Frammenti per una «Vendicazione» materna

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Kandinskij – Rot in Spitzform

È così.
S’è andato ad appostare sul prepuzio e sul clitoride. Ma hai voglia a circoncidere o recidere, Lui (?) è ancora là. Attaccato ai «genitali» dei nostri desideri. Negli occhi, nelle orecchie, nelle dita delle mani, nei pori della pelle: ovunque il nostro Corpo «generi» Desiderio – Lui è sempre là, sempre in agguato. Gironzola per tutti i nostri organi, divaga in tutte le vene del nostro sangue, a tutti i sensi – nessuno escluso – chiedendo quel «pezzo di placenta» che gli manca da che è stato scaraventato giù dal cielo, a calci in culo, dai suoi «divini» Fratellastri.

E già, i fratelli di Ogo, i Nommo – loro sono nati lassù, loro non si sono sporcati di terra, loro non hanno fatto incesto. Loro non si sono mai attaccati al seno di una Mamma. Loro sono venuti al mondo dopo lo svezzamento. Che ne sanno, che possono saperne del Corpo della Madre pre-edipica?
Loro sono apparsi quando Narciso s’era già tramortito in fiore: non hanno dovuto, loro no, portare la croce per le Quattordici Stazioni per cui Desiderio passa, prima che Amore pretenda la sua castrazione.

Che dici? Vogliamo fingere, continuare a fingere di doverlo santificare dopo averlo castrato con le nostre maledizioni, coi nostri vade retro Satana? o non è proprio così, maledicendolo, che continuiamo a circonciderlo e a strapparlo via dalla Parola che fu sua, prima – molto prima di essere nostra?
Cos’è che la nostra Parola non gli perdona? E Lui chi è se non l’Eretico (il linguaggio immaginario)? E i suoi fratellastri chi sono, se non i nostri Vocaboli legali (i nostri Simboli)?

È che siamo in guerra con la Realtà, da parecchio tempo. Tra noi e la Realtà c’è, ormai, una millenaria distanza. Mille secoli trasecolati in un solo istante: nell’istante in cui a ciascuno muore il suo Narciso.
In quell’istante, quella che Narciso ha sempre parlato diventa lingua morta. A quella sua vecchia lingua è stato strappato il clitoride. Alla sua sacca velenifera è stato tolto il wanzo.

Cercavamo il Teatro della Crudeltà? Ebbene: l’abbiamo trovato, e sapessi com’è crudele, com’è sanguigna la Sceneggiata che vi si recita! Vi scorre il sangue vero, il mestruo di maschi (sic!) e femmine. Vi si odono soltanto strilli acuti di dolore. Vi si celebra la morte dell’Inizio, l’iniziazione a un’altra vita, a una vita simbolica, sociale, tribale – dove ciascuno sia «fissato nel suo proprio sesso». Nel sesso (o maschio o femmina) che sarà la tomba (linguistica) di san Narciso. Ovvero dell’Ermafrodito «scacciato», e poi di nuovo riacchiappato o «captato» a volo, tenendosi al riparo dietro Maschere e Tatuaggi vari.

La crudeltà, dicono i popoli del Mande, non è dell’uomo. La colpa, dicono, non è neanche dei suoi Antenati. Ma non per questo l’Uomo non ha un conto da pagare. Una Vendicazione da mettere a verbale (gli scaffali della Biblioteca di Borges non a caso ne custodiscono a migliaia). Tante vendette per una sola Furia da sbollire.
La crudeltà, dicono, è meglio non nasconderla ai bambini. Tanto, chi gliela nasconde, non per questo li esenta dal dolore.
Perché Desiderio è Dolore, dicono. E come dargli torto?

Ma cerchiamo di essere più chiari.
Desiderio di Amma è Dolore della Terra.
Sulla scena non c’è che Lui (? Eros ?) nel suo doppio travestimento: insieme Amma e la Terra, una sola Coppia ermafrodita in ciascun Corpo di Narciso (e di sua Madre), nel Corpo Unico della Madre pre-edipica. Pre-simbolica. Pre-verbale. Infra-verbale.
Non vediamo altro, sulla scena, che Narciso e la sua Immagine. Solo Lui che è, insieme, il Desiderante e il suo Desiderato. E che, insieme, ubiquo è lassù che guarda e «allatta», e quaggiù che è guardato e «nutrito». Sono queste le loro reciproche «posizioni» immaginarie: Lui, il Desiderante, sopra – Lei, la Desiderata, sotto.

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Ligabue – La leonessa sopra la zebra

E tuttavia c’è qualcosa che non va, qualcosa che non torna, che non «funge» al buon «funzionamento» della cosa.
È che nessun Narciso può copulare con chi gli è troppo uguale, troppo simile, o addirittura identico. Il Maschio non può copulare col Maschio. Sebbene uno sia il Cielo, e l’altro la Terra – non basta.
È allora, solo nel momento in cui Desiderio sta stretto e si sente soffocare nel suo ermafroditismo, è in quel momento che la Crudeltà gli si rende necessaria per uscire dall’impasse.

Vedersi così lontano, così irraggiungibile perché Uguale. E soprattutto non poter fare all’amore, a quello «reale» (così si dice), con Se Stesso.
La pazziella deve scendere di lassù, e venire a fare i conti quaggiù con la pazzia di Xibalbá.
A fare i conti con le «vagine dentate» o i «clitoridi inturgiditi», ossia con gli spettri ancora vaganti di quello straccio di placenta ermafrodita clandestinamente appiccicato a ogni nostro desiderio.

Proprio lì dove il Simbolismo di tutte le lingue l’ha «confinato»: sul prepuzio e sul clitoride. Là dove il Linguaggio simbolico l’ha «fissato». Nella differenza di genere.
Finché il Cielo si specchiava sulla Terra, e con questo «speculare» l’Immagine sua «gemella» Narciso – più o meno come il dio Amma – si arrangiava a divagare nel bosco del suo immaginario ermafroditico, dov’era il problema? che bisogno aveva di andare alle Crociate, al servizio di questo o quel Sacro Simbolo?

Narciso è Amma, e Narciso è anche il suo Primogenito – lo Sciacallo, niente più e niente meno che una misera vecchia Volpe che insiste nelle sue astuzie e nei suoi travestimenti.
volpe-spelacchiataTu la vedi, è vero, è malridotta. Spesso si umilia e fa la sguattera. Attende l’ora della sua vendetta. Macchina dietro le quinte, nei bassifondi della Parola. A tenerla in vita, forse non è la stessa Vendicazione, di cui hanno sete i vari Amleto, Kay Khusraw, Kullervo e perfino Krsna.
Essi infatti stanno a vendicare il Padre. E non la Madre.
Essi giurano nel nome del Padre. E non dicono nulla, anzi se dicono qualcosa, dicono male – maledicono la loro Madre. La chiamano Matrigna, addirittura. L’accusano di aver messo un sasso nella mollica del loro pane.

Ma chi è patisce il Trauma ancestrale? chi realmente si assoggetta al Dramma messo in scena nel Cielo dei nostri Simboli? su, dai: non è difficile capirlo!
A chi è sdentata la vagina, a chi è scippato il clitoride?
Certo, c’è anche la circoncisione – ma quella viene dopo.
L’inconveniente, il Primo – lo dice il Racconto – è la mascolinità del gemello di Terra. È l’Immagine che deve essere escissa dal Corpo della Madre, perché allo sguardo che l’immagina e la desidera sia spianata la via che lo porti a realizzare altrove i suoi desideri.
Altrove? e dov’è questo «altrove», se non dove quell’Immagine, passata al setaccio del Simbolo, è disuguagliata – sessualmente differenziata da colui che l’immagina, polarizzata a figurare l’Altro, tutto l’Altro, solo nell’altro «genere»?

Ma, voglio dire, fin qui dov’è il problema?
Perché dobbiamo incarnare, non solo immaginare, ma anche «realizzare» la Mutilazione dell’Uguale? perché lo spargimento di sangue? perché tanta insistenza a marchiare le «lettere» della nuova Lingua simbolica sulla nostra carne?
Chi lo chiede? Chi lo pretende – se non proprio il nome di quel Padre che, cocciutamente, ciecamente, i «marziani» Amleto, Kay Khusraw, Kullervo e lo stesso Marte nella persona del suo pianeta, insistono a voler vendicare?
Non fu escisso a Venere il clitoride? Non fu la «femminilità» a essere accusata di veneficio?
Non fu Venere a essere mutilata per prima? Lei a doversi piegare a diventare l’Altro, l’Oggetto di Desiderio? Lei a doversi assoggettare per prima alla castrazione simbolica e, soprattutto, Lei la prima a dover tacere?

È del suo Silenzio che non si parla mai. Eppure, se mi segui, ti aiuterò a rintracciarlo nel Racconto. Se mi segui, ti porto in Sudamerica ad ascoltare gli ultimi soffi che le uscirono di bocca, prima che anche lì il Simbolismo l’ammutolisse.
Frammenti, non aspettarti altro che frammenti, lapsus, quiproquo e anacoluti vari, in cui il Racconto si lascia scappare di bocca un po’ di quel «non detto» che del Corpo della Madrelingua è il «pezzo di placenta» vagante per tutti i libri e per tutti i racconti, in cerca di uno stolto qualsiasi che la Rivendichi.