… lui divenne il mio occhio, e io il suo piede
(Sanâ’î)
Chi è che lo dice?
Lo dice il Viandante. Dice: ho stretto un patto (muto) con la mia Guida. Da allora, Lui, il mio Duca, «vede» la Via per cui io, fidandomi ciecamente dei suoi miraggi, m’incammino. Io sono, da allora, la gamba di cui Lui non può più fare a meno. Sono il suo piede a terra, il suo veicolo, il suo mezzo di trasporto.
Da allora, siamo in due, in un corpo solo: siamo il Pesce che «contiene» Giona, il Pesce in cui Giona si rifugia nell’ora del pericolo.
Comprendi? Giona è l’occhio che «guida» il Pesce che l’ha inghiottito. Giona è il suo Maestro interiore.
Dev’essere successa una catastrofe, una rivoluzione: l’occhio non è forse la «persona di lassù» e il piede la «persona di quaggiù»? e come si spiega che, adesso, nel giro di qualche verso, il Poeta capovolge lo «spazio» in modo che il «lassù» finisce per trovarsi «dentro», e il «quaggiù», in virtù di una stramba rotazione, «fuori»?
Bella domanda. Beato chi già conosce la Risposta.
Noi, per ora, possiamo solo provare a scrivere questo «passaggio»:
(sopra : sotto) > (dentro : fuori)
Passaggio traumatico è questo (>), in quanto implica una simmetria forzata invece di una normale equivalenza (=).
E che si tratti di «trauma» è confermato da tutti gli «iniziati» che finiscono in bocca a un pesce, un lupo, un serpente o un drago. Pinocchio, Väinämöinen, Cappuccetto Rosso e … tutti i cuccioli della nostra specie «trapassano» da un linguaggio (muto) a una Lingua (parlata).
Traumatico è ogni «inizio» umano.
Ciò che nel linguaggio del cucciolo è sopra, sulla soglia dell’Umano, gli «cade» dentro.
Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
(Genesi, 1: 26)
Dio, l’Altissimo più alto di tutti gli uccelli e di tutti i cieli per cui gli uccelli volano, nell’Uomo è il più intimo.
Solo nell’Uomo, perché solo l’Uomo è a sua immagine, lo spazio «divino» viene a trovarsi capovolto. Dio non si vede, perché è dentro l’Uomo. Non si vede, perché è prigioniero (della Credenza) dell’Uomo.
E, tuttavia, nella sua muta invisibilità da lì dentro «guida» il piede di chi l’«ospita», e lo «orienta» a questo nuovo «spazio» che sorge alla sua Coscienza al prezzo di una catastrofe linguistica.
Di una traumatica rivoluzione del suo linguaggio.
No, non vogliamo peccare d’irriverenza, né alle Sacre Scritture, né alla Poesia di un poeta che amiamo. Tanto più che, se l’amiamo, è grazie a dio che ce lo fa «udire» dentro, e che ci «traduce» nel Suo linguaggio silente ogni parola, ogni lettera del poema.
No, noi amiamo Sanâ’î, e perciò lo smontiamo e lo rimontiamo come si fa coi giocattoli che più ci sono cari.
Nelle segrete del nostro «cuore», poiché l’amiamo, laggiù lo custodiamo, nel fondo senza fondo della nostra Credenza.
Vedi? ho detto «laggiù», quando avrei dovuto dire «qui dentro»!
Capisci? io «parlo» involontariamente la Lingua degli uomini a cui sono stato iniziato! io «parlo», come tutti gli uomini, dopo la catastrofe.
Da allora, io «comprendo» l’Altissimo – è diventata una proposizione logica, e insieme un’eresia.
È il Logos Umano l’Eretico, non io.
Semmai, eretico è il mio Super-io.
Io, Super-io, io ideale, ideale dell’io … ce n’è abbastanza per discutere, a partire ciascuno dalla propria eretica differance, come la chiama Derrida. Per discutere da qui alla fine del mondo, col rischio ovviamente di ripetere a pappagallo quello che è stato già detto, già macellato, cotto, mangiato e digerito … per non aggiungere altro.
No, non m’infilerò in questo vespaio, se non dalla porta stretta della mia ignorante «differenza» eretica.
Mi farò dare una mano da Lacan (sarò più chiaro: dal quel Lacan che mi è dato «udire» dentro), per «spostare» la questione, ma sì: per scipparla ai loro «legittimi» competenti (quelli che hanno preso la laurea in anatomia e adesso fanno i professori di filosofia!).
La «sposterò» nella distinzione lacaniana di immaginario e simbolico.
So che è un’avventura, ma per fortuna non ho nessuna ortodossia da onorare a priori.
Ho invece da pazziare, e dico subito a quale gioco.
Ho da pazziare al gioco della «battuta immortale», del «giocattolo simbolico» che passa di bocca in bocca, sempre uguale, sempre a dire, in tutte le lingue, di quel trauma lì per cui sono passato anch’io.
La battuta con cui pazziamo, è quella che ormai sai.
Dice che … lui divenne il mio occhio, e io il suo piede.
Che dici?
Non è ciò che, parola per parola, dice pure il Gatto, quando dice della sua «alleanza» con la Volpe?
Quel diavolo di un Gatto non ci «vede». Ha gli stivali e può girare il mondo, ma non «vede» dove mette i piedi. Solo la Volpe lo può «guidare».
E, a sua volta, la Volpe – la Furba, l’Astuzia in persona – è impotente a camminare da che è stata «azzoppata».
Il Guercio e la Zoppa. Il Cieco e la Sciancata.
Ma sì: il Viandante e la sua Guida.
L’io e il Super-io.
Il Pesce immaginario e il Punto (di luce) Simbolico.
È solo un gioco, solo una pazziella, non temere.
Non voglio irritare nessuno, ma non posso fare a meno di pensare a Cenerentola, e alla «scarpina» unica e particolare che il Principe le dovette procurare. Il Principe le disse: suvvia, tu zoppichi, sali sulle mie spalle! Da questo momento sarai il mio Occhio, e io ti porterò a spasso per il mondo: io ho le gambe buone, e posso girare il mondo in lungo e in largo, ma, cosa vuoi farci?, dacché ti ho vista, mi sono accecato e più non vedo dove metto i piedi.
Insomma: qualunque strada stiano percorrendo, e qualunque faccenda stiano tra loro sbrigando – sublime, come nel Poema di Sanâ’î, o comica come nelle favole – i due «compagni» si alleano, solidarizzano, stringono tra loro un patto. Lo «pattuiscono» tacitamente. Lo «sanciscono» traumatizzandosi l’uno a beneficio dell’altro.
Di modo che, ciò che prima del patto l’immaginario immaginava «lassù», ed era vasto e incontenibile e straripante – adesso non è più grande d’un «punto» ed è rinchiuso nella pancia del Simbolico.
Giona, Dhû’l-Nûn, è così che lo chiamano gli Arabi: lo chiamano «Quello della Nûn», Quello cioè della quattordicesima lettera dell’Alfabeto. Quello della quattordicesima luna. Quello del Plenilunio.
Sopra il sole, sotto la luna. Il sole dell’Altissimo illumina, ma la sua luce è troppo abbagliante. La sua luce di lassù «acceca» chi osa guardarla in faccia!
Quale sarà, dunque, il destino dell’accecato? Ha ancora un destino degno di questo nome? o per andare a destinazione deve bussare alla porta della luna e chiedere l’elemosina dei suoi raggi riflessi?
Com’è difficile dire tutto questo insieme, eppure – guarda – il Simbolo è così potente che ci riesce:
(alto : basso) = (zenit : nadir) = (sole di mezzogiorno : luna di mezzanotte)
Quando l’immaginario incontra la Notte del suo destino, non può che aggrapparsi a un plenilunio simbolico, per incamminarsi sulla Via che gli è destinata.
Alla quattordicesima Mansione Lunare, alla quattordicesima e ultima Stazione della Via Crucis, un povero cristo allo stremo delle sue forze, un cucciolo che non ce la fa più a essere animale, ma che non è ancora umano, o si allea alla sua lunatica Cenerentola, o non andrà da nessuna parte.