Dopo la guerra, Madame Jeanette non ci ospita più al vecchio indirizzo in via delle Fontane Blu. Dopo i bombardamenti del Reich, là non ci sono più che macerie. Dalla fine della guerra, il Salotto di Madame Jeanette (così per gioco eravamo un tempo abituati a chiamarlo) è traslocato all’ultimo piano di un vecchio edificio d’età napoleonica, non distante dalla Bastiglia.
È solo un caso?
Madame Jeanette, di certo, di noi non ha convocati che quei pochi che il Caso ha risparmiati per un suo capriccio (insensato com’è insensato ogni gesto «divino»).
Ma per quale meraviglia dovrei io ancora dipingermi il volto e presentarmi (ma con quale faccia) alla chiamata di Madame?
Il paleontologo (ricomparso all’improvviso da dietro le quinte), già lo vedo: come al solito, appena entra, si scusa per il ritardo: s’è dovuto (dice sempre così) fermare a prendere un caffè alla Taverna dei Giullari.
Poco male: verranno altri ritardatari, dopo di lui. (Non è forse questo il «segreto del Paracleto»? che l’Ultimo è sempre di là da venire?).
So d’aver dissacrato (per la qual cosa, credetemi!, la guerra è un’occasione da non perdere) – so d’aver dissacrato quasi tutti i sacramenti, ma più di ogni altro ho sconfessato, uno per uno, li ho sconfessati grammaticalmente, i nomi degli eroi consacrati alla Causa! Etiologicamente, li ho smascherati alla loro «povertà di senso» iniziale.
Colui che così sa, sputtana ogni precedenza:
Purusa (la Maschera dell’Inizio) «brucia» ogni Passato
(Brhadâranyaka Upanisad, 1: 4.1)
E quando il Santo dei Maestri dice: «abbandona il padre e la madre!», non mi sta forse suggerendo di lasciar perdere il «prima», il «cronologico», e ogni altro regime «parentale»? e se lo dice, non sarà per indicarmi un «altro» occhio con cui profanare il mondo? un occhio con cui «cercare» dio al di là di Dio stesso?
Togli la causa, togli la spiegazione … guarda, non è detto che è tutto solo caos e confusione! è tutto, di nuovo, nelle Mani del Caso, nelle Sue mani. Nelle mani della Terza Persona. E questa Terza Persona, dice il Santo, non è nessun «causato».
Va be’, invece di perdermi in fumo, potrei dire semplicemente che c’è stata la guerra, e io per fortuna non sono morto.
Questo almeno è quanto attesta la Cronologia. Questo sancisce l’Orologio del Municipio. Dice che c’è stata la guerra (ed era mondiale), e che è stata così terribile, che ogni dio è stato spergiurato a ogni bomba una volta per sempre. E che infine ha vinto il dio della guerra, il solo capace di sterminare tutti i suoi concorrenti.
Ha vinto il Nome della Paura, e tutti gli altri «vocaboli» si sono ai Suoi piedi inginocchiati.
La verità è che ogni giorno di guerra, invece, io sono morto di mille paure. E l’indomani, anche se un po’ in ritardo sulla mia propria presunta ontologia, sono dalle mie ceneri «fenicemente» risorto. Un po’ più zoppo, d’accordo un po’ più guercio se vuoi, un po’ più rachitico certamente, un po’ più rattrappito nella paura di non farcela.
Più che Paracleto, sono un qualunque paraculo.
Sono sopravvissuto da un io all’altro, ogni volta abbandonando al loro destino mio padre e mia madre. Non ho più la faccia tosta di negarmelo.
Madame Jeanette ha provato, inutilmente, a consolarmi.
Mi ha scritto una lettera. Una tenera, calda lettera d’amicizia – in cui, oltre a comunicarmi il nuovo indirizzo di casa sua, e l’ora e il giorno di quello che lei ha chiamato il «Rinascimento» dello spirito dei nostri vecchi incontri, non so perché, ha allegato un suo ritratto di gioventù. E sotto, in calce, mi ha scritto queste parole: «Non credo d’essere mai stata Costei, se non in una remota età carolingia».
Per un momento, davanti all’assurdità della frase, ho sorriso.
Se lei è cambiata così tanto da non riconoscersi più, se non nella delirante «storiografia» d’un certo suo pittore di gioventù, proprio lei che invoca un «Rinascimento», allora intendo meglio quel suo appello allo «spirito».
Solo quello, forse, può essere lo Stesso – benché morto a ogni colpo di fucile. Morto e risorto da un nuovo mutamento.
Solo la Mente – dice Ovidio – permane attraverso i suoi mille travestimenti. Non c’è che quel «posto». E quale che esso sia, se pure una volta fu un posto «reale» (è tutto da vedere), adesso non può che essere «immaginato».
E come immaginarlo?
Come l’artificio di un’altra creazione?
Confezionando altre proposizioni logiche – come se il Logos, passando per non so quante bombe cadono in una guerra, possa mai rimanere indifferente ai Rancori e alle Vendette che esso, da sempre, ha imparato a «maledire»?
Come? nella stessa lingua delle maledizioni – come può esserci una parola santa?
Il Santo dei Maestri dice che solo la Parola che non ha mai scagliato un peccato, solo la Parola che non ha Passato, solo la Parola dell’Inizio può essere la chiave, ma non di una ennesima ricreazione dello Stesso.
La chiave può essere sì, ma di una meta-creazione.
Ecco quello che mi è successo.
A furia di rifugiarmi sempre più sotto terra, per non essere raggiunto dalle bombe dei bombardamenti, è successo che sono sprofondato nella Terra Vuota di dèi, di luci e di senso.
Una Terra senza padre né madre.
Senza Nessuno che l’avesse creata.
Era lì da sempre. E potevo anche non sprofondarci mai.
Ricordo solo, confusamente, che la notizia che era scoppiata la guerra, ce la diedero le bombe che senza preavviso a grappoli ci cadevano sulla testa. E che dovemmo in fretta e furia precipitarci a uscire dal cinema. Non era un bel film, quello che stavamo vedendo. Non però così brutto da non farsi preferire ai bombardamenti. Eppure, ci accalcammo tutti all’uscita.
Questo solo ricordo. Ricordo che accanto a me, nella ressa, una vecchina aveva puntato l’ombrello contro la schiena di quella specie di armadio che aveva davanti e, incalzandolo, gli diceva: «Forza! Spingi! Voglio andare a vedere dove cadono le bombe!».
Non posso dirli che così i miei pensieri. Non altrimenti che nella loro sconcertante maniera di distrarsi l’uno dall’altro. Changez la femme!
Figuratevi se riuscirò mai a confessare il mio amore a Madame Jeanette: non le farei che un altro ritratto, magari più antico del suo carolingio.
Eppure, eccomi qua, stasera a casa sua.
Al nuovo indirizzo.
M’aspetto solo che, dal dibattito che si farà quando avremo fumato, qualcuno mi dia lo spunto per attaccare a dire, metaforicamente s’intende, quel che ho da dire alla «mia» Jeanette.
Le direi che, quando siamo usciti dal cinema e nella mischia del fuggi-fuggi generale sono andato a rifugiarmi sotto terra, all’improvviso laggiù è squillato il telefono.
E io, divincolandomi tra i fuochi rossi sparati dalla mitraglia e i cianotici raggi sputati dai laser, là sotto – cioè alla fine del mondo – ho alzato per finta la cornetta, e tu dall’altra parte del telefono mi hai chiesto: quand’è che torni a casa? – e io che avevo mille scuse per fingermi indifferente alla tua voce, in quell’estremo lembo di sogno in cui tu, per puro caso e del tutto fuori luogo, mi apparivi – io, a cui la tua voce appariva, e ti giuro non ti ho mai vista così bella come in quel frangente! – io non sapevo che rispondere.
Ero tutto un tremito, e a quel punto non capivo se a farmi tremare era più la paura delle bombe o la gioia di ascoltarti, di nuovo.
Voglio morire – mentre ti ascolto.
M’era venuto questo pazzo desiderio, quando tu, una seconda volta, mi hai ripetuto la domanda: quand’è che ti rifai vivo?
Va be’ che c’è la guerra, però …
Però, cosa?
Meglio non dire niente, tanto m’inceppo. Meglio dissolvermi in silenzio, non ti pare?
(Pavel Kutzko, Mattutini di al-Manalkan)