di oggetti viventi – l’oggetto stesso trasfigurato, l’oggetto con membra aggiunte, l’oggetto innestato sull’organismo di un altro essere – ve n’è una che sembra specifica a questo bestiario: l’oggetto personificato. L’oggetto in se stesso non cambia, ma si prolunga nella figura del personaggio che lo mette in movimento.
La silhouette è quella di un uomo che porta sul capo o che ha indosso una cassa o una pentola. Non si tratta però di un uomo vero e proprio, bensì di un utensile da cucina, di una cassetta umanizzati, dotati di forma e d’intelligenza umane.

Il Corteo dei cento demoni, attribuito a Tosa Mitsunobu (morto nel 1525), ne ha tutta una schiera. Piatti, brocche, vasi, scodelle galoppano sulle spalle e sulla testa dei diavoli.
Creature simili si dibattono in Bosch, contemporaneo del pittore giapponese: in un disegno di Oxford è un cappello, nel Giudizio finale di Vienna una campana, altrove una cesta di vimini che si spostano, calcati su figure umane.
Potrebbero unirsi tutti quanti alla precipitosa corsa dei demoni estremo-orientali senza sentirsi spaesati. Un sogno buddhista percorre, del resto, numerose Tentazioni occidentali, in cui tutti questi mostri compositi fanno irruzione.
La scena di Yorimitsu circondato dai mostri è come una Tentazione in cui i prodigi e gli spiriti del Male emergono da ogni parte. Anche l’irruzione delle schiere di Kuei-tzu-Mu e il Corteo dei cento demoni indicano lo scatenarsi della natura. È lo stesso sollevamento in massa, il gigantesco assalto di tutte le forze nemiche che l’Occidente spiega attorno al santo eremita.
Ma in Estremo Oriente, le Tentazioni si moltiplicano partendo dalla leggenda di Buddha. Prima di divenire Šakyamuni, il Saggio, l’Onnipotente, anche Gothama ha dovuto resistere al Diavolo.
Ricordiamo, in poche parole, le fasi della sua illuminazione. Il Bodhisattva è seduto ai piedi dell’albero della Bodhi ed entra in meditazione: sta per raggiungere la saggezza perfetta e per diventare il salvatore del mondo.
È questo il momento che Pâpîyân (Mâra) sceglie per lanciare il suo attacco: come prima mossa scatena contro il Predestinato «il suo esercito di quattro corpi di truppa, formidabile, quale né gli dèi né gli uomini avevano visto l’eguale né inteso parlare».
Il Lalita-Vistara ci dà la descrizione di questi soldati. Si vedono creature «dotate della facoltà di cambiare a piacimento il proprio viso e di trasformarsi in cento milioni di modi … con ventri, piedi e mani deformi … visi splendenti di un terribile splendore, visi e denti difformi … alcuni avevano corpi fiammeggianti … alcuni, portando montagne in fiamme, si avvicinavano fieramente, stando sopra altre montagne in fiamme … alcuni avevano orecchie di elefante, orecchie pendenti. Alcuni avevano il ventre come una montagna … altri avevano il ventre come una brocca … Alcuni avevano corpi deboli, formati da un ammasso di ossa …».
Tutti i mostri dell’Inferno sono riuniti in questa battaglia, «facendo nascere nuvole nere, producendo una notte nera, provocando frastuono». Lanciano frecce, pietre, asce, ma i proiettili si cambiano in fiori.
Allora Mâra fa cadere le piogge per inghiottire il Beato in un diluvio, ma il principe è protetto dal serpente Mucilinda che lo ripara nelle sue spire, e al diavolo non resta che tentare la sua ultima carta, la seduzione.
Invia le proprie figlie che cercano di turbarlo con i trentadue raggiri della magia femminile, velandosi e svelandosi, mostrando i seni, facendo risuonare gli anelli delle loro caviglie, scoprendo le cosce simili alla proboscide dell’elefante.
Ma l’esposizione delle loro attrattive fisiche resta vana. Il Beato trionfa ancora vedendole sconce e impure, con «il corpo che si consuma, fragile e avvolto di dolore». Così, nelle raffigurazioni della scena viene spesso mostrata, tra le seduttrici, una donna vecchia e deforme, oppure tutte le figlie di Mâra mutate in vecchie decrepite.
Egli si immerge di nuovo nei suoi pensieri, afferra infine il significato segreto delle cose e si eleva all’ultima consacrazione: il Bodhisattva diventa Buddha.
La scena è rappresentata frequentemente sia nella scultura, sia nella pittura. Su uno stendardo di Tun-huang (intorno al X secolo), la sua selvaggia grandezza ha un aspetto fatato. Essa conserva invece un carattere ancora più arcaico nel Tibet, ma resta dovunque fedele al testo, da cui i pittori di demoni hanno spesso tratto ispirazione.
Così, i diavoli che trasportano rocce e salgono sui picchi nel corteo di Kuei-tzu-Mu, sul rotolo attribuito a Li Lung-mien, sono la trasposizione pittorica di un passo ben preciso. Tutte le Tentazioni estremo-orientali si ispirano più o meno direttamente a questa visione, e lo schieramento di queste orde demoniache si riflette ancora nelle tarde raffigurazioni di sant’Antonio.
Nata nell’Egitto copto, aperto alle grandi correnti orientali, la leggenda stessa del padre dei monaci cristiani, quale appare nel contemporaneo sant’Atanasio, è stata avvicinata alla mitologia buddhista. Per molti studiosi, anzi, l’eremita è più indostano che palestinese.
Una versione derivata da fonti arabe, tradotte nel 1342 dal domenicano Alphonsus Hispanus, arricchisce la leggenda di un altro elemento orientale, l’episodio di una regina che trascina l’anacoreta nel proprio palazzo.
Secondo le tradizioni, il monaco doveva superare parecchie prove: un attacco in una tomba da parte dei demoni, un assalto di demoni sotto forma di animali (lupo, leopardo, orso, leone, serpente e scorpione), una lotta tra gli angeli e i demoni attorno al santo sollevato in aria nell’estasi, la tentazione del disco d’argento e del mucchio d’oro, la visione del mondo, avvolto in una grande rete, che tende le sue trappole, e infine l’apparizione del Diavolo sotto l’aspetto di una donna, di un fauno, di un centauro, di un ragazzo negro e di una statua.
La storia differisce sensibilmente dalle sue ultime raffigurazioni fiamminghe in cui non vi sono fasi separate ma un assalto unico, e in cui i mostri demoniaci non hanno più un rapporto diretto con le fonti letterarie.
Le miniature delle sillogi antoniane di La Valletta (1426) e di Firenze (1435), la tavola del Maestro della Genealogia della Vergine di Monaco (circa 1500), che seguono strettamente la narrazione, hanno per soggetto centrale l’incontro degli eremiti. Le Tentazioni si sparpagliano in una serie di scenette.

L’esplosione delle forze del male avviene attorno al santo nell’incisione di Schongauer (prima del 1473), che in generale si considera un’illustrazione dell’episodio in cui Antonio, sollevato in aria nell’estasi, si trova alle prese coi diavoli, mentre gli angeli lo aiutano a toccare di nuovo il suolo.
In realtà, qui Antonio è innalzato più da uno sciame di orride creature che dagli slanci della sua anima, e non vi è un solo angelo.
L’immagine è stata accostata alla raffigurazione di san Gutlac su un disegno inglese della prima metà del Duecento, perfettamente conforme al testo di una relazione del IX secolo: l’eremita dell’isola di Crowland è sollevato in aria dai demoni che lo trascinano poi all’Inferno. Il turbine selvaggio, gli esseri, i bastoni branditi sono molto simili.
Sembra dunque che Schongauer si sia ricollegato a un sostrato antico, mescolando le due leggende. Il rinnovamento delle Tentazioni nel Quattrocento comincia così con un prestito e una confusione, e la visione prenderà il suo prodigioso avvio, in Bosch, Mandyn, Huys, Met de Blès, Bruegel, e negli artisti che da questi discendono, moltiplicando fantasie e mostruosità di diversissima provenienza.
La rappresentazione del santo rompe con la tradizione agiografica: l’eremita è solo un pretesto, un centro di attrazione attorno al quale si ricreano tutte le fantasmagorie e le allucinazioni del mondo.
Mai l’anacoreta aveva subito un simile attacco. Non si può non pensare alla leggenda in cui Satana si solleva contro un dio.
Per i loro eccessi, gli aspetti pittoreschi, le deformità, le Tentazioni occidentali hanno maggiore affinità col carattere del testo di un Lalita-Vistara che non con le narrazioni degli storiografi cristiani.
Gli esseri infernali e gli esseri grotteschi che vi prendono parte derivano dai principali repertori del Medioevo, ma arricchiti e raggruppati secondo uno spirito nuovo.
Perlopiù il monaco è seduto come Gothama ai piedi di un albero e le apparizioni che lo tormentano hanno solo un tenue legame con le sue avventure. Il disco e il mucchio d’oro, la rete con le sue insidie, la statua, il fauno e il centauro sono spariti e, al loro posto, insorgono le schiere «che si trasformano in cento milioni di mondi».
La natura stessa sembra associarvisi come il Diluvio attorno al Beato; anche qui il fuoco incendia la terra e le montagne.
C’era proprio bisogno di scatenare un tale ciclone contro un umile solitario?

Coi suoi oggetti demoniaci la Tentazione di Bosch del Museo del Prado è meno vicina alla leggenda cristiana che a una visione buddhista di demoni-brocca.
Su una pala d’altare proveniente da Marienfeld (inizi del XVI secolo), il santo sotto l’albero è assalito da uno scheletro che non è affatto menzionato nelle sue prove, ma che figura tra le orde di Mâra.
Infine, le scene di seduzione hanno un accento di esotismo: come nell’assalto di Pâpîyân, le donne hanno un’importanza primaria: cortigiane e regine cercano di turbare l’anacoreta con tutte le loro malie.
Nella Tentazione di Jan de Cock, non mostri compaiono davanti al santo, ma quattro giovinette diaboliche coperte di veli trasparenti e adorne di diademi.
In uno pseudo Met de Blès, due giovani donne dai seni sporgenti, con pesanti collane e bizzarri copricapo, sono presentate da una mezzana con corna di cervo che sembra dire: «Guarda queste donne dal viso simile alla luna, dalla bocca simile al loto novello, dalla voce dolce e carezzevole, dai denti simili alla neve e all’argento», mentre l’atteggiamento del santo risponde: «Vedo il corpo riempito di materie impure e di una famiglia di vermi, ben presto assalito dalla distruzione e dalle infermità …» (Lalita-Vistara, 1253).
A Lisbona, nella tavola di Bosch, vi sono alcune figure esotiche, tra cui una negra; in Pieter Huys (Louvre), una peccatrice, dalle cosce e dal ventre dipinti, una donna velata all’orientale, una vecchia gobba. Quest’ultima si inserisce naturalmente nel gruppo degli esseri grotteschi, ma resta vicina alla giovane bellezza lasciva.
Anche la Tentazione attribuita a Patinier o a Matsys (Museo del Prado) mostra una vecchia strega tra le giovani che offrono la mela a sant’Antonio. Rugosa e sdentata, scoprendo il petto flaccido, la donna appare come un simbolo della vanità. La vecchia dell’assalto di Mâra non ha altro significato.
Nella sua ultima manifestazione, la visione ritorna alle sorgenti che l’hanno nutrita alla nascita, si ricompone e si amplifica.
Non si tratta di traduzioni o di trasposizioni dirette, ma di riferimenti, di prestiti sparsi, di vaghe reminiscenze, di concordanze volute o spontanee.
Le cose avvengono in una medesima sfera drammatica e tutte le Tentazioni che ne hanno ripetuto i temi finiscono per confondersi. Tutte sarebbero potute intervenire in queste raffigurazioni di un assalto demoniaco, ma in una sola si è avuta questa grandiosa orchestrazione: la vita del santo è eclissata dalla storia di una misteriosa divinità lontana.
Rinvigorita dapprima dalle sopravvivenze di antichi Inferni medioevali, La tentazione di sant’Antonio risente l’azione delle correnti orientali e prende dimensioni cosmiche sotto l’influsso di un mito più vasto di una semplice vita di eremita.
(Baltrušaitis, Il Medioevo fantastico)