Com’è il Malato di Molière?
Immaginario.
È sano come un pesce, però si crede «malato», accusa malattie da cui non è affetto. Se c’è qualcosa di cui è realmente malato, è solo l’immaginazione che gli «produce» miraggi, sviste e abbagli e … mancamenti vari. È l’immaginazione a spacciargli per «reale» ciò che sta solo nella sua testa.
Immaginario sta, dunque, per «irreale, illusorio, inesistente» e simili.
Recita il dizionario:
Immaginario = che è effetto d’immaginazione, che non esiste se non nell’immaginazione e non ha fondamento nella realtà: esseri e mostri immaginari; personaggi, timori e perfino amori immaginari
(Treccani, Vocabolario)
Insomma, tutta roba che fuma sulla luna, in una delle tante ampolle in cui Astolfo deve rovistare (come ogni buon poeta «analista»), per ritrovare il senno a Orlando.
Perché pure Orlando è «malato d’immaginazione». Se Orlando è furioso, se c’è qualcosa che lo manda in bestia, che gli eccita il «furore», è che la realtà smentisce la sua passione immaginaria per Angelica. Come? non mi ama realmente? possibile che ami un pischello qualunque, e non me che sono il più reale Paladino del Re?
C’è poco da fare: Orlando immagina Angelica, Orlando scrive le sue fantasie di libido sul corpo di Angelica, Orlando è realmente malato di un’immagine che, ahimé, è nata cresciuta e pasciuta solo nella sua testa.
Angelica, la «sua» Angelica, in realtà è un’altra: è un demonio, non l’angelo che lui «immaginando» le dipinge addosso.
È un Fantasma del suo celibato, un fantomatico «oggetto» dei suoi desideri, un giocattolo della sua fantasia, a proposito del quale il vocabolario (questa Sibilla dei giorni nostri) si affretta a sentenziare [neanche più a voce, ma per iscritto] che esso non ha fondamento nella realtà.
Come dire: hai voluto la bicicletta? – e adesso pedala!
Ora però, se Orlando immagina di giocare all’amore con Angelica, se questa sua immaginazione è infondata, o al più ha fondamento solo in se stessa, e non «nella realtà», mi domando: Orlando è o non è realmente cotto? questa sua passione gli «brucia» o no realmente? e il suo «calore» non è «nella realtà» la vampa di tutti i Buddha del mondo messi assieme? il suo desiderio è o non è «ardente» dell’arsura che affligge alla gola tutti gli Apolli dell’Olimpo al cospetto, alla sola vista della Stella Vergine del Reame? e la sua fiamma è o non è, essa, il solo roveto da cui ancora può «udire» la divina voce della sua credenza?
Come stanno le cose? e, soprattutto, dov’è che si può segnare lo spartiacque tra reale e immaginario?
Ah, quel mattacchione di Ariosto!
Poteva bastare, eccome se bastava!, lo «scempio» di cui già si era macchiata la penna (e ovviamente l’immaginazione) del Boiardo che del Paladino della Chanson de geste, del Cavaliere più fiero della Cavalleria di Carlo Magno, aveva fatto un qualunque, e sottolineo qualunque, «soldato innamorato».
Come il «guerriero» ha un altro fronte?
Non dovrebbe, il suo «furore», sfogarlo sul campo di battaglia?
Che pazzia è mai questa di «spostarlo» dalla sua sede «naturale» (sic) al seguito della sottana di una pulzella, per poi colorarsi con l’Ariosto di questo tocco in più di demenza? Come? l’Eroe, il Glorioso, ha disertato il campo dov’è solito «vincere», per andare a «perdere» la faccia, e non solo, nel più banale e qualunque dei «posti», nel Paese dei Fantasmi immaginari?
Sappiamo come se la sbriga il Poeta. Confonde le «acque».
Dice: c’è una fontana nel bosco, bevi un sorso della sua acqua … e t’innamori. Ripassi di là, bevi una seconda volta … e ti scordi di chi sei innamorato.
È solo un gioco a casaccio. Nessuno ne è esente. È il gioco dei desideri, il gioco a cui più volentieri gioca l’immaginazione umana – anche quella dei santi e degli eroi. Nessuno può sottrarsi ai numeri della Smorfia. Nessuno può resistere alla bellezza della «sua» propria Smorfiosa!
C’è dunque, secondo il Poeta, una fontana nel bosco – nell’intimo della Foresta c’è una fonte la cui acqua spegne, ma il più delle volte «accende» il sacro fuoco della Passione.
Vuoi chiamarla libido? – fai pure.
È fuoco nell’acqua! – è proprio quello che cerca l’Alchimista. Cerca una scintilla di quel «fuoco gelido», vuol bere una goccia, appena una goccia di quell’«acqua bollente» di cui si dice che fa i miracoli a chi la beve.
Quell’acqua, quella Fonte d’acqua viva, è proprio quella dove, tra poco, andrà a specchiarsi Narciso.
Freud però ci avverte: la libido egoica, il narcisismo, il primo albore di [ideale dell’]io, viene dopo, succede a un autoerotismo primitivo, a una libido sessuale, il cui Soggetto non è un «io» [l’«io» è ancora di là da venire].
Insomma: c’è sulla scena un «individuo biologico» non ancora individuato psichicamente. E questo «bios», questa «macchina di Natura» come più o meno la chiamerebbe Deleuze, già si fa le seghe mentali!
Ma sì: già «immagina».
E questo «immaginativo» che non è ancora un «io» compiaciuto della sua propria immagine allo specchio, già «produce».
Produce immaginario, produce «mostri», produce «esseri», produce «timori» e «tremori», produce «desideri» e produce «amori».
Sarà pure tutta roba «ampollosa», fumo e niente arrosto – ma tu non farti distrarre dalla questione intorno alla «realtà» dei prodotti.
Fissa lo sguardo sul solo dato «reale»: che c’è nel «bios» del cucciolo umano questa facoltà di produzione (Einbildungskraft, come la chiama Schelling nel suo Bruno: ovvero come «la potenza di mettere in immagine, di dare forma e di elaborare»).
Eccola la Regina Madre di tutte le pulzelle più o meno «angeliche», la Stoffa di cui son fatte tutte le sottane dentro cui desideri frugare! Volevamo sapere che cosa intendere per «linguaggio immaginario», ci pareva un problema da mammasantissima e invece …
Immaginario – detto di un «prodotto» qualunque dell’immaginazione – vale illusorio, fantastico, irreale.
Detto invece della Natura «produttrice», detto della Fabbrica che fabbrica immagini, che conosce la lingua che le produce, miracolo più miracolo meno, non solo è reale, ma vale addirittura come l’«Industria naturale, biologica, di realtà psicologica».
La distinzione è semplice da afferrare: reale è la funzione immaginativa, non il tale o talaltro suo «prodotto». Se ci riesce così difficile farla, questa semplice distinzione, è perché su questo campo di battaglia, sì su questa Terra dei desideri, non ci sono che rovine ormai, dopo secoli di distruzione e di smantellamento delle antiche «fortezze» immaginali, dopo le secolari crociate che gli «intellettuali», laici e chierici, barbieri e curati, suggestionandosi a vicenda, facendosi forti gli uni degli argomenti degli altri, hanno combattuto contro la Imago magia, contro l’Immaginazione creatrice, contro l’Imaginatio activa di cui sono invasati tutti i cuccioli della nostra specie, e di cui solo i don Chisciotte, solo i furiosi, solo i «malati immaginari», tra noi patiscono la potenza.
È la potenza della nostra Regina – essi dicono.
E noi li prendiamo per pazzi.
Noi, i «sani», che li bolliamo di pazzia
ancora una volta saremo costretti a ricorrere alle distorsioni e amplificazioni di ciò che è patologico per comprendere l’apparente semplicità di ciò che è normale
(Freud, Introduzione al narcisismo)
Noi, per sapere della Regina che è Nostra Madre Immaginazione, dobbiamo chiedere ai «malati immaginari» di guarirci dalla nostra presunzione di realtà.
Dobbiamo chiedere noi a loro di salvare la nostra Regina dalle diagnosi del cerusico e del pastore di anime.
Non dobbiamo salvare i mulini di don Chisciotte, ma quella facoltà che macina immagini nella sua mente. Noi, i suoi ultimi (?) Sancio Panza.