Ogni simbolo è un insieme ritmico che comprende i ritmi comuni ed essenziali di una serie di fenomeni, i quali rimangono sparsi su piani differenti grazie ai loro ritmi secondari…
(Schneider, Gli animali simbolici)
Una «sequenza» (a b c S), dice Schneider, «è apparentata» a un’altra (d e f S) dall’elemento S che hanno in comune – ossia dal «ritmo» che li accomuna, mentre tutti gli altri «ritmi» (secondari: a b c … d e f …) «rimangono sparsi», destinati a disperdersi, nell’incoscienza della loro propria differenza.
Il simbolismo, l’analogia che viene così percepita, non è tra due singole «cose» (oggetti, persone, animali, ecc.), ma tra due «insiemi» (due «mondi») distinti e separati, due «piani» che, se non fosse per quel solo «ritmo» S, resterebbero reciprocamente chiusi e scomunicati, essendo caratterizzato ciascuno da sue proprie differenze e relazioni «interne» (sui generis).
La relazione simbolica, quella che il «ritmo» (S) permette di percepire, non è tra due «fenomeni» (ma qui sarebbe proprio il caso di dire: tra due «fonemi») simili, bensì tra due «insiemi» tra loro sproporzionati, tra due «totalità» che resterebbero «disperse» nelle loro caotiche differenze, e – ciò che più conta – nell’indifferenza a qualunque Differenza, nell’incoscienza di ogni Differenza, compresa la loro propria, se provvidenzialmente tra loro quel Simbolo là, quel minimo fonema, non venisse, Lui, a darsi come il Datore di equazioni più o meno armoniche, come il Garante di sposalizi più o meno «felici e contenti».
Ma, in realtà, questo signor Datore, questo sedicente Garante di «unioni e matrimoni», questo Ministro delle Nozze (il ritmo S che «benedice» gli sposi: le due sequenze), è il Divisore – il Responsabile del «divorzio» del Caos indifferenziato in due Totalità, Insiemi, Piani o Mondi distinti.
Quel ritmo S che «congiunge», di fatto «si disgiunge» (si stacca, emerge, risalta) da un solo Caos «tagliandolo» in due «cosmi», per poi ricomporli (almeno, questo è quanto promette) in un nuovo Cosmo simbolico.
In questo senso, il Simbolo è sempre ambiguo. Unisce ciò che esso stesso ci fa percepire come disgiunto e separato.
Il Simbolo è sempre un po’ diabolico, scusate l’eresia. È che l’erotismo del Simbolo, il suo desiderio di «congiunzione», è sempre, almeno un po’, eretico: presuppone un distinguo, un altolà, una repulsione, un vade retro Satana.
Il coglimento globale degli uomini e degli animali come esseri sensibili, in cui consiste l’identificazione, precede la coscienza delle opposizioni: fra proprietà comuni, anzitutto; e solo più tardi, fra umano e non-umano.
(Lévi-Strauss, Rousseau …)
Già, dov’è che finisce il non-umano e comincia l’Umano?
Quand’è che Dick sale sul trenino che lo porterà dalla Mamma?
E come può Dante passare l’Acheronte? Non è lui, come tutti i morti, morto da solo, e perciò morto al Simbolismo Umano?
La questione non merita di essa presa con filosofia: si farebbe per noi troppo intricata, quando in realtà è solo di uno scioglilingua che si tratta.
Provo a dirlo in greco: il Simbolo è l’Eros di Eris, anzi fu l’Eros di Eris, dacché per noi uomini, ormai, non è più che l’Eris di Eros.
Amore e Discordia – non rende l’idea.
Tu pensa piuttosto a Congiunzione e Disgiunzione.
Il resto, lasciamolo dire al Racconto, là dove racconta dell’Avvento (doloroso) di quel «ritmo S», di quel Significante che doveva, poi, rivelarsi l’anello di una catena, quella a cui bisogna incatenare il proprio Lupo per diventare «uomini», anzi no, per diventare, come dice Platone, noi stessi «simboli» dell’Uomo.
Di quell’Uomo – che solo dopo un lungo apprendistato, e a fatica, abbiamo imparato a distinguere dalla Totalità non-umana.
Un tempo, dice il Racconto, dèi e umani sedevano alla stessa Tavola, in più di una circostanza. Amavano confondersi, perlopiù in occasione dei Pranzi di Nozze.
E così si riunirono e si confusero anche alle Nozze di Peleo e Teti – i genitori di Achille. Ma quella fu l’ultima volta. Quella fu l’ultima «connessione umana» alla Rete Globale. E sai perché? Perché, non invitata, alla Festa si presentò la Guastafeste, Eris – la Dispari che pretendeva di stare là dove tutto era Pari.
Il Re e la Regina, dice il Racconto, alla Festa di battesimo di Rosaspina non avevano invitato la Tredicesima Fata. Era una fata come tutte le altre, solo che era «scoppiata». E come ogni macchina celibe o cuore solitario, avrebbe seminato zizzania tra le «coppie».
Da allora, il mondo è cambiato. Il Cielo è separato dalla Terra. Gli dèi fanno gli dèi, e gli uomini fanno i mortali. E muoiono in quest’altra Totalità tutta umana, solo umana – in cui la maledizione di Eris li ha precipitati a cercare l’Eros perduto.
Da allora, anche le diete sono cambiate. Gli dèi non mangiano la carne umana, anche se ne gradiscono ancora il profumo arrosto.
Ciò che separa i due mondi, ciò per mezzo di cui percepiamo la separazione di Cielo e Terra, di sopra e sotto – dei due piani dell’Antica Torre – è proprio quel «ritmo», quel minimo «fonema», quel fumo vago di non so quale fuoco, che si distingue e fa storia a sé nella generale Confusione. E sembra perciò non essere né di qua, né di là, ma in un terzo mondo. Né a Oriente né a Occidente. Ma altrove. Nessuno, solo Lui, sa dove.
Grazie a quel «ritmo», in virtù di quel fumoso minimo effimero significante «arrostito» nel fuoco della mia Immaginazione, arrivo a «ricongiungere» ciò che esso stesso mi permette, finalmente!, di percepire come due totalità totalmente separate o, come dice Schneider, come fenomeni «sparsi su piani differenti».
Non c’era differenza, prima?
C’era, ma non era ancora percepita in un significante. Non era ancora significata, non aveva ancora dato un segno della sua presenza. Anzi, non era neanche invitata a presentarsi, e s’è presentata lo stesso.
La discordanza c’era, ma Rosaspina ancora non la udiva. La Fata cattiva l’aveva già «maledetta», ma Rosaspina era troppo piccola per sapere già, il giorno del suo battesimo, su quale via era stato già incamminato il suo destino. Il destino del suo Eros. Non lo sapeva e non lo seppe finché non si punse. Finché non incontrò la Crudeltà del Fuso della Tessitrice che già «ordiva e tramava» alle sue spalle, a sua insaputa.
L’Avvento del Simbolo pretende un’iniziazione dolorosa. Un rito che sanzioni sulla pelle del neofita, che scriva sul suo corpo, che «incida» col ferro rovente della sua Legge, la Tredicesima Lettera, la Prima non più divina (gli dèi dell’Olimpo sono dodici, e le Fate legali, e i mesi di Luce altrettanto).
La lettera Eretica – quella che rende tout court «eresia» ogni singolarità, ogni vissuto corporeo, ogni suo nervo erotico, Lei no, Lei viene dopo. Viene con la Parola Simbolica. Viene a obbligare Rosaspina a peregrinare in cerca o in attesa dello Sposo.
Se, prima, vigeva la legge della ri-produzione della produzione «naturale», scrive Deleuze – se prima la Natura amava mischiare i suoi «prodotti» (e perciò non era possibile cogliere né proprietà comuni né differenze tra immortali e mortali, tra le stelle e le pietre) – se prima tutto era a tutto «connesso» nella Lingua di Natura, in un solo «mucchio di cereali», adesso, dopo Eris, dopo la Tredicesima Fata, una volta passati per la sua stanza lassù in soffitta, non c’è altro erotismo umanamente commestibile al di fuori di quello che può venire, domani, dal Principe Azzurro. Ovviamente dopo un lungo, ma veramente lungo sonno dell’Immaginario.
C’è chi dice: lungo cent’anni. Altri, o perché più pignoli, o perché fissati di esoterismo, dicono: quel sonno durò 309 anni, né più né meno. E insistono a dire che questo è il numero Tâ-Sîn, il numero delle Iadi, il numero delle lacrime delle Donne Piangenti. Il numero delle termiti di quel Termitaio che fu escisso in illo tempore – perché nascesse la Femmina.
Era l’ultimo legame tra la Terra e il Cielo.
Adesso che Stella è caduta (in letargo) ed è impigliata tra rovi e spine, la nostra Immagine è condannata alla trafila dell’erotismo di Rosaspina.
Perciò il nostro «dire» (Er) è ambiguo e dibattuto tra Eros ed Eris.
È costretto cioè a passare per il Simbolo per vedere se gli riesce di trovare una vecchia fotografia di lei o di lui. Una di quelli «dispersi tra i (ricordi) secondari».