Kafka – Il giaciglio allettante

Era una piccola stanza, occupata per più di metà da un gran letto, sul tavolino da notte la lampada elettrica era accesa, e lì accanto stava una valigetta. Nel letto, ma tutto nascosto sotto le coperte, qualcuno si muoveva irrequieto e da uno spiraglio fra la coperta e il lenzuolo bisbigliò: «Chi è?».
Ormai K. non poteva più svignarsela, guardò malcontento il giaciglio allettante ma purtroppo non vuoto, poi ricordò la domanda e disse il proprio nome.
Questo parve produrre un buon effetto, l’uomo coricato si tirò giù un poco la coperta dal viso, timorosamente pronto però a ricoprirsi di nuovo se fuori ci fosse stato qualcosa che non andava.
Ma poi risolutamente spinse via la coperta e si mise a sedere […]

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Picasso – Ritratto di Ambroise Vollard

«Io sono il suo segretario – disse il signore – mi chiamo Bürgel».
«Scusi – disse K. allungando la mano verso la maniglia – mi dispiace, ho sbagliato porta. Io sono stato chiamato dal segretario Erlanger».
«Che peccato! – fece Bürgel. – Non che lei sia chiamato da altri, ma che abbia sbagliato porta. Vede, una volta svegliato, io non mi addormento più di certo. Be’, non si crucci così, è una mia disgrazia. Ma perché qui le porte non si possono chiudere? dirà lei. La ragione c’è, naturalmente. Secondo un’antica massima, le porte dei segretari debbono sempre rimanere aperte. Ma anche questo veramente non andrebbe preso tanto alla lettera».

Bürgel guardò K. con aria allegra e interrogativa, contrariamente alle sue parole sembrava assai ben riposato; stanco, come si sentiva K. in quel momento, Bürgel non doveva esserlo mai stato in vita sua.
«E ora dove vuole andare? – chiese Bürgel – sono le quattro. Da qualunque persona lei vada la dovrebbe svegliare, non tutti sono avvezzi come me ad essere disturbati, non tutti lo sopporterebbero con tanta pazienza; i segretari sono gente nervosa. Dunque, si fermi qui un poco. Verso le cinque, cominceranno ad alzarsi, e sarà il momento migliore per obbedire alla chiamata. Via, per favore lasci stare quella maniglia e si metta a sedere in qualche posto, veramente siamo un po’ allo stretto, il meglio sarà che lei sieda qui sulla sponda del letto. Si meraviglia che io non possegga né una sedia né un tavolo? Ecco, potevo scegliere tra un arredamento completo con un lettuccio stretto da albergo, e questo letto grande con un lavabo e nient’altro. Ho scelto il letto largo, in una camera da letto è il letto quello che conta! Ah, per uno che possa distendersi e dormire come un sasso, un letto così deve essere una vera delizia! Ma fa comodo anche a me che son sempre stanco senza poter dormire; ci passo gran parte della giornata, qui sbrigo tutta la mia corrispondenza, tengo udienze e interrogatori. Va proprio bene. È vero che le parti contendenti non hanno posto per sedersi ma ci si rassegnano, in fondo anche per loro è meglio stare in piedi davanti a chi stende il verbale comodamente seduto, che sedere ed essere strapazzati. Non ho altro sedile da offrire che la sponda del letto, ma non è un posto ufficiale e lo riservo alle conversazioni notturne. Ma lei è così silenzioso, signor agrimensore?».

«Sono molto stanco», disse K. che all’invito s’era seduto villanamente, senza ritegno, appoggiandosi al montante del letto.
«Si capisce – disse Bürgel ridendo – tutti sono stanchi qui. Non è mica poco, ad esempio, il lavoro che ho dovuto sbrigare ieri e anche oggi. Ormai è assolutamente escluso che io mi riaddormenti, ma se questa cosa improbabilissima dovesse accadere e io prendessi sonno mentre lei è ancora qui, la prego di starsene quieto e di non aprire la porta. Ma non abbia paura, non mi addormenterò certo e per caso per due minuti al massimo. Il fatto sta che, forse perché sono così abituato a dare udienza, riesco se mai facilmente ad assopirmi quando sono in compagnia».

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De Chirico – Le muse inquietanti

«Ma dorma pure, la prego, signor segretario – disse K. rallegrato da quella comunicazione – allora, se permette, dormirò un poco anch’io».
«Oh no, no, no – replicò Bürgel con un sorriso – non posso dormire così per un semplice invito, solo discorrendo può nascere l’occasione, un colloquio è ciò che più giova a farmi assopire […] E l’agrimensura com’è?».
«Non mi occupo di agrimensura, non mi fanno fare lavori di quel genere», rispose K. Ma aveva la testa ad altro, in fondo era soltanto impaziente che Bürgel si addormentasse, anche questo però solo per un certo senso di dovere verso se stesso; nel suo intimo credeva invece di sapere che l’istante in cui Bürgel si sarebbe assopito era ancora imprevedibilmente lontano.

«Che strano! – disse Bürgel con un moto vivace del capo, e tirò fuori di sotto alle coperte un taccuino per annotarvi qualcosa. – Lei è agrimensore e non fa lavori di agrimensura?».
K. fece un cenno automatico di assenso, aveva steso il braccio sinistro sul montante del letto e vi aveva appoggiato su il capo, già in diverse maniere aveva cercato di accomodarsi bene, ma questa posizione era la più comoda di tutte, e adesso poteva anche prestare un po’ di attenzione ai discorsi di Bürgel […]

Da quando era entrato nella stanza K. raccomandava di tanto in tanto a se stesso di non sottovalutare Bürgel, ma nella sua condizione era difficile giudicare rettamente qualunque cosa che non fosse la propria stanchezza.
«No – disse Bürgel come se rispondesse al pensiero di K. e volesse delicatamente risparmiargli la fatica di formularlo. – Non deve lasciarsi sgomentare dalle delusioni. Qui certe cose sembrano predisposte allo scopo di intimorire, e ad un nuovo venuto gli ostacoli appaiono addirittura insormontabili. Non voglio indagare le ragioni, forse l’apparenza corrisponde davvero alla realtà; nella mia posizione mi manca la distanza necessaria per giudicare, ma stia bene attento: a volte si danno occasioni che non concordano quasi con la situazione generale, occasioni nelle quali una parola, uno sguardo, un cenno confidenziale possono ottenere di più che non certi sforzi estenuanti prolungati per tutta la vita. È così, senza dubbio; s’intende che tali occasioni concordano pur tuttavia con la situazione generale per il fatto che non vengono mai sfruttate. Ma perché non vengono sfruttate, questo è appunto quel che io sempre mi domando».

K. non lo sapeva; si rendeva ben conto che il discorso di Bürgel lo riguardava probabilmente assai da vicino ma ora provava una grande avversione contro tutte le cose che lo riguardavano, inclinò un po’ la testa da un lato, come per dare via libera alle domande di Bürgel e non esserne più toccato.
Bürgel si stirò le braccia, sbadigliò – cosa che contrastava stranamente con la gravità delle sue parole – e riprese [… il suo bla blablà]

K. non capiva nemmeno se Bürgel aspettasse davvero o solo apparentemente la risposta. «Se mi lasci coricare nel tuo letto – pensava – domani a mezzogiorno, o ancor meglio domani sera risponderò a tutte le tue domande».
Ma Bürgel non gli badava, troppo lo preoccupava il quesito che aveva posto a se stesso [… e bla blablà]

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Buddha dormiente di Polonnaruwa

K. dormiva, non era però un vero sonno, forse udiva le parole di Bürgel meglio che durante la faticosa veglia, le parole gli percuotevano l’orecchio a una a una, ma la fastidiosa coscienza lo lasciava in pace; si sentiva libero, non era più Bürgel che teneva lui, bensì lui che qualche volta cercava a tastoni Bürgel; non era ancora calato nella profondità del sonno, ma vi si andava immergendo.
Questo non se lo sarebbe lasciato portare via da nessuno.

Aveva l’impressione di aver riportato una grande vittoria, ed ecco una numerosa società s’era adunata per festeggiarla, lui stesso oppure qualcun altro levava alta la coppa di spumante in onore di quel trionfo. E affinché tutti sapessero di che si trattava, la lotta e la vittoria venivano rinnovate; o forse non rinnovate, si svolgevano soltanto ora ed erano già state celebrate prima e non si cessava di celebrarle perché fortunatamente l’esito era già certo.
Un segretario nudo, molto simile alla statua di un dio greco, era incalzato nella lotta da K. Era assai comico – e K. ne sorrise dolcemente nel sonno – vedere come il segretario per gli assalti di K. fosse continuamente obbligato ad abbandonare il suo atteggiamento fiero e a servirsi in fretta del braccio teso o del pugno serrato per proteggersi le parti scoperte, e tuttavia arrivava sempre troppo tardi.

La lotta non durò molto; passo dopo passo, ed erano passi assai lunghi, K avanzava.
Era veramente una lotta?
Ostacoli seri non ve ne erano, solo di quando in quando uno squittio del segretario. Il dio greco squittiva come una ragazza a cui fanno il solletico. E alla fine scomparve, K. era solo in una grande stanza, si voltò bellicoso cercando il nemico; ma non c’era più nessuno, anche la compagnia s’era sciolta, solo la coppa di spumante giaceva a terra infranta.
K. finì di calpestarla. Ma i cocci di vetro pungevano, ed egli si destò di soprassalto, si sentiva male come un bambino bruscamente svegliato. Tuttavia, alla vista del petto nudo di Bürgel, lo sfiorò il pensiero, reminiscenza del sogno: «Eccolo lì il tuo dio greco! Strappalo via dalle piume» […]

(Kafka, Il Castello, cap. 18 – estratti)