at tâ mainyû paouruyê yâ yoma xvafnâ asrvâtem
i due Spiriti Primordiali che in Sonno (profondo) furono uditi come Gemelli
si può accendere un fuoco che non bruci?
È sciocco! – dice il vento di scirocco.
È sciocco sentire adesso la tua mancanza? – gli fa eco il maestrale.
Negli occhi luccicanti dell’araldo etrusco
tutti i colori insieme dell’arcobaleno tacquero
sulla pubblica piazza una volta sorgeva una fontana
… un trictrac sparato al buio!
sulle note strazianti d’un violino una voce fuori campo disse:
quasi rotavate di sette ipsilon … Dulcinea ne sa qualcosa … scalato che ebbe un fiore più in là … e le ghirlande cosmiche, come piramidi di vocali erette, le nobili e le volgari … e i diari di bordo d’un vecchio monaco ansioso di fare ritorno in Tibet … assieme agli odori del mirto verde, agli anagrammi e alle sciarade …
Profetica fu quella voce – anche se non sapeva, essa per prima, cosa diceva.
Diceva quello che si può dire ai morti, e io – a quei tempi – ero morto (non mi ricordo più di quale malattia).
Al vento parlava la voce, o forse era il Vento che mi parlava come aveva sempre fatto – ma io, finché ero vivo, non l’udivo.
Solo oggi che sono morto di molte altre morti dopo quella morte – solo oggi capisco che era il vento che mi stava a sentire, e non viceversa.
E invece, tardo come al solito di comprendonio, mi dolevo al pensiero che, se non avesse parlato con voce così sommessa, avrei potuto poi per filo e per segno riferirne agli altri morti, ai morti delle tombe accanto.
Credo che si stesse sciogliendo un vecchio rebus: a uno di noi due, non ricordo chi, ho visto tutt’a un tratto brillare una luce negli occhi …
Qualcuno è tornato a guardare la mia pallida foto sulla lapide e mi ha detto (questo sì che l’ho inteso chiaramente): mi ha detto non ci provare, mi ha detto, perché non ci riuscirai: nessuno è mai riuscito a tradire il segreto della sua tomba, tranne forse il solo povero Lancillotto …
mi ha detto che presto uscirò anch’io dal regno dei morti, che si scoperchierà la tomba di questa vita, che si alzerà il velo di questo sudario … e mi mostrava i Campi Flegrei dell’altro mondo, sentivo i rutti del Vesuvio, udivo il battito del cuore di Partenope, e a tratti mi giungeva chiara e distinta la voce della Sibilla …
tornerai non morirai, tornerai mia colomba al nido, anima mia non essere triste: questo è l’Averno, il paese interdetto agli uccelli …
passare di qui, lui vivo mi ha detto, a me morto Raffaele in persona mi ha detto: passare di qui sarà come aprire gli occhi su un sogno da cui non ti sveglierai più … se l’abbiamo fatto una volta, non lo faremo più …
non giocheremo più a palla con le stelle, non tireremo più di cerbottana alle quaglie, né più saremo così ingenui da innamorarci delle talpe …
passerai come passano tutti, e una volta riemerso anche tu dal pozzo verrai con noi a giocare a «liberi tutti!»…
d’altronde, anche il violino tacque – che ci posso fare?
aspetterò che i pezzi sparsi mi diventino una canzone
e se dio vuole la canterò assieme a Raffaele
là dove, beati loro, tutti quelli del coro sono vivi e felici:
e forse per un momento un brivido vivente farà schioccare l’arpa muta dei miei femori zigani, forse la farà sentire viva, per un momento viva, qua tra le tombe di noi trapassati – di noi soffocati da mille paure che non ci lasciano respirare altro che le nebbie dei Campi Flegrei, altro che l’acre odore di Pozzuoli, e l’acida voce di zolfo con cui la Sibilla ci ripete il ritornello …
tornerai non morirai, amico mio: né tu né una sola stella tramonterà mai dal cuore del nostro dio …
non ci fu domanda tra me e Raffaele, nessuno dall’altro volle sapere se dio c’è davvero: che lui fosse vivo e io morto era la sola cosa buona per tutt’e due …
(Aiguesmortes, Frammenti tardo-iranici)