Eliade – Il calore magico e la luce interiore

Universalmente gli sciamani e gli stregoni godono della fama di «signori del fuoco»: ingoiano carboni ardenti, toccano il ferro rovente, camminano sul fuoco.
camminare-fuocoDurante le loro sedute, gli sciamani siberiani si «riscaldano» a tal punto da colpirsi con dei coltelli senza ferirsi, si trafiggono con le sciabole, ingoiano braci, ecc. Ora, un certo numero di yogin-fachiri dà prova di prodigi simili.

L’analogia tra gli yogin e gli sciamani è ancora più evidente nel caso del «calore magico». Una delle prove iniziatiche specifiche dello sciamanesimo comporta appunto la capacità di resistere al freddo estremo. Presso i Manciù, d’inverno, si scavano nove buche nel ghiaccio; l’aspirante sciamano deve tuffarsi in una buca e uscire nuotando dalla seconda, e così di seguito fino alla nona buca.
Una prova iniziatica analoga si trova presso gli sciamani eschimesi del Labrador; un candidato restò per cinque giorni e cinque notti nel mare ghiacciato e, dopo aver dimostrato di non essersi nemmeno bagnato, ottenne immediatamente il titolo di angakok.

Alcune prove iniziatiche indo-tibetane consistono precisamente nel valutare il grado di preparazione di un discepolo secondo la sua capacità di asciugare, col proprio corpo completamente nudo e in piena neve, un gran numero di panni bagnati, durante una notte d’inverno.
Questo «calore psichico» ha in tibetano il nome di gtûm-mö (pronuncia: tumò).

«I panni vengono immersi nell’acqua gelata; congelano e ne escono rigidi. Ognuno dei discepoli se ne avvolge uno intorno a sé e deve sgelarlo e asciugarlo sul suo corpo. Quando il tessuto è asciutto, viene rituffato in acqua, e il candidato se lo riavvolge di nuovo intorno al corpo. L’operazione prosegue così fino al sorgere del sole. Allora, colui che è riuscito ad asciugare il maggior numero di panni è proclamato primo del concorso» (David-Neel, Mistici e maghi del Tibet).

Il gtûm-mö è un esercizio yogico-tantrico molto noto nella tradizione mistica indiana […]. I testi precisano che il «calore psichico» si ottiene tanto con la ritenzione del respiro quanto con la trasmutazione dell’energia sessuale, e questa esperienza è sempre accompagnata da fenomeni luminosi.
La tecnica della «produzione del calore interiore» non è una innovazione del tantrismo. Il Majjhimanikâya, 1: 244 ss., parla del «calore» che si produce con la ritenzione del respiro, e altri testi buddhisti (il Dhammapada, per es., 387) assicurano che il Buddha è «bruciante».

chakra-yogin

Il Buddha è «bruciante» perché pratica l’ascesi, il tapas – attestato in India fin dall’epoca vedica, ma che l’ideologia e le pratiche della «trasudazione magica» e della creazione mediante l’autotermia sono conosciute fin dall’epoca indoeuropea; anzi, esse appartengono a uno stadio culturale arcaico, essendo attestate sia nelle cosmologie «primitive» sia in numerosi sciamanesimi.

Vi sono tutte le ragioni di credere che l’esperienza del «calore interiore» sia stata conosciuta dai mistici e dai maghi fin dai tempi più remoti.
Un gran numero di tribù «primitive» rappresentano il potere magico-religioso come «bruciante» e lo esprimono con termini che significano «calore», «bruciatura», «molto caldo», ecc.
Per questo, d’altronde, i maghi e gli stregoni primitivi bevono acqua salata o pimentata, e mangiano piante estremamente drogate: in tal modo essi cercano di aumentare il loro «calore» interno.

Nell’India moderna, i maomettani credono che un uomo in comunicazione con Dio divenga «bruciante». Chiunque opera dei miracoli è chiamato «bollente». Per estensione, ogni genere di persone o di azioni implicanti un potere «magico-religioso» di una specie o di un’altra, sono considerati come «brucianti».

Come si poteva prevedere, la potenza sacra sperimentata sotto forma di un calore estremo, non si ottiene esclusivamente con tecniche di tipo sciamanico o mistico.
Alcuni termini del vocabolario guerresco indoeuropeo (furor, ferg, ecc.) esprimono propriamente quel «calore estremo» e quella «collera» che caratterizzano l’incorporazione di una forza sacra.
Come lo sciamano, il giovane eroe «si riscalda» durante il suo combattimento iniziatico. Questa «collera» e questo «calore» non hanno nulla di «profano», nulla di «naturale»: è la sindrome dell’appropriazione di una sacralità.

luce-interioreIl «dominio del fuoco» e il «calore interiore» sono sempre in rapporto con l’accesso a un certo stato estatico o, ad altri livelli culturali, con l’accesso a uno stato incondizionato, di perfetta libertà spirituale.
Il «dominio del fuoco», l’insensibilità al calore e, pertanto, il «calore magico» che rende sopportabili sia il freddo estremo sia la temperatura della brace, è una virtù magico-mistica che, accompagnata da altri prodigi non meno straordinari (ascensione, volo magico, ecc.) indica in modo sensibile che lo sciamano ha superato la condizione umana e partecipa già alla condizione degli «spiriti».

Evidentemente, l’esperienza primaria di potenza magico-religiosa si traduce con la «collera» delle iniziazioni guerriere o con il «calore» degli sciamani, dei maghi o degli yogin, e di conseguenza ha potuto essere trasformata, differenziata, sfumata da un processo ulteriore di integrazione e di «sublimazione».
La parola indiana kratu, che ha cominciato con l’indicare l’«energia del guerriero ardente, e principalmente di Indra», e poi «la forza vittoriosa, la forza e l’ardore eroici, l’audacia, il gusto del combattimento» e, per estensione, la «potenza» e la «maestà» in generale, ha finito per indicare «la forza dell’uomo pietoso, che lo rende capace di seguire le prescrizioni del rta e di conquistare la felicità» (Kasten Rönnow).

Resta evidente, tuttavia, che la «collera» e il «calore» provocati da un accrescimento violento ed eccessivo di potenza, sono temuti dalla maggioranza dei mortali: questa sorta di potenza interessa soprattutto, allo stato «bruto», i maghi e i guerrieri; coloro che cercano nella religione la fiducia e l’equilibrio si difendono contro il «calore» e il «fuoco» magico.
Il termine shanti, che indica in sanscrito la tranquillità, la pace dell’anima, l’assenza di passioni, la consolazione delle sofferenze, deriva dalla radice sham che originariamente comportava il significato di spegnere il fuoco, la collera, la febbre, dunque il calore provocato dalle potenze demoniche.
L’Indiano dei tempi vedici avvertiva il pericolo della magia: si proteggeva contro la tentazione di un eccesso di potere, esattamente come, più tardi, lo yogin dovrà vincere la tentazione dei poteri miracolosi.

Come detto, il calore interiore è accompagnato, negli esercizi yogico-tantrici, da fenomeni luminosi. D’altra parte, alcune esperienze mistiche luminose sono attestate già nelle Upanisad dove la luce interiore (antar jyotih) definisce l’essenza stessa dell’âtman; in alcune tecniche buddhiste di meditazione la luce mistica di colori diversi sta a indicare il successo dell’operazione.
gtummoNon insisteremo sull’immensa importanza che la luce interiore ha avuto nelle mistiche e nelle teologie cristiane e islamiche; la nostra ricerca si limita all’ambito sciamanico. Aggiungiamo semplicemente che le epifanie luminose, in India, vanno oltre i limiti dell’esperienza yoga: si pensi all’ascensione estatica della Montagna di Šiva da parte di Arjuna, ascensione che culmina in una luce soprannaturale (cfr. Mahâbhârata, VII: 80 ss.).

La luce interiore costituisce l’esperienza decisiva dello sciamanesimo eschimese. Si può dire, anzi, che il suo conseguimento equivale a una prova iniziatica.
In effetti, il candidato ottiene questa illuminazione – quamaneq – dopo lunghe ore di meditazione in perfetta solitudine. Secondo gli sciamani interrogati da Rasmussen, il quamaneq consiste in una luce misteriosa che lo sciamano avverte improvvisamente nel suo corpo, all’interno della sua testa, nel centro del cervello, un faro inspiegabile, un fuoco luminoso, che lo rende capace di vedere nell’oscurità, in senso proprio e figurato; infatti a questo punto egli riesce, anche a occhi chiusi, a vedere nelle tenebre e a percepire cose e avvenimenti futuri, celati agli altri esseri umani; in questo modo egli può conoscere l’avvenire e i segreti degli altri.

Sempre secondo le informazioni di Rasmussen, quando il candidato sperimenta per la prima volta l’illuminazione (il quamaneq) è come se la casa nella quale si trova si sollevasse di colpo; egli riesce a vedere molto lontano davanti a sé, attraverso le montagne, come se la terra fosse una grande pianura e i suoi occhi arrivassero ai confini della terra.
Nulla è nascosto dinanzi a lui.

(Eliade, Lo yoga, immortalità e libertà)