Divagando sui tre richiami

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I miti sudamericani ci hanno introdotti a questa curiosa distinzione dei tre richiami a cui l’«eroe» sarebbe chiamato, a seconda dei casi, a rispondere o a rimanere sordo.
Procedendo dal più forte al più debole, abbiamo nell’ordine il richiamo della Roccia (o della Pietra), del Legno Duro (o della Quercia), e del Legno Putrido (o delle Lusinghe Effimere = della «vita breve»). Ciascuno dei tre ha un suo proprio Mondo: dal più intimo e profondo (la Roccia) al più superficiale e a portata di mano (la Pappa quotidiana), passando per l’Albero genealogico della Memoria (di Specie, innanzitutto).

Se lasciassimo la parola a Mastro Platone, scommetto che ci direbbe che il Legno Putrido è la doxa, che la Quercia secolare è l’alêthé, e che la Roccia è il Lete – che nulla sa, nulla vuole e, soprattutto, di nulla si ricorda.
Macché! sono inferno purgatorio e paradiso – s’affretterebbe a dire, dal canto suo, Mastro Dante.
Comunque vuoi chiamarli, sono sempre Tre i «piani» distinti. O per dirla meglio: sono sempre Tre i «tempi» della Messinscena Umana. Tre i figli o le figlie del Re – dice il Racconto. O anche: tre Vecchie, una più vecchia dell’altra. In quante favole le abbiamo incontrate!

Abbiamo incontrato, di fatto, ogni volta la Contraddizione del Racconto – che è poi la nostra contraddizione esistenziale: viviamo in superficie, siamo venuti a galla – come Glauco – dal fondo del mare. Siamo emersi dall’Incoscienza Eterna (che nulla sa del paradiso in cui «è») a questa Stagione Breve, ovvero a questa o a quella Moda a cui si aggiorna, finché ce la fa, la nostra Coscienza.
Abbiamo lasciato la Roccia (e sulla Roccia abbiamo lasciato Demetra in lutto), e ci siamo aggrappati a un ramo della Quercia (a una nostra alêthé, a un nostro miraggio infantile, a quella che il Dottore chiama la nostra Urbild, la prima «istruttoria formale» del nostro narcisismo) per avventurarci nel Paese della Putrefazione, per venire cioè a «progettare» (o forse a riprogettare) qui la nostra esistenza sull’onda dei «si dice», delle mode e dei Segni Pubblici con cui sono «marcati» tutti i nostri appetiti e desideri.

uomo-pentimentoLa Contraddizione è: ma chi ce l’ha fatto fare?
Perciò, solo per questa minima curiosità, lo domandiamo ai Narratori del Sudamerica: ehi, voi che siete così lontani, voi nella vostra lingua che dite? chi ce l’ha fatto fare?
Perché, dovete sapere, ancora per noi è un rebus che non sappiamo sciogliere: perché il nostro essere si getta, e affida le sorti del suo destino, ai Segni della Piazza? – a quelli, per intenderci, che Thot a noialtri ha insegnato a mettere per iscritto?

La Fame!
Sento che in coro all’unisono i sudamericani mi rispondono: la Fame! Rispondono: siamo venuti in superficie spinti dalla Fame. Saremmo rimasti a dormire laggiù nel profondo, se nelle nostre stesse viscere non si fosse attorcigliato un labirinto tale che ne potevamo uscire solo sfamando il nostro narcisismo!

La Fame ci contraddice giorno per giorno. Macché, istante per istante, il sazio (il Satiro che è in noi) è in accanita discussione col morto di fame (capisci? quello che ha appena finito di mangiare e vuole mangiare ancora, e ancora, e ancora).
Affamato è l’Oggi, il Presente – che chiede sempre altro nutrimento, per poter rimanere a galla. Si nutre, in mancanza d’altro, di ricordi, di «tempi morti»: di Segni morti perché «passati», due volte morti perché passati «altrui».

Questa è la denuncia di Platone: i rami secchi del Legno Putrido sono senza vita, i Segni Pubblici sono senza corpo. Il loro «vissuto» non è il «vissuto» di chi li apprende. Fu il «vissuto», poniamo, di un Poeta. L’esempio più facile è la Beatrice di Dante.
Poniamo che Beatrice sia stata per Dante la sua alêthé, l’Icona sacrosanta del suo puerile narcisismo: non per questo è «roba nostra» o, come si dice, farina del nostro sacco. Per noi è solo un Segno Altrui – un Segno scritto sulla Pubblica Piazza, alla portata di qualunque «lettore».

È cosa morta, avanzo inattuale … e tuttavia, riecco la Contraddizione, la sola che continua ad attuare umanità – a istigare cioè il «lettore» a riprodurre il proprio (progetto) sull’altrui (mitologia).
La Contraddizione è che siamo Imitatori. È che il nostro desiderio riproduce il desiderio dell’altro, e lo riproduce, a volte, talmente bene da diventare la copia conforme di tutto ciò che non desidera.
Siamo imitatori reciproci – come diceva Anassimandro: non facciamo altro che dirci e disdirci a vicenda «secondo l’ordine del Tempo».
Ma sì, il morto è morto e perciò è facile da disdire, eppure a volte dalla sua carne putrefatta, dal suo avanzo inattuale (ora è soltanto un Segno Pubblico), il morto si prende la sua rivincita.

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I miti sudamericani sono più espliciti in proposito: il Legno Putrido, dicono, è la nostra «attualità», il «giorno per giorno», questo «nato morto», questo «debito mai estinto» che governa la nostra incontinenza quotidiana (dacci il nostro pane).
Non ci conteniamo nel nostro ancestrale midollo smemorato, usciamo alla memoria, al concepimento cioè di un «minimo numero» per avventurarci nel linguaggio «binario» della Quercia e delle sue ramificazioni (quello che Freud chiama un «desiderio maturo» dopo tanti spezzettamenti della serie «… e … e …»). Ma non ci conteniamo neanche in questa Stagione Narcisistica. No, ci apriamo ancora a quest’altro Nutrimento. Apriamo la bocca per ingoiare, scusate la franchezza, tutta questa merda che Platone in qualche modo nobilitava chiamandola doxa.

Il sentito-dire, il «si dice», la Chiacchiera è la nuova Padrona della Bocca. E la Bocca non beve più che l’acqua «salata» del Mare dei Suoi appetiti.
La Chiacchiera – ma chi è Costei?
E già, la Matrigna delle Favole. La Narcisista non soddisfatta dalle «risposte» dello Specchio. La Vendicativa che ci «avvelena» le mele del desiderio, che ci stringe nei suoi lacci fino a soffocarci, solo per costringerci a mangiare la sua merda.
E sempre merda avremmo continuato a mangiare, raccontano in Sudamerica, ma anche a Firenze (scusa, almeno una volta, era così), sempre e solo di «come sa di sale lo pane altrui», di pubbliche credenze e lettere e libri scritti ci saremmo riempiti la bocca – solo per sfamarci, e nient’altro – se dal Cielo non fosse discesa la Stella, la «nostra» Stella, la Stella dell’Umanità.

Lo so, bisogna essere molto, ma proprio molto ingenui, per credere alla sua Favola. E poi … di questi tempi, e per giunta a questa età.
È proprio vero che il Vecchio deve letteralmente «rimbambire», tornare bambino, ad renovatam infantiam – si diceva una volta – per sapere quanto è stato ancor più ingenuo a immolarla, la sua Favola, al «carpe diem» di cui in giro si dice che fa bene alla Salute.
Alla Salute della Chiacchiera, è sottinteso.

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E sia, viva la Doxa – dal momento che è Lei la sola vera Eterna, che sa immortalarsi nel suo perpetuo divenire, e che continua eternamente a rinnegarsi, istante per istante. Questa è la sua Sapienza.
La Sapienza che nel nome della Fenice «aggiorna» continuamente i propri database esistenziali, non più – come una volta – ogni cinquecento anni, ma istante per istante. Come dire: per riportare la propria Urbild nello spezzettamento smemorato dei frammenti di desiderio da cui è sorta. E da ogni singolo pezzo, per farsi restituire – Platone direbbe – al Mondo delle Idee. Per essere catapultati, se non nel Lete, almeno in un’ebbrezza (sia pure artificiale) che sappia dello stesso sapore della sua incoscienza.
Ma, mi raccomando, che sia un assaggio superficiale. Questo è l’inferno: il morto di fame domani vorrà assaggiare dell’altro ancora.

Gli estremi, però, dell’inferno e del paradiso si toccano!
Questa è la Contraddizione, e la Scommessa umana. Che all’Uomo sia aperta ancora una via (di ritorno) al paradiso – laggiù, paradossalmente, nel fondo più fondo dell’inferno in cui l’ha cacciato il suo stesso Richiamo narcisistico.
La Scommessa è che il legno morto può servire ad accendere altri fuochi, di altre cucine, per altre bocche affamate.
Provo a spiegarmi.

Vari miti attribuiscono il dono delle piante coltivate a una donna-stella, discesa sulla terra per sposarvi un mortale. Prima di allora gli uomini mangiavano la carne accompagnandola con legno putrido a guisa di legumi
(Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto)

Di questa enigmatica Donna Stella «caduta dalle nuvole», di questa Core o Sophia precipitata giù nel nostro inferno, noi in Occidente abbiamo i nostri indizi: Inanna, Iside, Ištar – abbiamo anche noi il Racconto di questa Sposa infelice, del cui corpo tuttora  nutriamo le nostre immaginazioni, e perciò siamo curiosi di saperne di più.
Se è Lei l’alêthé di Platone, se è Lei la Beatrice di Dante, se è Lei la Feconda Terra Genitrice che ravviva la vita a un morto di fame come Campana – allora siamo ancora più curiosi di capirci qualcosa.

uomo-stellaLa Contraddizione è che un pezzo di cielo (perché il nostro cielo è stato fatto a pezzi in illo tempore), uno straccio di placenta (perché la placenta di nostra Madre Stella è stata stracciata in illo tempore), insomma un avanzo di «follia divina» è dovuto venire a imputridirsi nella nostra famelica muffa – nel fondo più nero del nostro oscuro istinto, per illuminarci la via a un’altra vita, a un’altra cucina, a un’altra umanità.
La Contraddizione è che il desiderio dell’uomo è sempre il desiderio dell’altro. È che non sappiamo contenerci dal desiderare l’altro. È che questa «incontinenza» fa rumore, quando non dovrebbe farlo. È che si azzarda a rumoreggiare, pur di riprendersi un frammento del corpo di Madre Grano.

Beatrice è quel frammento di Madonna, Euridice è quell’altro frammento di Demetra, le dita delle mie mani quando scrivono di Lei sono altri frammenti ancora del suo Desiderio senza corpo.
Maschio e femmina non sono che i bastoncini per accendere il suo fuoco.
Perché Stella è stata buttata giù dal cielo, è caduta sulla nostra tavola – questa è la Contraddizione, mentre mangiavamo un putrido piatto di lenticchie.
Eravamo destinati a imputridire come le specie estinte degli altri ominidi – se Stella non ci avesse illuminata quest’altra via «alimentare» (perciò Lucrezio chiama alma la sua Venere).

Questa via «umana» tracciata tra le due sponde incommestibili (l’una totem, l’altra tabù; l’una sacra, l’altra proibita) della Roccia (o dell’Immortalità) e della Putrefazione (dei morti).
Stella è, dunque, a ciascuno la stella della sua scintilla di memoria. Se non ce la scordiamo, non è per merito nostro, ma grazie a Demetra che eternamente la piange (e la piove, a quel che si dice, la notte di san Lorenzo) su di noi.
Come? non lo senti pure tu il suo Richiamo Antico? Possibile che senti le voci della piazza, quelle che non fanno in tempo a dirsi che già hanno voglia di contraddirsi, e non senti neanche l’odore delle Sue lacrime?