L’idea dell’automa o homunculus, così in voga all’alba del pensiero moderno, risale a fonti antiche. Stando alla commedia greca, Dedalo avrebbe trovato il modo di animare una statua lignea di Venere mettendovi del mercurio […]
La magia greca orientale, sempre pronta a mescolare in modo sconcertante i dati della scienza naturale con le più chimeriche fantasie, pretendeva di possedere la formula segreta che permette di creare un uomo d’ogni specie.
A Simon Mago certi gnostici attribuivano la capacità di compiere simili prodigi […]
Se Zosimo usa il termine homunculus (anthrôparion) nelle sue allegorie alchemiche, questo presuppone che una simile idea fosse già diffusa in ambienti ermetici.
Come colui che pratica la scienza del «far essere», anche lo scultore dà alla materia che lavora, quantomeno esteriormente, la forma d’un essere vivente. Se è dotato di poteri magici superiori, egli arriva anche a rendere le sue statue viventi, mobili e agenti. Dedalo fu per es. capace di creare statue animate, alla maniera di Prometeo che modellò gli uomini nell’argilla.
È una vecchia credenza comune ai Greci e ad altri popoli, quella di attribuire la vita alle immagini e alle statue. La scuola neoplatonica fu attratta dalla questione del rapporto tra le divinità e le statue che le raffiguravano.
Come far essere presenti gli dèi nei loro simulacri? Porfirio ne trattò, e sulla sua scia molti neoplatonici posteriori attribuirono alle statue la capacità di fare miracoli e guarigioni. Qualcuno arrivò ad attribuire loro perfino la «vita».
Da qui a omologare l’arte dello scultore a quella del teurgo, il passo fu breve. Produrre statue o talismani è quantomeno dare agli spiriti e ai corpi sottili un «abitacolo»…
La credenza primitiva che, grazie al rituale magico della consacrazione, il dio o il demone viene ad abitare nella sua statua, fu elevata a principio teologico nella religione dell’antico Egitto. La stessa lingua egizia lo diceva designando lo scultore con la radice s’nh che significa «dare vita».
In epoca romana, ancora esisteva, tra il personale dei templi egizi, una casta particolare di «scultori», chiamati da Firmico Materno, secondo il gergo dei testi ermetici, «fabbricanti di dèi o sacerdoti dei simulacri divini»…
Nella versione latina del Corpus hermeticum, 3: 23, Ermes esorta Asclepio ad apprendere il potere segreto dell’uomo: come Dio è creatore di tutti gli dèi, così l’uomo è creatore degli dèi che stanno nei templi.
Asclepio, volendo essere sicuro d’aver capito, domanda a Ermes: «Parli delle statue, o Trismegisto?».
Ed Ermes gli risponde: «Sì, parlo proprio delle statue, o Asclepio … Parlo delle statue animate, dotate di sensi e di spirito, che compiono tali e tanti prodigi ed enunciano profezie servendosi d’un vate o dei sogni, o in mille altri modi, e che così soccorrono l’ignoranza umana, a chi dispensando dolore a chi gioia secondo i meriti di ciascuno … L’uomo, cosa più mirabile di tutto, può scoprire e riprodurre la natura divina. I nostri antenati a lungo disputarono intorno alla natura degli dèi, finché non scoprirono l’arte della scultura: se pure non erano in grado di fare le anime, a furia d’invocare le anime degli dèi e dei demoni, riuscirono a imprigionarle nelle immagini sacre».
Allora Asclepio: «Qual è la qualità di questi dèi che si dicono terreni?».
«È la stessa delle erbe, delle pietre e dei profumi che hanno in sé la natura della divinità … L’uomo è dunque scultore di dèi»…
Qualcuno ha voluto vedere una relazione tra questo passo e il rituale egizio delle feste di Osiride, rituale di cui c’è giunta la ricetta per la fabbricazione delle statue di dèi. La ricetta si sofferma sulle dosi da impiegare per la mistura di erbe, pietre e profumi […]
Ma la comparazione più ardita è un’altra: a Jâbir che, dal canto suo, designa come nâmûs (legislatore, profeta) la creatura più difficile da «far essere» con la ‘ilm al-takwîn (la «scienza del far-essere»), fa eco Ermes, allorché dice che le statue «enunciano profezie».
Anche Proclo, nel suo Commento al Timeo di Platone, sottolinea la facoltà «profetica» delle immagini di dèi.
(Kraus, Jâbir ibn Hayyân)