Pavel Kutzko – Vorrei tanto pulirmi le orecchie

silenzio-coro

Alessandro, l’«eroe» dell’Uccello d’oro, ha un solo (piccolo?) difetto: è rumoroso. Lo è doppiamente, in quanto ora soggetto, ora invece oggetto di rumore: soggetto che fa rumore, che produce o provoca il rumore della sua «refurtiva» proprio quando sarebbe necessario il più rigoroso silenzio (fa cantare l’uccello e nitrire il cavallo mentre li «ruba»); e oggetto dotato di un udito sensibile anche al minimo rumore (da sottoterra sente la volpe che sta scavando per andarlo a salvare), sensibile addirittura ai richiami «muti» dell’oro (della gabbia dell’uccello e dei finimenti del cavallo).

È questa sensibilità ai richiami dell’oro il difetto di Alessandro.
Voi mi direte: ma la bellezza di Elena, ossia del terzo «malloppo» su cui Alessandro mette le mani, non è pur essa «oro», anzi «oro purissimo»? e com’è che il «ladro» stavolta non fallisce?
La favola ha la sua risposta: mentre la rapisce, Alessandro non sente nessun «richiamo» che lo distragga dall’impresa – perché Elena, in quel frangente, ha l’aspetto di una vecchia, «laida e cenciosa».

Non calzare sandali, ché agli Inferi non va fatto rumore!
Così consiglia Gilgameš a Enkidu, e invece quel ladruncolo da quattro soldi (agli Inferi era andato a riprendere gli «strumenti musicali», e lo sappiamo tutti – la musica si può «rubare» solo nel più assoluto silenzio!) … e invece Enkidu «calzò i sandali e fece rumore agli Inferi».

Allorché, dicono i dogon, il Fabbro batté il martello sull’incudine «risuonò il primo rumore della fucina» e quel rumore «raggiunse il Settimo Antenato ucciso dagli uomini». Lo risvegliò dal Sonno dei morti.
E così ebbe inizio quest’ultima Stagione della Parola umana. A darle il la fu il «rumore» del martello. Capisci? questo «rumore» segnò l’avvento della Parola «giuridica» tra gli uomini. Non è con un colpo di martello che si apre e chiude ogni «processo»? Dumézil vi ha riconosciuto perfino il martello di Þórr.
Mazza di tamburo, pukku, martello o quel che sia – l’oggetto in questione è lo strumento di un «rumore» che viene a fungere da segnale di una disgiunzione.
Interrompe bruscamente e si sovrappone, mettendoli a tacere «d’autorità», tutti gli altri rumori.

angelo-silenteC’è dunque il rumore che copre (gli altri rumori) e il rumore che scopre, pardon: che fa scoprire un certo mariuolo con le mani nel sacco o, come diciamo noi oggi, in flagranza di reato.
Come Alessandro – il ladro ha fatto scattare l’allarme, ha risvegliato i Guardiani. Allo stesso modo di Enkidu: non ha osservato la Regola trappista del silenzio!
Ma, d’altra parte, come facciamo a non scusarlo?
Proprio noi che siamo diventati così «rumorosi», attivi e passivi? Noi che abbiamo dichiarato guerra al Silenzio, e che facciamo entrare nelle nostre e altrui orecchie così tanto baccano, da non «sentire» più il richiamo dell’uccello d’oro, ma chissà come mai solo quello dell’«oro», benché l’oro non dica una sola parola?

E quando gli Spiriti stanchi delle danze andarono a dormire, approfittando dell’oscurità e facendo attenzione a non fare il minimo rumore, Aquila s’impadronì della cassa grande e in un attimo volò via.
Il buio e il silenzio sono gli Alleati del Ladro.
Se il ladro è Aquila – se, cioè, scende dal cielo, allora va tutto bene. Le cose invece si complicano quando la palla passa al suo complice «di terra», Coyote.
Ciò che Aquila «ruba», Coyote lo «diminuisce» manomettendolo con le sue continue petulanti chiassose insistenze: lasciala portare a me, la cassa della Notte!
Se avesse taciuto, dicono gli Zuñi, adesso non avremmo da patire il freddo e la fame dell’inverno.

Sembra che una stessa «filosofia» attraversi tutti questi racconti.
Ridotti all’osso, essi narrano tutti di una certa qual Cosa Preziosa che sarebbe stata «conquistata» tutta quanta, o perlomeno più facilmente, e senza dover passare per tante peripezie, se non fosse stato prodotto l’incidente di un «rumore».
Gli uomini avrebbero goduto dell’Immortalità se non fossero stati così «rumorosi» da mettere in allarme gli dèi. Gli uomini sono riusciti a strappare solo un «tempo limitato», solo il tempo di una «vita breve».

È questo il messaggio paradossale che ci lasciano: che se gli uomini avessero taciuto, se non avessero mai affidato al «rumore» le loro intenzioni e i loro appelli e desideri, non sarebbero neanche venuti al mondo. Sarebbero rimasti confusi con le bestie.
Gli uomini hanno «udito» (o creduto di udire: ma c’è differenza?) un certo qual richiamo che, da chissà dove, da chissà chi e perché mai, rivolgeva ad essi la Parola, invitandoli a parlare, a brigare tra i rumori naturali, ad articolare le loro corde vocali, a gorgheggiare come l’uccello o a nitrire come il cavallo.
Gli uomini si sono avventurati in questo Paese misterioso, da cui dovevano «rubare» il linguaggio propriamente umano.

Ma il paradosso è che, a furia di rubare, gli uomini, da che erano silenziosi, diventano rumorosi, esagerano, vogliono rubare sempre di più. Dovevano rubare, forse, solo due o tre note, solo quel tanto che bastava a «guarire il Re malato», solo un goccio di quell’olio di misericordia che bastava a lenire le pene di Adamo moribondo … e invece, aggirandosi in quel certo posto, che ora è il Paradiso, ora l’Inferno, ora soltanto un Castello, hanno perso la testa.
L’hanno persa perché hanno udito quello che non dovevano udire: un richiamo ingannevole.

fulmini

Che cosa fa il Bue Verde che muggisce nel Mare Orientale?
Fa troppo rumore. Quando entra nell’acqua o ne esce, provoca vento o pioggia. Il rumore che fa è simile al tuono.
Ti risulta per caso un «rumore» più rumoroso del tuono?
Dal Centro America alla Cina (passando per i racconti di mezza Europa), chissà come mai, il Tonante, il Chiassoso per antonomasia, il Rumoroso ha una gamba, o un occhio solo, o tutt’e due i difetti assieme!

Forse è solo il Segno di un Accento Grave. Un Segno accentato dalla gravità dell’anomalia che l’affligge. E perciò un segno più facile da memorizzare: zoppo, guercio, gobbo, nano, deforme sono «lettere» più facili da distinguere, di quanto non sia la piatta «normalità» delle pecore del Gregge (troppo uguali, simili e ripetitive, per essere degnate di un nome «individuale»).
Zoppo, Monocolo, Monco, Sciancato, e via dicendo, sono i «cognomi» latini, tipo Nasone, Cicerone o Varrone. Accompagnano il Nome Proprio, ma in realtà, mentre il Nome Proprio è proprio a tante persone, per individuarlo nel mucchio degli omonimi solo lui è chiamato Nasone o Cicerone.
Il difetto, non la normalità – caratterizza, o quantomeno tipizza la nostra individualità.

Ora, c’è che mentre queste «caratteristiche» si capiscono a volo e sono «visibili» a tutti, come veri e propri «manifesti» pubblici, ci sono altri segni, non «visibili», segni soltanto «udibili» che hanno un modo tutto loro di «pubblicarsi», al punto da parlare perfino ai sordi.
È quello che fa, nel Racconto, il Tuono: scuote la terra sotto i piedi, lo sentono tutti. E forse è per questo suo essere «democratico» che, tutto sommato, è uno Spirito «buono», come quello che viaggia sul muggito del Bue Verde.
Ma ci sono altri segni sonori, ronzii a malapena «udibili», e sibilanti sorde, lettere mute e aspirazioni appena soffiate, per cui transitano «cattivi» richiami che vengono da più lontano del Tuono, che cavalcano frequenze d’onde più sibilline, e che ci chiamano ad andare oltre.

Il nostro orecchio, ahimé, «si fida» di andare oltre ciò che l’occhio vede.
Se non si fosse fidato, non avrebbe rubato le lettere dell’alfabeto ai Rumori di Natura. Ma il guaio è che, sovente, si è fidato, e tuttora si fida, e c’è da scommettere che in avvenire continuerà a «fidarsi» anche degli «spiriti cattivi» che circolano nella Parola: cattivi, non per ragioni «morali», ma perché sono «spiriti senza corpo», ovvero Segni senza il corpo vivo di chi li ha «segnati»; sono «voci nubili», «lamentazioni vedove», disparità vaganti alla cieca, echi celibi che si offrono a tutti, e che a destra e a manca lanciano appelli e chiedono soccorso.

Faust-Mefistofele-insinuaCattivi com’è cattivo Mefistofele: vuole accoppiarsi con chi gli dà credito. Mefistofele punta, più o meno come Lilith, a prendersi un’«anima vivente» come partner delle sue diavolerie. Punta sulla Credenza Umana. Sa che noi uomini crediamo ai richiami che ci è parso di udire. E soprattutto a quelli che dicono: vieni via con me, che ti faccio «rubare» la bella Elena, che tu sia Faust o Alessandro! Vieni via con me, che ti faccio «scoprire» il tesoro che gli dèi ti vogliono tenere nascosto!
Non solo dio, ma ahinoi anche il diavolo sa, il diavolo è bene informato e sa che noi rispondiamo alle chiamate (qualcuno dice alle vocazioni), anche quando (vedi Narciso) esse sono «silenziose»: l’Immagine allo specchio «tace», l’«oro» (reale o alchemico) è sempre «muto». Ma il diavolo sa che noi anche al Muto diamo credito.

C’è chi risponde a un dio che non vedrà mai. Magari, è quel diavolo di un serpente attorcigliato ai rami della sua memoria, ma lui non lo sa. Lui crede di parlare a dio. E come dargli torto?
Abbiamo fatto la fine «sciagurata» che Platone ci preannunciava nel Fedro: siamo diventati «uditori di baccano», abbiamo elevato il «baccano» a musica per le nostre orecchie, perché le aiutassero a impazzire – evidentemente. Perché le nostre orecchie non vogliono più sentir ragioni: intendo qui «ragioni» alla lettera – come proporzioni.
Le nostre orecchie, ormai, si fidano di chi le «sfida»: sono aperte a tutti i rumori, come se fosse «umano» solo il bordello. Come se vita ci fosse, solo là dove c’è chiasso. Dove la piazza impazza, disse qualcuno.

Non ricordo chi.
E come potrei fare a ricordarlo, se quel suo «verso» non fosse sepolto sotto miriadi di «versi» che mi sono entrati, prima e dopo, nell’orecchio?
Quante chiacchiere, le più diverse, mi è toccato udire!
E se ora per caso mi domando: chi fu a provocarmi? chi a rivolgermi la prima parola? chi a dettarmi le prime lettere, le lettere/madri, del mio alfabeto?
Non so rispondere: non mi oriento più in questo labirinto.
La Chiacchiera mi ha vinto. Non vive più che la Sophia di cui parla la Volgare Eloquenza. L’altra, quella vagheggiata dai platonici di ogni tempo e luogo, è stata assordata dal Rumore della Piazza, e se n’è andata.

Se n’è andata, ora forse possiamo cominciare a dircelo, dal suo «luogo natio», perché la Piazza, il Racconto della Piazza, è la culla di ogni Sophia. Anche di quella «autentica», mio caro Platone.
Prendi, incarta e porta a casa! questo è il gioco «linguistico» della Piazza. Se ti piace la tale «idea», se è questo il tuo «tipo ideale», ascolta quello che, senza dire parola, ti sta dicendo! Ti sta dicendo: Prendimi, ma attento a non far rumore! Perché se si sveglia il guardiano, sei nei guai!

Gesù-ladroneEsoterico è, dunque, il buon ladrone, quello che non dovrebbe mai mancare in una crocifissione. A un incrocio linguistico, a uno «sposalizio surreale» qual è quello celebrato da Lacan tra vaso e fiori, il richiamo che risuona è sempre furtivo, sempre ingannevole. È sempre un’esca appetitosa. Una preda facile.
L’occhio la guarda e si domanda: perché non prenderla? perché prendere solo l’uccello, e non tutta la gabbia?
Ed ecco Narciso se la ruba con gli occhi, ma non s’accorge che la «vittima» dell’inganno è il suo orecchio. È il suo orecchio a essere «rapito» dal richiamo di un Silenzio intempestivo, che contraddice il ricambio di sguardi.
Lo sguardo dell’Immagine gli dice sì: Narciso, sono tua! sono la tua alêthé, tutta e solo per te! Eccomi!

Narciso si stropiccia gli occhi, già pregusta i baci e le carezze della sua bella Elena.
Egli purtroppo non sa che dovrebbe semmai pulirsi le orecchie di tutti i racconti che vi hanno insinuato la leggenda «se la prendi, sarai felice».
È questo rumore cosmico di fondo, questo Rumore che l’Inconscio brontola dal Racconto, a farlo cadere in trappola.
L’occhio, certo, ha la sua parte.
Ma tutto parte dall’orecchio.
Questa è almeno la «filosofia» di certi antichi racconti.

Ne ho presi due o tre a casaccio. Ma tu sai benissimo che, invece di Alessandro, potevo tirare in ballo l’Ivan di Afanasjev. Che al posto di Enkidu, potevo citare la rana che produce il fuoco strombazzandolo dall’ano. Potevo citare i giambi e le percussioni, se non il piffero magico che seduce allo stesso modo topi e bambini, potevo perdermi nelle mille sciarade di Shahrazâd, perdermi dove si perdono tutti i Narcisi: nei Rumori, proprio in quelli e tanto più in quelli da cui ingenuamente crediamo di esserci «disgiunti», di non esserne cioè contaminati.
I Rumori non si vedono, sono Spiriti senza corpo.
Vorrei tanto pulirmi le orecchie, ma so che è troppo tardi. Ormai mi possiedono.

(Pavel Kutzko, Dacché presi la via per al-Manalkan)