Per la prima arpa irlandese (cruit) Eugene O’Curry riferisce questo racconto:
C’era una volta una coppia […] e la moglie concepì odio contro il marito e lo fuggiva per boschi e lande deserte; e lui continuava a inseguirla sempre.
E un giorno, venendo la donna sulla riva del mare a Camas […] trovò lo scheletro di balena sulla spiaggia e udì il suono del vento che passava attraverso i tendini della balena sulla spiaggia e cadde addormentata da quei suoni.
E il marito la raggiunse e si accorse che era addormentata per via di quei suoni. E allora s’inoltrò nel bosco e costruì la forma di una cruit; su questa montò corde fatte con i tendini della balena, e fu la prima cruit mai costruita.
La leggenda di Marbhan sulle origini degli strumenti e della poesia prosegue:
Lamec Bigamas aveva due figli e i loro nomi erano Jubal e Tubal-Cain.
Uno di loro, Jubal, era un fabbro; ed egli un giorno scoprì dai suoni di due magli (sull’incudine) nella fucina che questi parlavano in versi (o note) di pari lunghezza; e compose dei versi su questa causa e furono i primi versi mai composti.
La leggenda racconta poi per quale ragione il timpán – un altro strumento a corde, diverso dalla cruit – venisse detto Timpán Naimh (o Timpán dei Santi): perché «quando Noè, figlio di Lamec, entrò nell’Arca, vi portò con sé un certo numero di strumenti musicali tra cui un Timpán che era di uno dei suoi figli, il quale lo sapeva suonare». Quando alla fine sbarcarono dall’Arca, Noè ordinò al figlio di dare allo strumento il suo stesso nome, e solo a questa condizione glielo consegnò. «Così esso si chiama da allora Timpán di Noè; e non è quello il nome che voi, timpanisti ignoranti, gli date, ma Timpán dei santi».
Abbiamo riferito questa leggenda per vari motivi. Innanzitutto perché ci ha ricordato immediatamente, come accade a O’Curry, «Pitagora, che si dice abbia scoperto l’effetto musicale delle vibrazioni di una corda osservando il suono dei vari colpi battuti sull’incudine, sebbene la leggenda irlandese […] sembri insistere non tanto sui suoni quanto sul ritmo della musica».
In secondo luogo, perché ancora una volta veniamo a sapere di due successivi strumenti a corda separati, per così dire, da un diluvio; Väinämöinen perse il suo kantele quando andò a rubare il Sampo e dovette in seguito costruirne uno nuovo di legno.
Occorrerà in futuro confrontare accuratamente queste tradizioni con le varie lire della Grecia: sappiamo che una fu distrutta da Apollo – in un accesso di pentimento, si dice – dopo che ebbe scorticato Marsia, e che Ermes ne costruì un’altra e gliela donò; a quanto pare il luccio e la balena dei mari del Nord hanno sostituito la tartaruga del mito greco.
Sappiamo inoltre che le Pleiadi, dette dagli orfici «Lira delle Muse», esistevano accanto alla Lira. E Michele Scoto era ancora a conoscenza di una tartaruga che figurava, per così dire, come prua di Argo e «con cui è fatta la lira celeste».
Ma prima di rimanere incastrati fra l’incudine e il martello preferiamo fermarci, anche se questa tartaruga sembra trovarsi esattamente dove «dovrebbe», se si pensa che è sul suo dorso che venne compiuto l’Amrtamanthana.
Le diverse tradizioni affermano in sostanza che ogni nuova età richiede strumenti nuovi e corde nuove oppure, come nel caso di Odisseo, un nuovo cavicchio: una nuova «Armonia delle sfere».
(Santillana-von Dechend, Il mulino di Amleto)