Aiguesmortes – La Torah fa la schizzinosa con Abramo

Quando nacque il nostro padre Abramo, gli angeli dissero a Dio: Signore del mondo, ora tu hai un amico intimo nel mondo, e vuoi tenergli nascosto qualcosa?
E a loro il Signore subito rispose: Terrei io nascosto qualcosa ad Abramo?

… il Signore (con l’aria di chi è sinceramente sorpreso) agli Angeli (che si prendono una confidenza che forse non si dovrebbero prendere) rimanda a sua volta una domanda, e che domanda! Cosa volete dire? che sarei io, dunque, il suo Inconscio?

Perdutamente, capisci? c’è solo questo spazio in cui perdersi «a vista d’occhio». Solo c’è questo spazioso labirinto, l’io, che può contenere, ma non è detto, il giardino in cui è destino che fiorisca la sua perdita d’incoscienza. Per trovarlo, deve solo farsi quanto più leggero gli riesce di volare sopra se stesso, senza vertigini. Deve solo scoprire un angolo di mondo, in cui posare la sua pietra. Il mondo, lo deve solo rimpicciolire. Deve perderne la grandezza, e col permesso di Dio, perché solo Lui sa come, devastarne la vastità, la Sua incommensurabile isotropa omogenea indifferente vastità.
Non è facile perdere, ma nemmeno vendere.
Non è facile perdonare, ma nemmeno vendicare «i vivi e i morti». Troppo sottile è la frontiera tra i due Verbi di ogni manicheismo dialettico, per contentarsi della Favola del Soffio con cui Gesù vivifica le sue alchimie mentali.

Abramo, l’Intimo, il Prossimo che più prossimo all’oscurità del mistero non si potrebbe – come? pure lui, già lui, è tenuto all’oscuro del suo divino «duende»?
Cavalle tirano la carrozza. Ma a venire da dove, a nessuno – neanche al più sapiente degli alchimisti – è mai dato saperlo. A che scarrozzare dunque, su e giù per questo labirinto, se è troppo angusto, a volte perfino angosciante, il sentiero che ci obbliga a percorrere? Ci sarà anche qui, alla fine, qualcosa di cui ridere? una scusa per gioire, quando poi uno sa che quella è la sua ultima gioia?

Il Signore, dice il talmudista, il segreto del suo essere, perfino al suo Intimo più intimo, glielo tiene nascosto. Bada bene, glielo nasconde a Sua Stessa insaputa.
L’incoscienza non saprà mai quanto inconscio produce, sin dalla culla. Solo gli Angeli perciò accusano: già qui, dinanzi a Dio, c’è qualcosa di oscuro. Mefistofele è, tra loro, quello che ha le parole più irriverenti: pretende che Dio faccia chiarezza.
E invece, la segretezza è più antica del più antico dei segreti in cui anche il più diabolico dei diavoli può arrivare a sigillare il «dio della sua credenza».
Se c’è da credere, è perché la Credenza è più antica di ogni professione di fede. E di ateismo.

Allora il Signore si andò a consultare con la Torah, e le disse: Figlia mia, vieni, voglio sposarti col mio amico Abramo!

All’Intimo il Signore, per rimediare all’Ignoranza a cui, senza saperlo!, lo tiene vincolato, dà in moglie sua figlia, la Torah. Gli dà come sposa la Passione scritta nel suo talento naturale, la Sapienza scolpita nel midollo dei suoi geni. Perché ciascuno ha, di natura, i geni delle sue passioni, e i nervi per patirle più o meno pazientemente.
La passione di Abramo è di stare sempre azzeccato a Dio, sempre sull’orlo della minima distanza che Lui, l’Inconscio, gli concede.
Se Abramo è così nervoso, è solo perché non si rassegna all’idea che s’è fatto vecchio, e il desiderio di avere figli ancora grida vendetta, ancora rivendica di voler essere esaudito. È vecchio ormai, e il termine è ogni giorno, ogni ora, più vicino. Tra poco si perderà nell’abbraccio dell’Amico.

Ho paura di morire – mi disse Strindberg – senza fare in tempo a rivederla.
E quando gli chiesi: è da molto che non la vedi? – lui, accasciandosi sulla panchina, sospirò: ho dimenticato anche questo!

E la Torah disse: No, non lo sposerò finché non giungerà il Mansueto che prenderà la Mansueta.

Ci sono leoni che non si domano, perciò questo matrimonio non s’ha da fare. Belve feroci ci sono tra Abramo e la Sposa che Dio voleva darle.
La Torah sposerà Mosè il balbuziente, sposerà il Peggiore degli Eloquenti, sposerà il bambino che balbettando non professa che la sua voce.

giardini-Lussemburgo

Capisci? – mi disse Strindberg: l’incoscienza divina è pura solo in chi non ne prende coscienza. Ricordo d’essere stato innamorato, ma ho dimenticato di chi. Solo qui ai Giardini, mi disse, riesco a volte a immaginare il giardino in cui io e lei, sposandoci, faremo la volontà di Dio. Ora devo solo attendere. L’aspetto qui, perché solo qui la mia ansia si calma. Ogni giorno entro dalla porta di Saint-Sulpice, e faccio due volte il giro di tutto il Parco, prima di sedermi qui. E se qui godo d’esserci arrivato stanco, è perché solo qui stanco, docile mi arrendo ai pensieri così come mi vengono. Perché solo qui mi vengono sempre mansueti. Pensieri che, appena uscirò di qui, immancabilmente torneranno a essere furiosi. E di nuovo mi toccheranno i nervi che qui no…

Stavo pensando: Abramo non può sposare la Sposa che Dio voleva fargli sposare!
Come? La Figlia disobbedisce a Dio? No, babbo, non mi voglio sposare con un pazzo come questo tuo servo devoto scrittore, che sta sempre a pensare a Te, sempre a parlare con Te, sempre a domandare a Te o di Te con chiunque parli! E a me, Selvaggia, chi è che ci pensa?

No, non sarà il Leone, ma il Giglio a «fecondare» il corpo della Torah.
Nulla dell’incoscienza divina fu mai scritto nella mente di nessun genio, dice il Talmud, prima che nel «Mosè del suo essere» il fervore della sua lingua di natura, la febbre della sua passione immaginativa, sia venuta a scemare fino a sedarsi in un alfabeto già «popolare».

La Torah, la Legge, non può sposare che tutto un popolo insieme.
Se la sapienza sposasse un uomo solo, nessun altro ne saprebbe mai niente. La sapienza nasce «popolare». Nasce per venire a popolare d’incubi le passioni di quanti osano appassionarsi nientemeno al dio della loro Credenza.
targa-StrindbergAbramo, l’Intimo, il Prossimo – è troppo solitario, troppo solo nella sua follia, per poter lasciare scritta una sola virgola della sua Leggenda che agli altri non suoni come un’assurda «rivendicazione» personale.

Ho paura di morire prima d’aver scritto questa idea che mi passa per la mente – disse.
Ma quando gli domandai: di quale idea parli? – lui, con lo sguardo perso nel vuoto, si accasciò sulla panchina e sospirò: ho dimenticato anche questo!

Quel pomeriggio lo lasciai lì che ancora dormiva.
Non è facile vendicarsi. E ancora meno facile è accontentarsi di dormirci sopra.
Lui, il più servile dei Servi dell’Alchimia, al secolo (Augusto) Strindberg – lui quel pomeriggio ebbe la sua chance.
Lo sa solo Dio se la colse a volo, o se la Torah pure con lui ha continuato a fare la schizzinosa: No, babbo, non è questo vecchio scimunito che voglio! Voglio sposarmi tutto il popolo! Voglio sposarmi tutto il popolo, o nessuno!

(Aiguesmortes, Udite! Udite!)