Epopea di Gilgameš (13) – La prova del sonno

«E ora, quanto a te, Gilgameš, chi potrà riunire
in assemblea gli dèi, sì che tu possa trovare
la vita che cerchi? Se vuoi però, tenta la prova:
per sei giorni e sette notti cerca di non dormire!».
Ma, appena si sedette al suolo con la testa tra le ginocchia,
il sonno scese su di lui come un velo di nebbia.

Utnapištim disse allora alla moglie: «Guardalo!
Il grande uomo che cerca la vita: il sonno è sceso
su di lui come un velo di nebbia». A lui rispose la donna:
«Toccalo, fallo svegliare! Possa egli tornare in pace
per la via da cui è venuto. Possa tornare al suo paese
per la porta che ha attraversato». E a lei Utnapištim:
«Gli uomini sono tutti bugiardi, ingannerà anche te.
Orsù cuoci ogni giorno un pane per lui e ponilo
vicino alla sua testa, e segna sul muro i giorni
che di seguito avrà dormito».

Gilgamesh-dorme

E quella cosse ogni giorno un pane e vicino lo pose
alla sua testa, e sul murò segnò i giorni che dormiva.
Il pane del primo giorno era ormai duro,
quello del secondo raggrinzito, quello del terzo molliccio,
quello del quarto aveva la crosta bianca, il quinto
aveva la muffa, quello del sesto era appena cotto,
quello del settimo era stato appena sfornato, allorché
Utnapištim lo toccò e lo risvegliò. Gilgameš disse:

«Mi ero appena appisolato, che tu subito mi hai toccato
e mi hai svegliato». Ma Utnapištim così gli parlò:
«Guarda, Gilgameš! Conta i pani e saprai quanti giorni
hai dormito: quello del settimo era stato appena sfornato,
allorché ti ho toccato». Allora Gilgameš gli disse:
«Ahimé, come ho potuto fare questo, Utnapištim?
Dove andrò adesso? Il ladro della notte ha ghermito
le mie membra, la morte alberga nella mia camera;
ovunque si posi il mio piede, là è la morte».

Allora Utnapištim così parlò al battelliere:
«Guai a te, Uršanabi! D’ora in poi ti rigetti questo molo,
ti rifiuti l’approdo. Più non venire a questa sponda.
L’uomo che hai portato fin qui ha il corpo pieno di sporcizia,
la bellezza del suo corpo è sfigurata dalle pelli che indossa.
Prendilo, Uršanabi, e portalo al lavatoio! Possa egli lavare
nell’acqua la sua sporcizia e diventare bianco come la neve.
Fagli buttare via le pelli, che il mare se le porti via con sé.
Fa’ che il suo corpo sia strofinato e che ritorni bello.
Poni sul suo capo una nuova corona e fagli indossare
una nuova veste che lo nobiliti: finché non faccia ritorno
alla sua città, fino a quando il viaggio non sia compiuto,
che la sua veste non si scolori e resti sempre nuova!».

Uršanabi prese Gilgameš e lo condusse al lavatoio:
nell’acqua lavò la sua sporcizia, divenne bianco come la neve;
gettò via le pelli e il mare se le portò via con sé;
il suo corpo strofinò fino a farlo ritornare bello;
sul capo gli pose una nuova corona e gli fece indossare
una nuova veste che lo nobilitò. Finché non fosse tornato
alla sua città, fino a quando il viaggio non fosse terminato,
la veste non si sarebbe scolorata, sarebbe stata sempre nuova.