Santillana – La leggenda del Grotti

Si dice – cantò Snæbjörn – che al largo, oltre quel capo laggiù, le Nove Fanciulle del Mulino dell’Isola rimestano con veemenza la macina di scogli crudele alle schiere – loro che nelle passate età macinarono la farina di Amleto. Il buon condottiero ara la tana dello scafo con la prua a becco della sua nave. Qui il mare viene chiamato Mulino di Amlóði
(Snorra Edda, Skáldskaparmál, 16)

Il Mulino non è soltanto grandissimo e molto antico, ma anche necessariamente fondamentale nella storia originaria di Amleto. Ricomparirà negli Skáldskaparmál, là dove Snorri spiega perché per indicare l’oro si usi la kenning «farina di Fróði». Fróði compare sì nelle cronache, ma il suo nome è in realtà uno pseudonimo di Freyr, uno dei grandi Vani o Titani del mito norreno. Snorri invece, che ama dare alle cose un tono di storicità conforme alla sua formazione cristiana, colloca il suo Fróði nella «stessa epoca in cui l’imperatore Augusto stabilì la pace nel mondo intero e in cui nacque Cristo». Sotto Re Fróði la vita e ogni cosa erano simili a quelle dell’Età dell’Oro e questo periodo ebbe il nome di «pace di Fróði». Saxo dice altrettanto e, non sospettando nulla, assegna a questa pace una durata di trent’anni.

mulino-anticoOra, si dà il caso che Fróði fosse il proprietario di un enorme mulino o macina che nessuna forza umana poteva smuovere. Il suo nome era Grotti, «lo stritolatore». Non è detto di come ne fosse entrato in possesso: le cose stavano così e basta, come nelle fiabe. Egli aveva viaggiato in lungo e in largo alla ricerca di qualcuno che sapesse farlo funzionare e in Svezia aveva reclutato due fanciulle giganti, Fenja e Menja, capaci di far funzionare il Grotti.
Si trattava di un mulino magico e Fróði ordinò loro di far uscire dalla macina oro, pace e felicità. Esse così fecero, ma Fróði le costringeva per avidità a lavorare giorno e notte, lasciandole riposare solo per il tempo necessario a recitare una certa strofa. Una notte, mentre tutti gli altri dormivano, la gigantessa Menja, infuriata, fermò il lavoro e cantò un canto tremendo.

Questa oscura imprecazione profetica, come ha dimostrato Müllenhoff, è il più antico documento di poesia scaldica giunto fino a noi, di gran lunga anteriore al racconto di Snorri. Esso contiene la biografia delle torve sorelle:

Fróði tu non fosti abbastanza guardingo
o amico degli uomini quando comprasti fanciulle!
Alla loro forza guardasti e ai loro bei visi,
ma nulla chiedesti del loro lignaggio.

Duro fu Hrungnir ed anche suo padre
pure era Þjazi più forte di loro
E Idi e Ornir nostri amici
fratelli dei giganti montani che ci allevarono.

Né sarebbe Grotti venuto dalle grigie montagne,
né questa dura pietra fuori dalla terra;
le fanciulle dei giganti montani non macinerebbero così
se noi due nulla sapessimo del mulino […]

Erano tali le nostre imprese nei giorni passati
che eroi coraggiosi eravamo credute.
Con le lance appuntite eroi trafiggevamo,
così il sangue scorreva e le nostre spade s’arrossavano.

Eccoci ora giunte alla casa del Re,
nessuno ha pietà di noi, schiave noi siamo,
il fango ci mangia i piedi, le nostre membra sono fredde,
giriamo colui che dà pace. È dura da Fróði […]

Ora le mani terranno le dure lance,
le armi insanguinate: Svegliati, Fróði!
Svegliati, Fróði, se vuoi prestare ascolto
ai nostri canti e agli antichi detti!

Vedo ardere fuoco a oriente della fortezza,
son deste le notizie di guerra. È un monito.
Schiera di armati qui s’affretta
per incendiare la dimora del Re.

Non sarai più assiso sul trono di Hleidr
a regnare sopra armille d’oro e sul mulino.
Ora dobbiamo macinare sempre più forte, ragazze,
nessun calore avremo dal sangue degli uccisi.

Ora la figlia di mio padre fa girare con impegno il mulino.
Ella di molti uomini destinati a morire vide il numero.
Or si son rotti i grandi supporti del mulino
fasciati di ferro. Maciniamo ancora!

Maciniamo ancora! Il figlio di Yrsa
vendicherà su Fróði la morte di Halfdan.
Egli di Yrsa figlio verrà chiamato
ma anche suo fratello. Ciò noi due sappiamo.

La profezia, per quanto oscura, si avvera: dalla macina le fanciulle fanno uscire per Fróði «un’improvvisa schiera d’armati», e quello stesso giorno Mýsingr, re del mare, approda e uccide Fróði.
Mýsingr, «figlio del Topo», carica il Grotti sulla sua nave e si porta via anche le gigantesse alle quali ordina di ricominciare a macinare. Ma questa volta dalla macina esce sale.

E a mezzanotte esse chiesero se Mýsingr non ne avesse abbastanza di sale. Egli ordinò loro di continuare a macinare. Macinavano da qualche minuto, quand’ecco che la nave sprofondò.

Le fanciulle macinavano / si tesero al massimo,
caddero in preda / alla furia titanica.
La grande maniglia volò via, / il telaio crollò,
cadde quella pesante / pietra – si divise in due.

orcadi
Orcadi

E da allora c’è nel mare un gorgo dove l’acqua precipita dentro il foro della macina. Fu così che il mare divenne salato.
Qui finisce il racconto di Snorri. Olrik tuttavia ci offre alcuni resti interessanti:

«Nel 1895 il dottor Jacob Jakobsen, il noto raccoglitore dei resti dell’antica lingua “nordica” delle isole Ebridi, fu informato da un vecchio delle Shetland, i cui genitori erano originari di Ronaldsey nelle Orcadi, che presso la più settentrionale di queste isole esisteva un vortice chiamato “lo Swelki” [ossia lo svelgr di Snorri, il “mulino del mare, dove le acque si precipitano attraverso il buco della mola”]. In quel punto sul fondo del mare c’era un mulino che produceva sale, a cui si ricollegava una leggenda su Grotti-Fenni e Grotti-Menni. Nel corso di ulteriori ricerche condotte in loco a South Ronaldsey nelle Orcadi, Jakobsen venne a sapere del mulino del mare che produceva sale nel Pentland Firth. Nel 1909 il signor A. W. Johnstone venne informato da una donna di Fair Isle che Grotti Finnie e Lucky Minnie erano assai note nella sua isola natale, dove venivano spesso invocate per far paura ai bambini cattivi. Benché da quelle parti la leggenda sia frammentaria, ridotta ormai a resti privi di senso, la tenacia della tradizione orale dimostra come essa abbia radici profonde in queste isole. Al di fuori delle Orcadi la tradizione ignora sia Mýsingr sia il suo mulino di sale, eccezion fatta per i carmi dell’Edda che recano del resto i segni di una provenienza dall’Occidente» (Olrik, Legends).

Nel racconto di Snorri vengono presentati tre temi fondamentali e di grande portata: il mulino infranto, il gorgo, il sale. La maledizione delle mugnaie si erge da sola come un megalite abbandonato; tuttavia, sorprendentemente, la possiamo ritrovare, già con un che di strano, nel mondo omerico di duemila anni prima.
Siamo nell’Odissea (20: 103-119), è l’ultima notte, quella che precede lo scontro decisivo: Odisseo è approdato a Itaca e si nasconde sotto l’incantesimo di Atena che impedisce che egli sia riconosciuto. Come nel racconto di Snorri, tutti dormono. Odisseo prega Zeus di mandargli un segno di incoraggiamento prima della grande prova.

E all’improvviso tuonò dall’Olimpo splendente,
in alto, dalle nubi: Odisseo luminoso gioì.
E parole parlò dalla casa una donna alla macina,
vicino, dov’erano appunto le macine del pastore di eserciti;
vi badavano attivamente dodici donne in tutto
a fare farina d’orzo e di grano, midollo degli uomini.
Dormivano l’altre avendo già macinato la loro parte di grano,
una soltanto non aveva finito: la più debole era.
Questa, fermando la macina, parlò parola e fu segno al re.
«Padre Zeus, che sui numi e sugli uomini regni,
molto forte tuonasti dal cielo stellato
e non c’è nube: dunque tu mostri un segno a qualcuno.
Oh! compi anche a me misera la parola che dico:
i pretendenti oggi per l’ultima volta
d’Odisseo nella casa godano allegro banchetto,
essi che con la fatica strazio del cuore le membra mi sciolgono
a far farina: sì, per l’ultima volta banchettino».

«La più debole era», eppure, di diritto, una figura gigantesca. Nella struttura serrata e ben costrutta del racconto, l’episodio si inserisce abilmente e tuttavia spicca come una pietra ciclopica incastrata in una casa. In Omero vi sono molte cose simili.

Tornando al Grotti, il nome ha una sua storia interessante. Ancor oggi è usato in norvegese per indicare il «ceppo dell’asse», un ceppo di legno rotondo che occupa il foro della mola e in cui viene fissata l’estremità dell’asse del mulino. Nel dialetto delle Färöer e delle Shetland, significa «mozzo della mola».

Kircher-Mundus-subterraneaus-caverne
Athanasius Kircher – Mundus subterraneus

A tale proposito è bene tener presente che il termine sanscrito nabhi abbraccia l’ambito semantico dei due termini inglesi nave [mozzo] e navel [ombelico]. In questa storia è naturalmente nave ciò che conta, perché quando l’albero del mulino ne fu divelto esso creò un foro in cui venne a formarsi il gorgo. D’altro canto, «ombelico del mare» era un nome dato anticamente ai grandi gorghi. Con giusto istinto, Gollancz vide subito il collegamento:

«In verità non si può fare a meno di pensare a un possibile riferimento al prodigioso Maelstrom, il più grande di tutti i gorghi, una delle meraviglie della terra. Umbilicus maris era detto dagli antichi geografi, gurges mirabilis omnium totius orbis terrarum celeberrimus et maximus, nella descrizione che ne dà Athanasius Kircher nel suo affascinante in folio, Mundus subterraneus.
Secondo Kircher, si pensava che ogni giorno si formasse attorno a un masso centrale, sotto il quale si apriva una gran caverna ove si precipitavano le acque; il movimento vorticoso si produceva come in una vasca che si svuoti da un foro centrale. Di questa teoria, Kircher dà una strana illustrazione, facendo specifico riferimento al Maelstrom».

(Santillana-von Dechend, Il mulino di Amleto)