Griaule – La prima parola e la sottana di fibre

dogon-mapOgotemmeli si sedette sulla soglia, raschiò la tabacchiera di pelle dura e depose sulla sua lingua una polvere gialla: «Il tabacco dà lo spirito giusto», disse.
E cominciò a decomporre il sistema del mondo.
Perché bisognava cominciare dall’aurora delle cose.

Ogotemmeli respinse come priva d’interesse l’origine dei quattordici sistemi solari di cui parla il popolo, composti di terre piatte e circolari, disposte a pila. Voleva trattare soltanto del sistema solare utile. Consentiva a prendere in considerazione le stelle, benché esse giocassero un ruolo secondario: «È vero – diceva – che nella progressione dei tempi le donne staccavano le stelle dal cielo per darle ai loro bambini. Essi le bucavano con un fuso e facevano girare queste trottole di fuoco per mostrarsi tra loro come funzionava il mondo. Ma non era che un gioco».

Le stelle erano nate dalle pallottole di terra lanciate nello spazio dal dio Amma, dio unico. Egli aveva creato la luna e il sole secondo una tecnica più complicata che non fu la prima conosciuta dagli uomini, ma che è la prima di cui vi sia testimonianza per Dio: la fabbricazione del vasellame.

Il sole è, in un certo senso, un vaso portato all’incandescenza una volta per tutte e circondato da una spirale a otto avvolgimenti di rame rosso. La luna ha la stessa forma, ma è il suo rame è bianco. E non è scaldata che per quarti.
La spiegazione dei loro movimenti sarebbe venuta più tardi. Per il momento, era meglio tracciare le grandi linee di una scenografia e passare subito agli attori.

Ogotemmeli volle tuttavia dare un’idea della grandezza del sole.
«Alcuni – disse – pensano che sia grande come l’accampamento, il che farebbe trenta cubiti. Ma, in realtà, è più grande. Supera per superficie il cantone di Sanga».
E, dopo un’esitazione, soggiunse: «Forse è anche più grande».

Quanto alle dimensioni della luna, egli rifiutò di soffermarvisi. E non le precisò mai. La luna non aveva un ruolo importante. Se ne sarebbe riparlato. Disse tuttavia che, mentre i negri erano creature di luce, estratti in pieno sole, era al chiaro di luna che erano stati creati i bianchi; di qui il loro aspetto larvale.

A questo punto Ogotemmeli sputò il suo tabacco. Non aveva nulla contro i bianchi. Non diceva nemmeno di compiangerli. Li lasciava al loro destino, nelle terre del nord.

Il dio Amma prese dunque un budello d’argilla, lo strinse in mano e lo lanciò come aveva fatto per le stelle. L’argilla si tende, avanza a nord, che è l’alto, si allunga a sud, che è il basso, benché tutto avvenga su un piano orizzontale.
«La terra è coricata, ma il nord è in alto».
Essa si distende a oriente e a occidente, separando le sue membra come un feto nell’utero. Essa è un corpo, cioè una cosa le cui membra si sono separate da una massa centrale.

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E questo corpo è femmina, orientato da nord a sud, appiattito, con la faccia rivolta al cielo. Un formicaio è il suo sesso, un termitaio il suo clitoride. Amma che è solo e vuole unirsi a questa creatura, le si avvicina.
È allora che si produsse il primo disordine dell’Universo!
Ogotemmeli tacque. Con le mani incrociate sopra la testa, era teso ad ascoltare i diversi suoni che provenivano dal cortile e dalle terrazze. Era giunto all’origine delle calamità, all’errore primordiale del Dio.
«Se mi sentissero – imprecò, – avrei un’ammenda di un bue!».

Quando Dio si avvicina, il termitaio si drizza, sbarra il passaggio e mostra la sua natura maschile. Esso è identico al sesso estraneo: l’unione non avrà luogo.
Tuttavia Dio è onnipotente. Egli abbatte il termitaio ribelle e si unisce alla terra dopo averle strappato il clitoride. Ma l’incidente originario doveva segnare per sempre il processo delle cose: dall’unione difettosa, invece dei gemelli previsti, nacque un essere unico, lo sciacallo, simbolo del disagio di Dio.

Ogotemmeli parlava a voce sempre più bassa. Non si trattava più delle orecchie delle donne. Altri timpani, immateriali, potevano vibrare a quelle parole tremende. Il Bianco e il suo aiutante negro, il sergente Koguem, stavano chini sul vecchio come in uno spaventoso complotto.
Ma egli era giunto alle imprese benefiche del Dio, e il tono ridivenne normale.
Dio ebbe ancora rapporti con la sua sposa e, questa volta, nulla intervenne a turbare la loro unione, perché l’escissione aveva fatto sparire la causa del primo disordine. L’acqua, seme divino, penetrò nel grembo della terra e la generazione seguì il ciclo regolare della gemellarità. Due esseri presero forma. […]

Questi geni, detti Nommo, erano dunque due prodotti omogenei di Dio, come lui di essenza divina, concepiti senza incidenti e sviluppatisi secondo le regole nell’utero terrestre. Il loro destino li condusse al cielo, dove ricevettero l’istruzione dal loro padre.
Non che Dio dovesse insegnar loro la Parola, questa cosa indispensabile a tutte le creature come al sistema universale: la coppia era nata completa e perfetta; a causa delle sue otto membra, la sua cifra era otto, simbolo della Parola. […]

dogon-mascheraIl Nommo, dall’alto del cielo, vide sua madre, la Terra, nuda e priva della parola, senza dubbio in conseguenza del primo incidente avvenuto all’epoca dei rapporti col Dio Amma. Bisognava mettere fine a questo disordine.
Il Nommo discese sulla terra portando con sé qualche fibra presa dalle piante già create nelle regioni celesti. Ne separò dieci pugni corrispondenti alle sue dieci dita e ne intrecciò cinque per metterle davanti e cinque per metterle dietro.
Ancora oggi, gli uomini mascherati portano questi accessori che pendono fino ai loro piedi in spessi viticci.

Ma il ruolo di questa veste non era soltanto di servire il pudore. Essa presentava al mondo terrestre il primo atto di ordinamento universale e il segno elicoidale che si proietta su un piano nella forma di una linea spezzata e serpeggiante.
Le fibre, infatti, ricadevano a terra a spirale […]

Il Nommo, quando parla, emette, come ogni essere, un vapore tiepido portatore di parola, parola esso stesso. E questo vapore sonoro, come ogni specie d’acqua, si muove secondo una linea elicoidale.
Le spirali della sottana erano dunque un sentiero di elezione per la parola che il genio voleva rivelare alla Terra. Egli pronunciava un sortilegio sulle sue mani portandole alle labbra mentre intrecciava: così la sua parola umida si avvolgeva a spirale con le trecce umide; la rivelazione spirituale penetrava l’insegnamento tecnico.

Attraverso queste fibre piene d’acqua e di parola, il Nommo era dunque continuamente presente davanti al sesso di sua madre. Così rivestita, la Terra aveva un linguaggio, il primo di questo mondo, il più antico di tutti i tempi.
Sintassi elementare, verbo raro, vocabolario senza grazia. Le parole erano soffi poco differenziati, ma tuttavia portatori di forza. Così com’era, la parola, senza sfumature, era adatta ai grandi lavori degli inizi. […]

In quanto alla Parola, essa aveva un ruolo di organizzazione: era, dunque, una buona cosa; e, tuttavia, essa aprì il varco al disordine.
Lo sciacallo, infatti, figlio deluso e deludente di Dio, desiderò possedere sua madre e levò la mano sulle fibre che la portavano, cioè sulla veste di lei. La madre oppose resistenza, perché si trattava di un gesto incestuoso, e s’inabissò nel proprio grembo, nel formicaio, sotto forma di formica. Ma lo sciacallo l’inseguì fin laggiù; d’altra parte, non c’era al mondo altra donna che egli potesse desiderare. Il buco che la madre scavava non era mai abbastanza profondo e, alla fine, lei dovette dichiararsi vinta. […]

dogon-YuruguL’incesto ebbe grandi conseguenze: anzitutto, diede allo sciacallo la Parola, il che doveva permettergli per l’eternità di rivelare agli indovini i disegni di Dio. Esso fu inoltre la causa dell’apparizione del sangue mestruale che tinse le fibre [della veste materna]. Lo stato della Terra, divenuta impura, era incompatibile col regno di Dio.
Questi si distolse dalla sua sposa e decise di creare direttamente degli esseri viventi. Dopo aver modellato una vagina nell’argilla umida, la collocò sulla terra e, dall’alto del cielo, la coprì con una pallottola lanciata nello spazio.
Fece lo stesso con un sesso dell’uomo: lo depose sul suolo e lanciò una sfera che vi si conficcò sopra.

Immediatamente le due masse si organizzarono; la loro vita si sviluppò; le membra si separarono dal nucleo, apparvero due corpi e una coppia umana sorse dal fango.
Fu allora che entrò in scena, con nuovi compiti, la coppia dei Nommo; prevedeva che la regola fondamentale delle nascite doppie sarebbe stata abolita e che potevano risultarne degli errori paragonabili a quello dello Sciacallo, nato da solo.
Perché fu a causa della sua solitudine, che il primo figlio di Dio agì come agì.
«Nato solo – diceva Ogotemmeli – per questo lo Sciacallo ha fatto più cose di quante possa dirne la bocca».

Il genio disegnò sulla terra due figure sovrapposte, due anime, delle quali una era maschile e l’altra femminile. L’uomo si sdraiò sulle sue ombre e le assunse in sé tutt’e due. Lo stesso fece la donna.
Così, fin dall’origine, ogni essere umano fu provvisto di due anime di sesso diverso, o piuttosto di due principi corrispondenti a due persone distinte all’interno di ognuno.
Nell’uomo, l’anima femminile s’insediò nel prepuzio. Nella donna, l’anima maschile fu portata dal clitoride.

Ma la prescienza del Nommo gli mostrò senza dubbio gli inconvenienti di questo compromesso. La vita umana non poteva adattarsi a questi esseri doppi; bisognava costringere ognuno a scegliere il sesso per il quale era apparentemente meglio conformato.
Il Nommo circoncise perciò l’uomo, cancellando in lui tutta la femminilità del prepuzio. Ma questo si trasformò in un animale che non è «né serpente né insetto, ma è classificato tra i serpenti». Questo animale porta il nome di nay.

Si tratterebbe di una sorta di lucertola, nera e bianca come la coperta dei morti. Il suo nome significa anche «quattro», cifra femminile, e «sole», entità femminile.
Il nay era il simbolo del dolore della circoncisione e della necessità in cui si trovava il maschio di soffrire anche lui nel suo sesso, come la donna.

Allora l’uomo si unì alla sua compagna. Più tardi, essa diede alla luce i primi due figli di una serie di otto che dovevano essere gli antenati del popolo dogon.
In quel momento, la sofferenza del parto si concentrò nel suo clitoride, che, reciso da una mano invisibile, si staccò e si allontanò da lei, mutata in scorpione.
La sacca velenifera e il dardo simboleggiano l’organo, il veleno essendo l’acqua e il sangue del dolore.

(Griaule, Dio d’acqua)