Santillana – Qualche parola sui tamburi sciamanici

Borobudur

Dal maestoso tempio di Borobudur a Giava fino agli aggraziati stûpa che punteggiano il paesaggio dell’India, si allineano i segnali che ricordano schematicamente i sette cieli, le sette tacche, i sette livelli. […]
Anche prescindendo dalla «scala» celeste e dai viaggi aerei dell’anima dello sciamano, un esame attento del corredo sciamanico rivela sempre motivi antichissimi: il tamburo ad esempio, lo strumento più potente dello sciamano, rappresentazione dell’universo in modo specifico, è innegabilmente un discendente del bronzeo tamburo lilissu del Kalû, il sacerdote mesopotamico addetto alla musica e ministro del dio Enki/Ea.

Il «coperchio» del lilissu deve essere fatto con la pelle di un toro nero che, secondo Thureau-Dangin, «rappresenta il Toro celeste».
Spingendosi oltre, W. F. Albright e P. E. Dumont hanno paragonato il sacrificio del toro mesopotamico, la cui pelle dove poi ricoprire il tamburo lilissu, con l’asvamedha indiano, un colossale sacrificio del cavallo che solo il più prestigioso dei re (e si trattava sempre di uno ksatriya) poteva permettersi.
Hanno scoperto infatti che il cavallo indiano doveva avere le Krttikâ (le Pleiadi) sulla fronte: nel testo accadico la medesima cosa era prescritta, secondo Albright, per il toro.
Questo dovrebbe bastare a dare un’idea del livello dei fenomeni in gioco.

Battere il tamburo ricoperto da quella particolare pelle di toro significava stabilire un contatto col cielo nel suo punto più significativo, e nell’Età del Toro (c. 4000-2000 a. C.) questo era anche esplicitamene detto rappresentare Anu, oggi identificato con disinvoltura come «Dio del cielo».
Ma Anu era un’entità ben più precisa: nella scrittura cuneiforme il nome si scrive con un solo cuneo, che nel sistema sessagesimale indica sia il numero 1 sia il numero 60 (i pitagorici avrebbero detto che il dio indicava l’Uno e la Decade). Con tutto ciò non s’intende una qualche quantità o qualità simbolica o mistica o – tanto meno – magica, bensì la fondamentale misura temporale degli eventi (vale a dire dei moti) celesti.
Battere il tamburo significava coinvolgere – questa volta sì magicamente – il Tempo e il Luogo essenziali nel cielo.

tamburo-siberianoNon è chiaro se gli sciamani siberiani fossero ancora consapevoli di questo passato; la gran copia di tradizioni astrali assai importanti a questo fine raccolte da Holmberg, così come le innumerevoli figure a carattere decisamente astronomico rinvenute sui tamburi sciamanici, potrebbero benissimo indicare conoscenze assai più profonde di quanto non presuppongano gli etnologi: ma questo non ci riguarda.
È invece chiaro e per noi interessante il fatto che gli sciamani siberiani non hanno inventato lo zodiaco, con tutte le sue conseguenze.

Non è necessario fare esame dettagliato dei tamburi mitici cinesi: basteranno poche righe da un «Oceano di racconti» (traduzione in inglese della vastissima raccolta di novelle indiane Kathâsaritsâgara):

Nel Mare Orientale si trova un animale che assomiglia a un bue. È verde d’aspetto e privo di corna. Ha un piede solo. Quando entra nell’acqua o ne esce, provoca vento o pioggia. Il suo splendore è simile a quello del sole e della luna; il rumore che fa è simile al tuono. Il suo nome è Kui. Il grande Huang-di lo catturò e fece un tamburo con la sua pelle.

Di primo acchito, sembrerebbe la descrizione di un caso antico di delirium tremens, ma il suo contesto lo rende sobrio. Si tratta di un tipo di «storia naturale innaturale» che poco si cura delle specie viventi, e si occupa invece di fenomeni provenienti da un altro regno.
In particolare, l’Essere a una gamba lo si può rintracciare sotto svariati aspetti, a cominciare dal Hunrakán dei maya, il cui nome significa appunto «una gamba» e da cui deriva il nostro «uragano»: non c’è quindi da stupirsi che egli distribuisca così generosamente vento, pioggia, tuono e fulmine. […]

Molti altri dati si potrebbero ricavare esplorando quell’incredibile deposito di pensiero arcaico miracolosamente conservatosi presso i mandingo del Sudan occidentale.
Nel vasto e complesso mito della creazione dei mandingo vi sono due tamburi. Il primo venne portato dal cielo dall’antenato bardico, poco dopo che l’Arca (con gli otto antenati-gemelli) era approdata al campo primordiale. Questo tamburo era stato ricavato dal cranio di Faro ed era usato per produrre la pioggia (gli specialisti di solito chiamano Faro «le Moniteur», evitando così la definizione errata di eroe culturale, salvatore o dio).
Venne costruito il primo santuario e all’umanità fu rivelata la «Prima Parola» (in realtà si trattò di trenta parole) per bocca di uno degli antenati-gemelli, il quale «parlò tutta la notte, cessando solo quando vide il sole e Sirio sorgere contemporaneamente».

Giunto il momento di rivelare la «Seconda Parola» (fatta, questa volta, di cinquanta), sempre in concomitanza col sorgere eliaco di Sirio, l’antenato «decise di sacrificare nel santuario sulla collina i primi gemelli di sesso opposto. Chiese al bardo di fare un tamburo da braccio con la pelle dei gemelli. L’albero dal quale venne foggiato il tamburo cresceva sulla collina e simboleggiava l’unica gamba di Faro» (Dieterlen, La storia della creazione dei Mande).

HunrakanEcco dunque altri importanti personaggi con una gamba sola; ce n’è, in tutto il mondo, un numero sbalorditivo, e con svariate funzioni.
Non sarà necessario penetrare in questa giungla, se non per notare che anche il finto re temporaneo del Siam, nominato per le cerimonie espiatorie annuali, doveva stare ritto su una sola gamba sopra una pedana d’oro durante tutta la cerimonia dell’incoronazione e aveva l’altisonante titolo di «Signore degli eserciti celesti».

Il Kui cinese non è quindi un personaggio isolato.
Il mito cinese è più esplicito degli altri e diventa più comprensibile perché i cinesi erano attentissimi alle cose del cielo: i loro mostri malvagi vengono gettati nelle voragini, oppure esiliati in strane regioni montane per il peccato di aver sconvolto il calendario.

In quanto a Kui, già presentato sotto le attraenti forme di una verde creatura bovina del Mare Orientale, diverrà sempre più sbalorditivo a mano a mano che si rivelerà la sua natura.
Marcel Granet scrive che l’Imperatore Shun nominò Kui «maestro della musica», anzi, ordinò niente meno che al sole (Chong-li) di prelevarlo dalla boscaglia e di portarlo a Corte: solo Kui infatti, sapeva come armonizzare i sei flauti e i sette modi, e Shun, che voleva pacificare l’Impero, era fermamente convinto che «la musica è l’essenza del cielo e della terra».

Kui sapeva anche far danzare i «cento animali» toccando la pietra musicale, e aiutò Yu il Grande, uno dei cinque primi Imperatori e bonificatore instancabile, a compiere l’opera di regolazione dei «fiumi».
E si scopre che egli non era solo Maestro della Danza, ma anche Maestro della Forgia: un compagno davvero eccezionale per Yu il Grande, la cui figura di danza (il Passo di Yu) «eseguiva» l’Orsa Maggiore.

Perciò, ora basta coi tamburi e col loro uso sciamanico!
Se non altro, non ci sembreranno più dei tam-tam tribali: sono connessi con il tempo, il ritmo e il moto del cielo.

(Santillana-von Dechend, Il mulino di Amleto)