Dal Gran Superno lei volse l’orecchio al Grande Infero.
La dea volse l’orecchio al Grande Infero.
La mia Signora lasciò cielo e terra per scendere nell’abisso.
Lasciò il suo tempio per discendere nel Paese dei morti.
Raccolse tutti i suoi me, li prese in mano,
si cinse il capo con la corona della steppa,
si aggiustò i riccioli scuri dei capelli,
indossò la collana di lapislazzuli e la tunica regale.
Si truccò gli occhi, infilò al dito l’anello d’oro e partì.
La Regina partì per il Paese dei morti.
A Ninšubur, la sua fedele serva, così parlò:
«O mia sukkal, mi accingo a scendere nell’abisso.
Non dovessi tornare, intona tu un’elegia per me.
Batti il tamburo, convoca gli dèi e al loro cospetto
strappati gli occhi, graffiati il viso e canta:
“Non lasciate che la vostra figliola rimanga laggiù,
per sempre, nel Paese dei morti. Non permettete
che il suo argento si ricopra della polvere degli Inferi,
che il suo lapislazzuli sia spezzato dal tagliapietre,
che il suo bosso odoroso finisca in mano al taglialegna”.
Se nessuno di loro ti ascolta, recati a Eridu,
va’ al sacro tempio di Enki e piangi il tuo dolore:
Enki, il Signore di Sapienza, conosce il segreto della vita,
sa dove ci si bagna nell’acqua della vita. Ogni cosa
egli conosce e di sicuro non lascerà che io muoia».
Inanna proseguì per la sua strada e, quando giunse
alla porta del Paese dei morti, bussò e gridò:
«Apri la porta, custode! Lasciami entrare!».
Il custode le chiese: «Chi sei?».
«Sono Inanna – rispose – la Regina del cielo,
diretta a Oriente». «Se davvero sei la Regina del cielo
e se davvero sei diretta a Oriente, perché il tuo cuore
ti ha messa sulla via da cui nessuno ritorna?».
Rispose Inanna: «Il Toro del cielo è morto.
Sono venuta a celebrare i riti funebri per lui».
Il custode le disse: «Aspetta qui! Vado a parlare
alla mia regina, le porterò il tuo messaggio».
Andò dalla regina degli Inferi Ereškigal e le disse:
«Mia regina, una fanciulla attende fuori la porta.
Ha con sé i sacri me e vuole entrare nel tuo Paese».
Ereškigal udì queste parole, si morse le labbra
e a lungo meditò la faccenda. Poi disse al custode:
«Lascia entrare Inanna! E quando passerà la soglia,
toglile la veste regale, falla entrare a capo chino!».
Il custode tornò da Inanna e la fece entrare:
alla prima porta le tolse la corona dal capo,
alla seconda le strappò la collana di lapislazzuli,
alla terza le prese i monili di pietre preziose,
alla quarta le sfilò l’anello d’oro dal dito,
alla quinta le ripulì il trucco dagli occhi,
alla sesta le sottrasse i sacri me,
e infine alla settima la spogliò della tunica regale.
Ogni volta Inanna domandò: «Perché?».
E ogni volta il custode rispose: «Sta’ zitta,
non osare contestare le leggi del Paese dei morti».
A testa china, Inanna entrò nella sala del trono.
Ereškigal si alzò in piedi dal trono e contro di lei
pronunciò le parole dell’ira: la mutò in cadavere,
l’avvolse in un pezzo di carne putrefatta,
la percosse e l’appese a un gancio sul muro.
Passati tre giorni, Ninšubur non vedendola tornare
intonò un’elegia per lei, batté il tamburo,
si cavò gli occhi e si graffiò il viso piangendo
per muovere a pietà gli dèi: «Non lasciate
che la vostra figliola rimanga laggiù, per sempre,
nel Paese dei morti. Non fate che il suo argento
si ricopra della polvere degli Inferi, che il suo lapislazzuli
sia spezzato dal tagliapietre e che il suo bosso odoroso
finisca nelle rozze mani del taglialegna».
Adirato, Enlil rispose: «Colei che osò portare i me
nel Paese dei morti, Colei che si avventurò
nella Città del buio deve rimanerci!».
Il padre Enlil non volle darle aiuto. Nessun dio
lo volle. Allora Ninšubur si recò a Eridu, andò
al sacro tempio di Enki e piangendo esclamò:
«O padre Enki, Signore di Sapienza, ascolta tu
la mia preghiera: tua figlia è discesa al Paese dei morti
e più non è tornata. Tu conosci il segreto della vita,
tu sai dove ci si bagna nell’acqua della vita. Ogni cosa
conosci: non lasciare che Inanna muoia per sempre».
Da sotto l’unghia Enki trasse fuori lo sporco
e con esso modellò due creature, né maschio né femmina,
e disse loro: «Orsù, andate nel Paese dei morti!
In sembianze di mosche, su, andate laggiù!
Andate a posarvi sul seno scoperto di Ereškigal,
la regina dei morti, e quando lei grida: “Che ho dentro?”,
gridate anche voi: “Che ho dentro?”, e quando grida:
“Che ho fuori?”, anche voi gridate: “Che ho fuori?”.
La regina se ne compiacerà e vi offrirà un dono.
Chiedetele soltanto quel cadavere che penzola
da un gancio sul muro. Uno di voi lo aspergerà
con l’acqua della vita, e così Inanna risusciterà».
Le due creature obbedirono a Enki: come mosche,
partirono per il Paese dei morti, ne varcarono le porte,
entrarono nella sala del trono e si andarono a posare
sul seno scoperto di Ereškigal. «Che ho dentro?»,
disse la regina. E quelli le fecero eco: «Che ho dentro?».
E quando disse: «Che ho fuori?», replicarono: «Che ho fuori?».
Domandò la regina: «Chi siete che gemete e sospirate con me?
Se siete dèi, vi benedico. Se siete mortali, voglio farvi un dono.
Parlate, dunque! Ditemi: cos’è che vorreste?».
«Vogliamo quel cadavere appeso al gancio sul muro».
E quando la regina glielo diede, quelli l’aspersero
con l’acqua della vita, e così Inanna risuscitò.
Inanna si preparò a uscire dal Paese dei morti,
ma sulla soglia gli Anunnaki la fermarono:
«Nessuno può lasciare il Paese dei morti. Se Inanna
vuol risalire dall’abisso, deve darci qualcuno in sua vece».
I demoni accerchiarono Inanna, le impedirono il passo.
Intanto Ninšubur attendeva la regina sulla porta
e, quando scorse Inanna accerchiata dai demoni,
si gettò nella polvere ai suoi piedi. Dissero i demoni:
«Puoi andare, Inanna. Prendiamo Ninšubur al posto tuo».
Inanna protestò: «No! Ninšubur è il mio sostegno,
la mia serva fedele che ha intonato per me un’elegia
ed è andata fino a Eridu a chiedere aiuto per me.
Le devo la mia vita: mai e poi mai vi darò Ninšubur».
I demoni la condussero allora in città, la scortarono
al grande melo di Uruk, ove Dumuzi, lo sposo di Inanna,
sfoggiava le sue vesti, assiso sul trono superbo.
I demoni l’afferrarono alle gambe, rovesciarono il latte
dalle sue zangole, spezzarono il flauto che stava suonando.
Inanna fissò lo sguardo su Dumuzi e pronunciò contro di lui
la parola dell’ira: «Prendete lui! Portate via Dumuzi!».
I demoni si presero Dumuzi, lo percossero e lo sfregiarono.
Dumuzi emise un gemito, tese le mani al cielo e implorò Utu:
«Cognato mio, dio giusto e pietoso, fa’ che io sfugga ai demoni,
fa’ che non mi prendano!». Utu, pietoso, accolse la preghiera:
tramutò le mani e i piedi di Dumuzi in serpe.
Dumuzi sfuggì ai demoni. Essi non lo presero.