Il segreto della funzione della betulla nelle cerimonie sciamaniche sta nel fatto che, allo scopo di entrare in trance, gli sciamani la associano all’ovolaccio (amanita muscaria).
Questo fungo nasce in rapporto micorrizale con le radici di determinati alberi, ma la specie che preferisce è la betulla, ai piedi della quale si hanno maggiori possibilità di trovarlo. Al secondo posto viene l’abete che pure è spesso […] l’Albero cosmico delle popolazioni siberiane.
Il consumo dell’amanita provoca prima di tutto un periodo di sonnolenza, dopo il quale «il soggetto si sente stimolato a compiere le alte gesta fisiche che troviamo celebrate» non soltanto in Siberia, ma in India, negli inni del Rig Veda.
«Il delirio sciamanico … fu in un primo tempo attribuito a uno stato patologico vicino alla schizofrenia. Eppure tutti gli specialisti sono d’accordo nel riconoscere la perfetta integrità psichica dello sciamano all’infuori della cerimonia, e quindi il carattere momentaneo del fenomeno di allucinazione di cui egli è oggetto durante l’estasi. Così si è arrivati a sospettare l’intervento della droga nel determinare la crisi» (Pelt, Droghe e piante magiche).
Nell’Europa occidentale l’amanita muscaria, o ovolaccio, è sempre stata ritenuta malefica. Nel sedicesimo secolo il botanico Jean Bauhin riferiva che in Germania era chiamata «fungo dei pazzi».
Le credenze popolari la collegano spesso al rospo, l’animale delle streghe che, secondo le tradizioni, come quelle è in rapporto da una parte con le tenebrose potenze infernali e dall’altra con la luna e la pioggia. In inglese, uno dei termini vernacolari che designano l’amanita è «trono di rospo». Nella loro apparente eterogeneità, tutti questi dati hanno un punto di convergenza rappresentato dall’utilizzazione sciamanica del fungo.
Malgrado la cattiva reputazione di cui gode, l’ovolaccio non è velenoso nel vero senso della parola. I disturbi che provoca – gli stessi perseguiti dagli sciamani – possono certo destare preoccupazione nei consumatori che ne vengono colti alla sprovvista, ma non hanno conseguenze letali. Ciò non toglie che, in certe regioni siberiane, l’amanita sia colpita da severa interdizione. Presso i Voguli della valle dell’Ob, l’ingestione ne era riservata esclusivamente agli sciamani. In Siberia, ciò nondimeno questo fungo era molto apprezzato: «Nelle regioni in cui è raro, può raggiungere prezzi esorbitanti: si dice che i Coriachi non esiterebbero a barattare una renna con un fungo» (Pelt, Droghe e piante magiche).
Secondo gli Orocci, popolo tunguso, le anime dei morti si reincarnavano nella Luna sotto forma di amanite e così trasformate ridiscendevano sulla terra […]
Lo storico finlandese Uno Holmberg-Harva … riferisce una credenza popolare molto diffusa in Siberia. Lo spirito della betulla è una donna di età matura che a volte appare tra le radici dell’albero o nell’atto di uscire dal tronco, rispondendo all’invocazione di un fedele. Essa si rivela fino alla vita, i capelli sciolti, e tende le braccia mentre fissa con occhi seri il credente cui offre il seno nudo. Dopo aver bevuto il suo latte, l’uomo sente decuplicate le sue forze.
Come osserva R. Gordon Wasson, è quasi certo che si tratta in realtà dello spirito della betulla: «Quel seno è forse qualcosa di diverso dalla mammella (udhan) del Rig Veda, il cappello lattifero del fungo? In una variante dello stesso racconto, l’albero dispensa “un liquore giallo celestiale”. Non si tratta qui del pavamana “giallo rossiccio” del Rig Veda?» (Wasson, Soma).
Dopo essersi dedicato a lunghi esperimenti sugli effetti dei diversi – e numerosi – funghi psichedelici di tutto il mondo, Wasson ha raggiunto la convinzione di aver identificato la pianta, fino ad allora misteriosa, da cui proveniva il Soma.
Considerato una divinità dagli Ariani e celebrato da 120 inni del Rig Veda, Soma è il «re delle piante e delle erbe, re e guida delle acque – ma anche loro germe – (loro fonte universale), talvolta anche re degli dèi e dei mortali o di tutto quanto il sole vede, re del mondo».
La sua essenza è la pioggia che fa spuntare i cereali, la loro linfa, «l’elemento vitale, il modello e l’essenza di ogni liquido portatore di vita, principio nutritivo degli alimenti e delle bevande», quindi anche il «latte della vacca» e il «seme del cavallo stallone nel suo maschio vigore».
Questa allusione al cavallo va sottolineata, perché non soltanto in certe regioni della Siberia questo animale è allo stesso tempo connesso col Frassino cosmico e sacrificato durante l’iniziazione dello sciamano, ma presso gli Ariani la sua esecuzione era anche, seconda solo al sacrificio del Soma, considerata l’offerta più atta a propiziare gli dèi, in quanto «elisir di vita» (amrta), pozione d’immortalità della quale gli dèi avevano «bisogno quanto gli uomini».
Il Soma accresceva la loro forza vitale, la loro saggezza e il loro potere di veggenza, esaltava la loro energia fino all’entusiasmo, fino all’ebbrezza sacra. Assunto a un tempo dagli dèi e dai sacerdoti, il Soma creava tra loro un legame più stretto, più intimo di qualsiasi altro, univa «in amicizia la terra e il cielo».
Simbolo, ma anche agente dell’ebbrezza divina, il Soma era così celebrato: «Abbiamo bevuto il Soma, siamo diventati immortali, giunti alla luce, abbiamo trovato gli dèi» […]

L’agnistoma, il sacrificio del Soma, spremuto in modo rituale prima di essere offerto agli dèi, era destinato a «dissetarli», a dissetare in particolare Indra, divinità del fulmine e dei guerrieri, che l’amava fino a eccedere, ma era anche una cerimonia magica, estremamente importante: «Il soma che gocciola e scorre fa piovere il cielo». Connesso quindi con il fulmine e la pioggia, nell’agnistoma il Soma era celebrato insieme ad Agni, com’è dimostrato dal nome del rito.
Con Agni, il dio del fuoco sceso dal cielo, il Soma aveva un «rapporto di polarità», formava una coppia con lui. D’altra parte il Soma era identificato con la Luna, in quanto soggiorno delle anime dei morti. In altri termini, il dio Soma possedeva molte caratteristiche proprie dell’Albero cosmico, e in particolare dell’albero degli sciamani, la betulla.
È stato probabilmente questo a sviare per tanto tempo i ricercatori, sempre che le equivalenze Soma-Luna e luna-betulla avessero potuto metterli sulla buona strada.
Secondo il micologo R. Gordon Wasson, la soluzione dell’enigma starebbe quindi nell’amanita (ovolaccio) associata alla betulla. A sostegno della propria tesi, Gordon presenta numerosi argomenti.
In nessun punto del Rig Veda si parla delle radici, delle foglie, dei frutti o dei semi della pianta. «Il Rig Veda dice anzi esplicitamente che il Soma non è nato da un seme: il germe è stato deposto dagli dèi» […]
Il Soma si trova solo in alta montagna, in particolare sull’Himalaya. Si potrebbe aggiungere che da una parte l’Himalaya è la montagna cosmica per eccellenza e che, dall’altra, vi si trovano parecchie specie di betulla che non si trovano in nessun’altra regione dell’India. È perciò lecito supporre che i conquistatori di razza bianca che si divisero in due gruppi – di cui quello orientale si rovesciò nella valle dell’Indo, mentre l’altro che penetrò in Iran a occidente conosceva anche l’haôma considerato dall’Avesta la maggiore delle offerte – portassero con sé il Soma dalle regioni più settentrionali dell’alta Asia, dalle quali provenivano o che avevano attraversato.
Secondo R. Gordon Wasson, la descrizione che della pianta forniscono gli antichi testi sanscriti si adatta molto bene all’amanita muscaria. Nel Rig Veda essa è paragonata a una mammella (udhan), coperta di schizzi del proprio latte divino, descrizione che corrisponde alla macchiettatura di squame bianche, residui dell’involucro che picchiettano il cappello. Ed è appunto nella pellicola di quest’ultimo che è concentrata la muscarina, responsabile dei disturbi provocati dall’ingestione del fungo.
Gli inni paragonano l’epidermide rossa e lucente della pianta alla pelle del toro rosso, sulla quale veniva posto il Soma durante il primo atto del sacrificio. Gli inni dicono pure che il Soma scintilla, giorno e notte. Di un argenteo candore. Di giorno, l’amanita muscaria offre lo spettacolo magico dei suoi colori luminosi, di notte quei colori si appannano, mentre al chiarore lunare restano visibili solo i frammenti dell’involucro bianco, come accade peraltro alla corteccia della betulla.
Esiste infine una proprietà molto particolare dell’amanita, forse unica nel mondo vegetale, che confermerebbe curiosamente tale identificazione. Il principio psichedelico attivo, la muscarina, passa rapidamente nell’urina di chi l’assume. Le popolazioni del nordest della Siberia conoscono così bene questa particolarità che avevano l’abitudine, seguendo probabilmente l’esempio delle renne, appassionate di urina non meno che dell’amanita, di bere l’urina di quelli che avevano assunto il fungo, e gli effetti di questo restavano attivi fino alla quarta o anche alla quinta generazione di bevitori.
Nel Rig Veda è appunto ripetuto più volte che gli dèi, e principalmente Indra, «pisciano il Soma». È quindi possibile che fosse l’urina degli dèi, contenente il Soma che era passato attraverso il loro corpo, ciò che i preti vedici erano tenuti ad assumere.
(Brosse, Mitologia degli alberi)