Epopea di Gilgameš (06) – Il Toro celeste

Gilgamesh-Enkidu-Toro

Udite le parole di Gilgameš, Ištar risalì furiosa in cielo.
Andò al cospetto di suo padre Anu e scoppiò a piangere,
le sue lacrime scorrevano al cospetto di sua madre Antu:
«Padre mio, Gilgameš mi ha più volte umiliata!
Mi ha ingiuriata e offesa». Anu così le parlò:
«Cosa vuoi? Non sei stata tu a provocarlo,
sicché Gilgameš ha rivolto ingiurie contro di te
e ti ha offesa e umiliata?». Ištar aprì la bocca e disse:
«Padre mio, dammi per favore il Toro celeste,
voglio uccidere Gilgameš nella sua casa.
Se non me lo darai, abbatterò le porte degli Inferi
e farò risuscitare i morti».

Anu così parlò allora alla principessa Ištar:
«Se ti darò il Toro celeste che mi hai richiesto,
vi saranno sette anni di carestia nel paese di Uruk.
E allora tu dovrai raccogliere paglia per gli uomini,
e io far crescere l’erba per il bestiame».
Ištar a lui rispose: «Ho già ammassato la paglia,
ho già fatto crescere l’erba. Dammi quel Toro!».
A queste parole Anu si arrese e affidò alle mani di Ištar
le redini del Toro celeste. Ištar le prese e lo guidò sulla terra.

Quando il Toro giunse a Uruk, cominciò a calpestare l’erba
e a bere l’acqua dell’Eufrate: sette volte s’immerse nel fiume.
Al suo primo sbuffo, una fossa si aprì e cento giovani
vi caddero dentro. Al secondo, un’altra fossa si aprì
e duecento giovani vi precipitarono. Al terzo, ancora
una fossa si aprì ed Enkidu vi cadde. Ma Enkidu ne uscì,
affrontò il Toro, e l’afferrò per le corna.
Il Toro celeste gli sputò in faccia la sua bava,
con la sua spessa coda gli spruzzò addosso la sua merda.

Enkidu si rivolse allora a Gilgameš e così disse:
«Amico mio, siamo stati troppo audaci a uccidere Humbaba.
Come possiamo ora riparare la nostra colpa?
Amico mio, ho visto il Toro celeste: la sua forza
è pari alla mia! Ma io voglio affrontarlo,
voglio spargere a terra il suo sangue!».
Enkidu affrontò ancora il Toro, lo prese per la coda,
lo tenne fermo con le mani, mentre Gilgameš,
come un eroico macellaio, immergeva la sua spada
tra le corna e i tendini della nuca. Poi, quando l’ebbero
ucciso, ne estrassero il cuore e l’offrirono al Sole.

Seduta sulle mura di Uruk, Ištar vide ogni cosa
e lanciò su Gilgameš la sua maledizione:
«Gilgameš, proprio colui che mi ha umiliata,
ha ucciso il Toro celeste!». Udite le sue parole,
Enkidu strappò una coscia del Toro e gliela gettò in faccia:
«Se potessi raggiungerti – disse – farei lo stesso anche a te,
e appenderei i tuoi intestini alle tue braccia!».

Ištar raccolse intorno a sé le cortigiane e le prostitute,
con loro intonò un lamento funebre per la spalla del Toro.
Gilgameš dal canto suo, radunati gli artigiani e gli armaioli,
fece loro ammirare lo spessore delle corna del Toro:
di trenta mine di lapislazzuli esse erano fatte,
dello spessore di due dita e con la capienza di sette gur di olio.
Le offrì a suo padre e le appese al letto del capofamiglia.