Schneider – Quando gli dèi si rifugiarono nel suono

Esaminando i documenti di musica primitiva e raggruppandoli secondo l’ordine della teoria dei cicli di culture, si possono scorgere le differenti fasi assai probabili dell’evoluzione storica dell’arte musicale.
I documenti delle culture più primitive permettono di sospettare che l’evoluzione musicale, al principio dell’epoca neolitica, fu influenzata essenzialmente dal canto degli animali e che uno dei primi passi nell’evoluzione musicale verso un fenomeno propriamente tonale (melodico) tende a imitare un animale con voce melodica, specialmente gli uccelli, che in certo modo hanno «preformato» il canto degli uomini; ma solo dopo che sono state create la cultura totemica e l’agricoltura primitiva si sviluppa una musica propriamente detta.

musica-indùGli uomini sono coloro che ora imprimono alla musica il loro sigillo caratteristico. Invece di imitare i gridi animali, gli uomini cominciano a cantare con suoni propriamente musicali o suonano strumenti musicali con note determinate.
Ma la tradizione antica dell’animale creativo e portatore legittimo del linguaggio musicale continua ad essere conosciuta ancora nelle alte culture medievali, fino al punto di sopravvivere ancora in certi riti religiosi e nelle culture musicali dell’India, sia per la designazione dei suoni con nomi animali, sia per la costruzione di strumenti musicali che adottano le forme esteriori di qualche animale.

La verità è che nel IV o V secolo dopo Cristo, Bharata, nel trattare della musica della sua epoca nel capitolo 28 del Nâtya-sâstra, dà una descrizione molto particolareggiata del sistema tonale, senza citare nessuna relazione di suoni musicali con gridi animali.
Segue un’epoca molto lunga della quale non si è conservato nessun trattato di musica, dato che l’importante documento musicale di Sârngadeva nel Samgîta-ratnâkara I. 3: 48 non risale oltre il XIII secolo. Catura Dâmodara (Samgîta-darpana I. 162: 2) scrisse nel XV secolo e imitò solo Sârngadeva.
Ciononostante […] la tradizione dovette avere piena continuità dai tempi vedici fino a Sârngadeva.

In questi sistemi non si tratta più di imitare in forma realistica e istintiva i gridi animali, ma di produrre artificialmente suoni musicali ben determinati e separati da intervalli meticolosamente misurati mediante una unità chiamata shruti, che divide l’ottava in 22 parti.
Continuano ad essere importantissimi l’intonazione e il timbro della voce e sembra tanto essenziale l’intonazione esatta, che questi interventi piccolissimi erano denominati shruti, cioè «rivelazione divina».

La Chândogya Upanisad (II. 21: 1) fornisce delle indicazioni riguardo all’intonazione (gâna) che lasciano intravedere codesta transizione fra gridi animali e suoni musicali. Secondo la suddetta Upanisad, il gâna di Agni deve essere gridato come fanno le bestie, e quello di Vrihaspati deve essere cantato con voce di gazza reale. Gli altri gâna sono designati come «velati» (Prajâpati), «chiari» (Soma, Luna), «soavi» (Vayu, vento), «soavi ma molto decisi» (Indra) e «discordanti» (Varuna).
musica-SarasvatiMa sebbene continui a essere in vigore l’imitazione del timbro delle voci animali, non si può trattare più di quell’imitazione realistica che caratterizza il canto primitivo, dato che i «metri divini» regolano il ritmo sia pur proferito con timbri di voci animali. I differenti modelli ritmici antichi che riproducevano tutto ciò che è imitabile dell’animale-totem si trasformano ora in una serie di metri tipici determinati.

La musica continua ad essere la più alta sapienza, ma abbandona il carattere empirico ed elementare che aveva nella mistica primitiva, passando ora ad un piano molto più astratto di filosofia cosmica speculativa.
Questa evoluzione si verifica nell’epoca bramanica e trova la sua espressione classica nella filosofia del Vedânta. Tutte le Upanisad sono d’accordo quanto al carattere metafisico e al valore trascendentale del piano acustico. Nell’indicare il modo di avvicinarsi a Brahmâ, la Chândogya Upanisad (III. 13: 8) dice che, se si chiudono gli orecchi col pollice, si ode un «ronzio simile al fuoco che arde». Questo ronzio deve essere «venerato con una percezione del Brahmâ». Lo stesso dichiarano la Maitrâyana (II. 6) e la Brhadâranyaka Upanisad (V. 9). Il suono non è solo il principio che unisce il cielo e la terra, ma l’unico elemento immortale.

Gli dèi, per timore della morte, si rifugiarono in una triplice scienza. Si «avvolsero» nei metri, ma la morte li scorse sia nel linguaggio e nel Sâman come nel Yayus. Allora gli dèi si rifugiarono nel suono … Il suono è quella sillaba (Om); detta sillaba costituisce l’immortalità e l’intrepidezza.
(Chândogya Upanisad, I. 4: 1-3)

Il suono è anche il respiro (prana), il principio fondamentale della vita; tutto ciò che vive deve suonare. Perfino il sole, la cui natura è calda come quella del prana, è insieme uno svara (suono) e una canzone di lode.
Arriviamo finalmente all’equazione: suono musicale o suono comune = respiro = vento = principio della vita = linguaggio = calore (fuoco) = sillaba mistica Om.
Nell’ordine della creazione del mondo la Taittirîya Upanisad presenta l’Âtman come il più alto principio. L’elemento che prima di tutto si sprigionava dall’Âtman è l’Akâsa, lo «spazio puro» (l’etere), che penetra tutto il cosmo e che è portatore del suono.

(Schneider, Gli animali simbolici)