Due parole erano già tante. Due fiumi (Tigri ed Eufrate, immaginario e simbolico) bastavano a fare una Mesopotamia «linguistica». Perché dunque i Dogon aggiungono una Terza Parola?
Potrei rispondere: per lo stesso motivo per cui Platone ci fa passare tutti per la Caverna. Perché la Terza delle Tre Sorelle Linguistiche abita «là fuori», alla luce della Polis.
Cerchiamo di capirci qualcosa.
Il simbolismo della Seconda Parola è, alla lettera, «consanguineo» del nostro immaginario. Esso sorge dall’Immaginario, dallo sguardo stesso di Narciso, da una sua «necessità», diciamo così: interna. Sgorga da un Trauma: dalla ferita aperta di uno sdoppiamento, di una bipartizione cruenta del Soggetto «auto-mutilatosi» per essere solo quello che è. Ovvero, nel migliore dei casi, solo la metà di se stesso.
Attraverso la «torsione» simbolica il Soggetto sopravvive al naufragio di Narciso. E se Narciso l’Antico «muore», il Nuovo – quello che prende forma di Fiore – è capace di rifiorire al «sentimento di sé» e innanzitutto del proprio Corpo «battezzandolo», abbiamo visto come: scendendo in apnea sotto la Superficie dell’Immaginario che l’ha ingannato.
Il «nuovo» Narciso è Glauco, è Adapa che scende nella Casa in Fondo al mare. Scende a prendere «i pesi e le misure» del mondo (simbolico) a cui riemergerà, sia pure con la bocca salata e il corpo incrostato di alghe.
Il «nuovo» Narciso se ne sta, zitto e muto, laggiù nelle profondità dell’Apsû, mentre qui sulla terra, al nostro sguardo, non lascia intravedere che una sua parvenza a pelo d’acqua. Eccolo là: pare un fiore sulla riva del fiume, vien voglia di coglierlo – tanto è seducente la sua forma.
Questo fiore però, bada bene, sa parlare due lingue: ha un suo proprio simbolismo profondo, un simbolismo che affonda nelle «acque dolci» della sua libido – direbbe Freud; ma continua in superficie a immaginare e a farsi immaginare nel gioco della seduzione.
Prima e Seconda Parola, Immaginario e Simbolico – sono, per così dire, in dotazione a tutti i «cavernicoli». Essi hanno già «individuato» il proprio Corpo, hanno già un «sentimento» della loro individualità e singolarità, ma non basta a stanarli dal loro cieco «egoismo». Anzi, li «affonda» ancora di più nella loro Tana.
Ci vuole una Terza Parola. Una Parola che provveda a una riorganizzazione del mondo umano – ora che questo mondo si è popolato di una Moltitudine di Bocche da sfamare. Ogni bocca ha il suo «ego» famelico, che la spinge a divorare l’Altro per saziare se stessa. Bisogna perciò porre fine a questo cannibalismo, se si vuole stare tutti assieme.
Ci vuole un Terzo Occhio, l’Occhio di un Esso, di un Lui super partes – ci vuole una Legge Simbolica che assoggetti tutti i Narcisi che già hanno fatto di se stessi dei fiori simbolici.
Una Terza Parola che subordini a Sé – non a caso essa va ad assidersi lassù, usurpando il Rango della Donna – tutti i simbolismi individuali. Che li leghi a una sola Sintassi – alla «corda d’oro» di Zeus, o alla catena che tiene al guinzaglio il lupo Fenrir.
Ogotemmeli non sa dire perché fu necessaria questa Terza Parola, glissa le domande dell’Europeo, se ne esce con una battuta: per buttare gli dèi giù dal cielo, basta a volte uno spintone!
Per mettere sottosopra il simbolismo dei Narcisi (non furono una volta essi «sopra l’immagine»?), per costringerli alla Resa – basta spaventarli.
Odisseo, per es., lo rinchiudiamo nella Caverna di un Cavernicolo che ha un occhio solo, solo l’occhio del suo «egoismo affamato». E vediamo come se la cava. Sennò, lo portiamo nella foresta e l’abbandoniamo al suo destino. E poi vediamo se non torna da solo, qui, con le sue gambe.
Poiché è in un mondo che fa paura che deve entrare, è bene che il Guaglione faccia esperienza diretta della Paura.
Pavete ad sanctuarium meum!
Non è solo Ogotemmeli a non saper dire quella Paura.
Non la so dire neanche io di me stesso.
So che l’ho presa. E che mi ha ammutolito. In un colpo solo ha tagliato la lingua a mia Nonna e al Pappagallo che lei teneva in casa: come guardiano, a quel che si dice.
Qualcuno prima di me, qualcuno qui nel mio Corpo, un Antico è stato spaventato, e quello spavento l’ha santificato. Ora è una Mummia silente, il mio Narciso. Lui, non ha mai parlato una parola della Terza Parola.
Quando si giungeva al momento decisivo i bambini, in un modo o nell’altro, venivano portati nella foresta al cospetto di un essere misterioso che incuteva loro paura […] non sempre erano accompagnati fino al luogo sacro; talvolta venivano lasciati soli e dovevano trovare la capanna da sé. Sappiamo che nella fiaba i bambini sperduti e abbandonati nel bosco si arrampicano su un albero e cercano un lumicino. In questi casi essi non trovano una casa abitata da uomini ma capitano nella capanna di un mostro o di una strega […] Anche se da parte dei neofiti l’atto viene sentito come ostile, si tratta sempre di un rito voluto dalla comunità.
(Propp, Le radici storiche dei racconti di magia)
La Terza Parola è quella che introduce al Santuario di una Polis.
Ci vuole uno spintone per buttare giù dal cielo la Madonna delle nostre prime immaginazioni, e insieme a Lei tutti gli idoli «divini» del nostro acerbo simbolismo. Giù, via tutti! ché questo, d’ora in avanti, è il posto del Nome del Padre!
È lui che ci sfama. Lo vedi, siamo in tanti! Non ci possiamo permettere il lusso dell’egoismo. O perlomeno non lo possiamo permettere, se non a quei pochi che hanno la fortuna o la vocazione, guarda un po’, di parlare a tu per tu col padreterno!
Ogotemmeli, oggi lo sappiamo, non era che uno del basso rango della Gerarchia Esoterica dei dogon.
Si venne a sapere solo dopo che i Grandi Maestri si erano riuniti in adunanza e, dopo più di quindici anni che Griaule curiosava nel loro stile di vita, si decisero finalmente a fargli sapere qualcosa. Quel poco che poteva dirgli un Ogotemmeli qualsiasi.
La cosa è sorprendente. Ogotemmeli sta sfilando la corona di una metafisica che lascia di stucco i nostri odierni accademici, e poi… poi si viene sapere che lui, di quella metafisica, sapeva appena qualcosina.
Perciò, quando Griaule gli domanda: perché fu necessaria questa Terza Parola? – quando, perplesso, fa tra sé e sé due conti, e trova l’Immaginario nella Prima e il Simbolico nella Seconda, non può non domandargli: e questa Terza Parola, dove la metto?
Sento Platone in sottofondo che gli dice: mettila fuori dalla Caverna! perché è «là fuori» che si parla la Terza Parola.
Platone non dice le cose a vanvera. Sa che i bambini hanno già un’immagine del mondo (le ombre che vedono proiettate sulla parete in fondo alla caverna) e che hanno già un sentimento di sé (giocano a riconoscere ciascuno la sua ombra sul muro: quella sono io – dicono). E perciò sa che «fuori», alla luce del Giorno, possono coesistere e fare polis solo quelli le cui menti si schiudono alla Terza Parola, al Simbolismo Politico, alla Sintassi di una Moltitudine.
Come contano i Senoi? Uno, due, tre e … molti.
È come dire: il Santuario della Moltitudine è una Sintassi triangolare, una Sintassi oltre l’io e il tu. Una Sintassi che ha scoperto il Lui di tutto un popolo. Solo triangolando le relazioni e gli scambi nel Nome di un dio, è possibile un Popolo.
Vox populi – vox dei.