Galles – Owein alla conquista della Dama

albero-fontana-bacileAppena Kynon ebbe terminato il suo racconto: «Uomini – disse Owein – non sarebbe bene cercare di trovare quel luogo?».
«Per la mano del mio amico – disse Kei – non è la prima volta che la tua lingua propone ciò che il tuo braccio non farebbe!».
«In verità – esclamò Gwenhwyar [Ginevra] – sarebbe meglio vederti impiccato, Kei, che sentirti pronunciare discorsi oltraggiosi verso un uomo come Owein!».
«Per la mano del mio amico – egli rispose – principessa, non hai detto in lode di Owein più di quanto abbia detto io!».

In quel momento Artù si svegliò e chiese se avesse dormito alcun tempo.
«Non poco, Signore», disse Owein.
«È ora di desinare?».
«È tempo, Signore», disse Owein.
Il corno diede il segnale d’andare a lavarsi le mani e l’Imperatore, con tutte le sue genti, si mise a tavola. Terminato il pasto, Owein scomparve. Andò al proprio alloggio e preparò il cavallo e le armi.

L’indomani, appena vede spuntare il giorno, riveste l’armatura, monta a cavallo e s’incammina verso i confini del mondo e i deserti delle montagne. Infine, si trova nel vallone boscoso che Kynon gli aveva indicato, tanto da non poter dubitare che si tratti proprio di quello.
Cavalca per il vallone seguendo il corso del fiume, poi passa dall’altra parte e raggiunge la piana; segue la piana finché è in vista del castello. Si dirige verso il castello, vede i giovani che lanciano i coltelli nello stesso luogo dove li aveva visti Kynon, e l’uomo biondo, e il signore del castello, in piedi accanto a loro. Nel momento in cui Owein si avvicina per salutarlo, l’uomo biondo gli rivolge il saluto e lo precede al castello.

Nel castello Owein vide una camera e, entratovi, delle pulzelle che cucivano broccato di seta giallo, sedute su sedie a braccioli dorate. Owein le trovò più belle e più graziose di quanto gli avesse detto Kynon.
Esse si alzarono per servirlo come avevano fatto per Kynon. L’accoglienza parve a Owein migliore di quanto fosse parsa a Kynon.
A metà del pasto, l’uomo biondo chiese a Owein per qual motivo si trovasse in viaggio.
Owein non gli nascose nulla: «Vorrei – disse – incontrare il cavaliere che è a guardia della fontana».
L’uomo biondo sorrise; pure, gli era arduo parlare a Owein dell’avventura, proprio come gli era stato difficile parlarne a Kynon. Gli fornì tuttavia ogni indicazione. Poi, andarono a coricarsi.

L’indomani mattina Owein trovò che le pulzelle avevano approntato il suo cavallo. Cavalcò fino alla spianata dell’uomo nero, che gli parve ancora più grande di quanto fosse parso a Kynon.
Gli chiese la strada. L’uomo nero gliela indicò. Come Kynon, Owein seguì il cammino fino all’albero verde. Vide la fontana e sul bordo la lastra col bacile.
Owein-grandineOwein prese il bacile, lo riempì d’acqua che rovesciò sulla lastra. E subito, ecco, il rombo del tuono, poi – dopo il tuono – la grandine, ed entrambi ben più potenti di quanto avesse detto Kynon. Dopo la grandine il cielo si rischiarò.

Quando Owein alzò gli occhi sull’albero, non v’era più una sola foglia. In quel mentre gli uccelli vennero a posarsi sull’albero e si misero a cantare. E appena più intenso divenne il piacere che egli traeva da quel canto, vide un cavaliere giungere dalla vallata.
Owein gli andò incontro ed essi si batterono rudemente. Spezzarono entrambi le lance, estrassero le spade e duellarono. Presto Owein assestò al cavaliere un colpo tale che attraversò l’elmo, il cappuccio di maglie di ferro e la ventaglia e, trapassata la pelle, raggiunse la carne e le ossa fino al cervello.
Il cavaliere nero sentì di essere mortalmente ferito, fece dietrofront e fuggì. Owein lo inseguì e, pur non potendolo colpire con la spada, tuttavia lo incalzava.

Apparve un grande castello sfavillante.
Essi giunsero all’ingresso. Il cavaliere nero riuscì a entrarvi, ma la saracinesca fu fatta ricadere su Owein. Essa si abbatté sull’estremità della sella dietro di lui, tagliò in due il cavallo, strappò le rotelle degli speroni dai talloni di Owein e si fermò solo quando ebbe toccato terra.
Le rotelle degli speroni e un troncone del cavallo rimasero di fuori, e Owein, con l’altro troncone, si trovò tra le due porte. La porta interna fu chiusa, sicché Owein non ebbe scampo.

Si trovava nel più grande imbarazzo, quando scorse, attraverso la fessura della porta, una strada che si dipartiva davanti a lui fiancheggiata da due file di case da entrambi i lati, e una fanciulla dai capelli biondi ricciuti, il capo ornato da una fascia d’oro, vestita di broccato di seta giallo, i piedi calzati in stivaletti di cordovano variegato, che si dirigeva verso l’entrata.
Ella chiese che le venisse aperto.
«In verità, damigella – disse Owein – da qui non ti può essere aperto, più di quanto da lì tu possa liberarmi».

Lady-fountain«Che peccato! – esclamò la fanciulla – che peccato che tu non possa essere liberato! Sarebbe dovere di donna renderti servizio. Di certo non ho mai visto un giovane che sia per una donna migliore di te. Se tu avessi un’amica, saresti per lei il migliore degli amici; se avessi un’amante, non vi sarebbe miglior amante; così farò tutto quanto è in mio potere, per trarti d’impaccio. Tieni questo anello e mettilo al dito. Ruota il castone all’interno della mano e serra il pugno: finché lo nasconderai, esso nasconderà te. Quando essi si saranno ripresi, correranno di nuovo qui per consegnarti al supplizio a causa del cavaliere. Saranno molto adirati quando non ti troveranno. Io starò ad aspettarti sul montatoio di pietra che è laggiù. Mi vedrai senza che io ti veda. Avvicinati e mettimi una mano sulla spalla; così io saprò che ci sei. Allora seguimi dovunque andrò».
Ciò detto, lasciò Owein.

Egli fece tutto ciò che la pulzella gli aveva ordinato. Infatti le genti della corte vennero a cercarlo per metterlo a morte, ma trovarono solo mezzo cavallo, il che li fece montare su tutte le furie.
Owein scivolò via in mezzo a loro, raggiunse la fanciulla e le pose una mano sulla spalla.
Ella s’incamminò seguita da Owein finché giunsero sulla porta di una sala grande e bella. Ella aprì, essi entrarono e chiusero la porta.

Owein fece scorrere lo sguardo su tutto l’alloggio: non v’era un solo chiodo che non fosse dipinto di colori preziosi, non un pannello che non fosse decorato di strane e meravigliose figure di diversa natura.
La pulzella accese un fuoco di carbone, prese un bacile d’argento con dell’acqua e, una salvietta di fine tela bianca sulla spalla, offrì l’acqua a Owein perché si lavasse. Poi, sistemò davanti a lui una tavola d’argento dorato, coperta d’una tovaglia di fine tela gialla e gli portò il desinare.

Non v’era cibo che Owein conoscesse di cui là non vi fosse abbondanza, con la differenza che le portate che aveva davanti erano preparate molto meglio che in qualunque altro posto.
In nessun luogo egli aveva visto offrire tante vivande e bevande eccellenti quante ne vedeva là. Non un piatto da portata che non fosse d’oro o d’argento.
Owein mangiò e bevve fin quasi a sera, quand’ecco essi udirono alte grida risuonare nel castello. Owein chiese alla pulzella di che si trattasse.
«Stanno dando l’estrema unzione al signore del castello», ella disse.

Owein andò a coricarsi. Il letto che la fanciulla gli approntò sarebbe stato degno di Artù, tanto era magnifico, di tessuto di scarlatto, di broccato, di zendale e di tela fine.
Verso mezzanotte, essi sentirono delle grida acute.
«E ora cosa significa questo frastuono?», disse Owein.
«Il signore del castello è morto», rispose la pulzella.

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Poco dopo l’alba risuonarono pianti e lamenti di inesprimibile violenza. Owein chiese alla fanciulla cosa significassero.
«Stanno portando al cimitero il corpo del signore del castello», disse lei.
Owein si alzò, si vestì, aprì la finestra e guardò dalla parte del castello. Non vide né l’inizio né la fine delle truppe che riempivano le strade, tutte completamente armate; v’erano anche molte donne a piedi e a cavallo, e vi erano anche tutti i religiosi della città che cantavano.
A Owein parve che il cielo risuonasse sotto la violenza dei lamenti, del clamore delle trombe e dei canti degli uomini di chiesa. In mezzo alla folla c’era una bara coperta di un drappo di tela bianca, portata a spalla da uomini di cui il più umile era un potente barone. Certo Owein non aveva mai visto un corteo sì magnifico, vestito d’abiti di broccato, di seta e di zendale.

Dopo la truppa veniva una donna dai capelli biondi sciolti sulle spalle e macchiati di sangue, vestita d’abiti di broccato di seta giallo a brandelli, i piedi calzati in stivaletti di cordovano variegato. Era meraviglia che non avesse i polpastrelli delle dita tutti escoriati, tanta era la violenza con cui batteva le mani una contro l’altra.
Se ella avesse avuto il proprio aspetto abituale, Owein ne era convinto: non si sarebbe vista donna più bella. I suoi lamenti dominavano quelli delle genti e gli squilli delle trombe della truppa.
Vedendola, Owein si infiammò d’amore per lei al punto che ne fu preso fin nel profondo.

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Picasso – Donna che piange

Chiese alla fanciulla chi ella fosse.
«Te lo dirò in verità – ella rispose – è la più bella delle donne, la più generosa, la più saggia e la più nobile; è la mia Signora. È chiamata la Dama della Fontana. È la moglie dell’uomo che tu hai ucciso ieri».
«Dio sa – disse Owein – che è la donna che amo di più».
«Dio sa che lei non ti ama né poco né nulla».

La fanciulla si alzò e accese un fuoco di carbone, riempì una marmitta d’acqua e la fece riscaldare. Poi prese una salvietta di tela bianca e la pose intorno al collo di Owein. Prese un bicchiere di osso di elefante, un bacile d’argento, lo riempì d’acqua calda e lavò la testa di Owein. Poi aprì un piccolo cofano di legno, ne trasse un rasoio dal manico d’avorio la cui lama aveva due solchi dorati, lo rasò e gli asciugò la testa e il collo con la salvietta. Poi preparò la tavola davanti a Owein e gli portò il pasto. Owein non ne aveva mai avuto di eguali, né serviti in modo più impeccabile.
Terminato il desinare, la pulzella gli preparò il letto.
«Va’ a coricarti – disse – e io andrò a far la corte per te».

Chiuse la porta e andò al castello. Non vi trovò che tristezza e duolo. La contessa era nella propria camera, ché, nella sua pena, non poteva sopportare la vista di alcuno.
Lunetta le si accostò e la salutò.
Ella non rispose.
La pulzella si irritò e disse: «Cosa ti è accaduto, che oggi non rispondi ad alcuno?».
«Lunetta – disse la contessa – dov’è il tuo onore, che non sei neanche venuta a renderti conto del mio cordoglio? Eppure ti ho fatta ricca, e tu hai fatto male a non venire ad offrirmi sollievo».

«In verità – disse Lunetta – non avrei mai pensato che tu avessi così poco buonsenso. Sarebbe meglio che cercassi di porre rimedio alla perdita del tuo signore, invece di occuparti di cosa irreparabile».
«Sul mio onore e per l’amor di Dio, non potrò mai sostituire il mio signore con altro uomo al mondo».
«Potrai sposare uno che lo varrà, e che forse varrà anche di più».
«Sul mio onore e per l’amor di Dio, se non provassi ripugnanza a far morire persona che ho allevato, ti metterei a morte per avermi suggerito cosa sì sleale. Ti esilierò».
«Sono lieta che tu non abbia altro motivo per ciò che fai che il mio desiderio di indicarti il tuo bene, quando tu non lo vedi da sola. Ricada onta sulla prima tra noi che manderà un messaggio all’altra, io per sollecitare un invito, tu per farlo». E Lunetta uscì.

La dama si alzò e si recò alla porta della camera; là giunta, dette un forte colpo di tosse. Lunetta si girò. La contessa le fece segno ed ella tornò accanto a lei.
«Sul mio onore e per l’amor di Dio – disse la dama – tu hai un cattivo carattere, ma poiché è nel mio interesse che vuoi parlare, dimmi come si potrebbe fare».
«Ecco – disse quella. – Tu sai che il tuo dominio si può conservare solo col valore delle armi. Cerca dunque al più presto chi lo preservi».
«Come posso fare?».
«Se non puoi conservare la fontana, non puoi conservare i tuoi domini; non può esservi altro uomo in grado di difendere la fontana che uno della corte di Artù. Andrò dunque a corte e sia onta a me se non ne tornerò con un guerriero che farà la guardia alla fontana bene o meglio di colui che l’ha fatta finora».
«Non sarà facile, ma ti consento di tentare».

Lunetta partì come per andare alla corte di Artù, ma si recò nella propria camera, da Owein, e vi rimase fino al momento in cui avrebbe dovuto essere di ritorno dalla corte di Artù.
Allora si vestì e andò dalla contessa che la ricevette con gioia.
«Porti notizie della corte di Artù?», ella chiese.
«Le migliori del mondo, principessa; ho trovato ciò che cercavo. Quando vuoi che ti presenti il cavaliere che è venuto con me?».
«Vieni con lui domani verso mezzogiorno. Allontanerò tutti per avere un colloquio privato».

Laudine-dama-fontanaLunetta rientrò in casa. L’indomani, a mezzogiorno, Owein indossò un abito, una sopravveste e un mantello di broccato di seta giallo, adorno d’una larga passamaneria di fili d’oro; i piedi era calzati di stivaletti di cordovano variegato, fermati da un figura di leone in oro.
Il cavaliere e la damigella si recarono nella camera della dama che li accolse amabilmente. Ella considerò con attenzione Owein.
«Lunetta – disse – questo signore non ha l’aria di aver viaggiato».
«Cosa c’è di male in ciò, principessa?», disse Lunetta.
«Sul mio onore e per l’amor di Dio, fu lui a strappare l’anima dal corpo del mio signore!».
«Meglio per te, principessa; se egli non fosse stato più forte di lui, non gli avrebbe tolto l’anima dal corpo; non vi è più rimedio, è cosa fatta».
«Tornate a casa – disse la dama – e io terrò consiglio».

Fece convocare per l’indomani tutti i suoi vassalli e disse loro che la contea era vacante, e fece notare come la si potesse conservare solo con la cavalleria, le armi e il valore.
«Vi lascio scegliere: o mi prenderà uno di voi, oppure voi mi permetterete di prendere un marito forestiero che possa difendere i miei domini».
Essi decisero di concederle di scegliere un marito che venisse da fuori del paese. Allora ella chiamò a corte i vescovi e gli arcivescovi perché celebrassero le sue nozze con Owein.

Gli uomini della contea resero omaggio a Owein.
Dopo di allora, Owein sorvegliò la fontana con lancia e spada, ed ecco come: gettava a terra e vendeva per tutto il suo valore ogni cavaliere che giungesse. Il frutto, lo divideva tra i suoi baroni e i suoi cavalieri, sì che non v’era persona al mondo più amata dai sudditi.
E così fu per tre anni.

(Mabinogion: La dama della fontana)