«Puah. Io sono Timoleo Timolei, il solo alchimista del mondo cristiano a conoscere la vera ricetta dell’oro potabile o impotabile, per non parlare d’altre mille meraviglie».
«E quali?».
«Camminare sul soffitto come le mosche o sull’acqua come Nostro Signore Gesù Cristo, trovarsi nello stesso tempo qui e in Nuova Spagna, viaggiare nella pancia d’una balena come il profeta Giona, cavalcare i delfini come Arione e correre più svelto di Atalanta; viaggiare in una carrozza senza cavalli, fendere il cielo come l’aquila e la rondine …».
«Mi sembra che hai un debole per i mezzi di trasporto».
«Sto facendo un’esposizione metodica. Volete sentire un’altra serie? Capire il linguaggio delle api, parlare la lingua Topinambú senza averla imparata, conversare con una persona lontana mille leghe, udire l’armonia delle sfere celesti, leggere senza difficoltà tutte le scritture segrete, sapere a memoria il contenuto di mille e tre opere, discorrere d’ogni argomento con competenza senza aver studiato».
«Robetta, in confronto dell’oro!», disse il Duca cominciando a rivestirsi.
«Con la polvere di proiezione che stava per nascere l’avrei potuto produrre non a once ma a libbre, che dico?, a tonnellate, e l’intrusione di vossignoria ha mandato tutto a monte! M’aspettano altri ventisette anni di distillazione; o magari un po’ meno, tenendo conto dell’esperienza acquisita».
«Quanti anni pensi di metterci, stavolta?».
«Ehm, – fece Timoleo Timolei. – Tre … quattro anni …».
«Entro tre quattro anni, te la senti di trovare la pietra filosofale?».
«Me la sento».
«E l’elisir di lunga vita?».
«Idem».
«Non c’è male», disse il Duca che ormai era pronto.
(Queneau, I fiori blu, 10)