Acqua chiara che si dona rinunciando a sé: bisogna che per arrivare alla poesia io attraversi tutte le sue fasi, ne rispetti le metamorfosi, a cominciare dalla più misteriosa, quella che consiste, per l’acqua, nel non essere più acqua.
Andrò a salutarla in cielo, là dove prende indifferentemente il nome di nuvola o di pioggia, a seconda che essa dorma o ami.
La invocherò nel desiderio, nelle lacrime delle piante, e nella terra, a ogni passo.
La strapperò alla gioia, all’uomo nella sua pienezza, alla coppia per la quale l’acqua vuole essere un fiume, alla solitudine per cui vuole essere un lago, al dolore per il quale ha voluto essere il mare: il mare delle tempeste, il mare dei quattro alberi spezzati, il mare degli annegati e dell’aurora.
E poi la lascerò scorrere tra i morti.
In una parte del loro deserto, l’acqua creerà un’oasi dove fioriranno i nostri ricordi e le nostre preghiere.
Anche le chiederò di estinguere la sete della Disperazione, scheletrica Principessa che fa sanguinare i tetti e le strade.
Le chiederò di esaudire il sudore.
(Jabès, Uscite di sicurezza)