Sanâ’î – L’incontro con la Guida

Sanai

Incontrai un vecchio gentile e luminoso
qual è un credente nelle tenebre dell’empietà.
Era umile, amabile e misurato,
arguto, elegante, profondo e garbato.
Il suo tempo fluiva più veloce del nostro,
la sua vecchiezza fioriva più di nuova primavera.

Gli dissi: «O fiaccola delle mie notti,
o messia che guarisci le mie febbri!
Donde lo splendore, la perfezione e la maestà che mostri?
E tanta grazia e avvenenza e nobiltà?
O regale condizione è quella di chi si getta ai tuoi piedi!
E che meraviglioso luogo è un pozzo oscuro,
se in esso tu come luna ti specchi!
O tu, gioiello prezioso, infine dimmi:
chi sei, e donde trai la tua essenza?».

Rispose: «Io sono più alto di ogni spazio o sostanza,
giacché mio padre è il Ministro di Dio.
Egli è il primo grado della Preesistenza,
è il sole dell’aurora del Niente primitivo.
È la causa prima di codesta dimora e del terrestre
tappeto, e perfino del trono divino.
E il suo trono non sta sotto i piedi di un vile,
né il suo tappeto è tessuto dalla volta celeste.
Ma egli tesse a vostro solo beneficio la tunica
dell’eternità, nella casa dell’effimero.
È per ordine di mio padre che io qui languo
immobile, in questa tomba d’aria fetida.
Per rendermi utile e non per stoltezza,
rimasi nei ceppi di un mondo straniero.
E chi mai, essendo nato sovrano,
si rassegnerebbe alla vita del guardiano di porci?
Non è indecorosa, persino agli occhi più meschini,
l’amicizia di un Gabriele con una mosca?
A te chiedo: si può gareggiare col cavallo
che divide la stalla con un asino?».

Io così risposi: «In verità non puoi trarne beneficio!».

E lui: «Quale vantaggio può trarre mai
un lavandaio da coloro che vanno svestiti?
O il bel Giuseppe dall’amore di un cieco?
Io sono un gioiello abbandonato nella polvere della via,
un Giuseppe carcerato nel profondo di un pozzo.
Può forse un asino apprezzare le virtù di Gesù?
O un sordo gradire gli inni di Davide?
È cosa grata a un vivente, per forte che sia,
giacere in una tomba tra due cadaveri?».

E similmente portò mille esempi profondissimi,
senza produrre né suono né parola.
Allora io gli chiesi: «Mio nobile maestro dai politi discorsi,
perché in essi non odo né voce né parola?».

silenzio-bambina

Rispose: «Codeste forme servono a voi soltanto,
voce e parola sono la legge della vostra città.
Ma in verità provengono dalla provincia di Ignoranza,
da sempre sono estranee al vertice di Conoscenza.
Dalle vostre bocche i discorsi escono sottili
come capelli, da voi i discorsi escono oscuri.
La Fonte del verbo in verità la contempla
solo colui che si copre d’infamia!
Dobbiamo volgere gli occhi al Regno del ritorno,
di là dobbiamo trarre il nostro viatico!
Per lunghi che siano i vostri discorsi,
non dispiegano che oscenità e corruzioni.
O tu, sotto l’azzurro castello un pugno di polvere
t’ha offerto un bel mazzo di spine!
Avvia i tuoi passi verso la Città della Preesistenza,
e lascia ai cani codesta casa di ossa!
Come puoi attardarti a disputare con gli asini?
Come puoi rimanere abbracciato a un cane?
Asino non sei, perché ti ostini ad ammassare paglia?
Non sei un cane, perché fai incetta d’ossi?
Tu infine puoi uscire dal regno vegetale,
da questa terra puoi ascendere alla volta del cielo!
Aggrappati con le unghie alla tunica di un saggio,
sappi dominare i tuoi impulsi brutali!
Distogli te stesso dal cibo e dal sonno,
mettiti in cammino e scorda ciò che hai sentito dire!
Le tue provviste in quest’arduo viaggio
saranno fuoco e fiamme, come per lo struzzo.
Un fuoco da cui non nasce impotenza,
un fuoco da cui anzi scaturisce l’acqua di vita!
Io sarò il tuo amico se lo desideri,
e ti prenderò per mano, se avrai saldo il piede.
Afferra il mio ramo, se vuoi diventarne un frutto,
gettati ai miei piedi, se aspiri a divenire un Signore!
Io non ho come i serpenti la coda al posto dei piedi,
né tu vedi doppio come fan gli scorpioni.
Ma con questi miei piedi tu camminerai a testa alta,
con questi miei occhi inizierai a vedere!
Sappi lottare contro le belve e le fiere,
così liberando sia me che te stesso!».

Come sulla via dell’inganno conobbi costui,
lesto la chioma gli porsi a mo’ di portantina.
Quindi gli diedi la mia testa a mo’ di Burâq,
e gli donai per dimora la mia anima.
Prendemmo quindi consiglio di partire,
lui divenne il mio occhio e io il suo piede.
Da allora egli fu il mio amico e io il suo confidente,
l’uno all’altro avvinti come Giona e il Pesce.

(Sanâ’î, Viaggio nel Regno del ritorno, 108-158)