In quel tempo vi era un albero soltanto,
solo l’albero di huluppu, tutto solo,
fu piantato sulla riva del puro Eufrate,
e si nutriva delle acque del fiume Eufrate.
Ma il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe
i suoi rami e l’acqua dell’Eufrate lo trascinò via.
Una donna, timorosa della parola di Anu, vi passò accanto,
rispettosa della parola di Enlil, vi passò accanto,
prese l’albero nella sua mano e lo portò a Uruk,
nel sacro giardino di Inanna lei lo portò.
La donna non lo piantò con la mano, lo piantò col piede,
la donna non l’innaffiò con la mano, l’innaffiò solo col piede:
«Quanto tempo ci vorrà perché esso diventi
un trono di luce su cui mi ci possa sedere?», disse.
«Quanto tempo ci vorrà finché non diventi
un letto d’amore su cui mi possa sdraiare?», disse.
Dopo che cinque anni, dopo che dieci erano passati,
l’albero crebbe imponente, ma il suo tronco non si scortecciò.
Un serpente restio agli incantesimi fece il suo nido
nelle radici dell’albero di huluppu,
tra i suoi rami l’uccello Zû depose i suoi piccoli,
nel suo tronco la vergine buia costruì la sua casa.
Allora la fanciulla che era solita ridere, la pura Inanna,
cominciò a piangere. Come pianse Inanna!
All’alba, quando l’orizzonte cominciò a schiarirsi
e gli uccelli cantando annunciarono l’aurora,
quando Utu, il Sole, lasciò la sua camera da letto,
sua sorella, la pura Inanna, all’eroico guerriero così parlò:
«Fratello mio, in quei giorni lontani …
in quel tempo vi era un albero soltanto,
solo l’albero di huluppu sorgeva sulla riva dell’Eufrate,
ma il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe
i suoi rami e l’acqua dell’Eufrate lo trascinò via.
Una donna prese l’albero e lo portò a Uruk,
nel sacro giardino di Inanna lei lo portò.
Io, quella donna, trassi l’albero dal fiume
e attesi che dall’albero qualcuno mi fabbricasse
il trono su cui sedere, il letto su cui giacere.
Ma il serpente s’insinuò nelle sue radici,
l’uccello Zû nidificò tra i suoi rami
e la vergine buia fece del tronco la sua casa.
Io che amavo ridere, ahimé, allora come piansi!».
Ma suo fratello, l’eroico guerriero Utu,
non le diede ascolto, non ascoltò il suo lamento.
All’alba, quando l’orizzonte cominciò a schiarirsi
e gli uccelli cantando annunciarono l’aurora,
quando Utu, il Sole, lasciò la sua camera da letto,
sua sorella, la pura Inanna, così parlò al guerriero Gilgameš:
«Fratello mio, in quei giorni lontani …
in quel tempo sulla riva dell’Eufrate
c’era solo l’albero di huluppu, tutto solo,
ma il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe
i suoi rami e l’acqua dell’Eufrate lo trascinò via.
Una donna prese l’albero e lo portò a Uruk,
nel sacro giardino di Inanna lei lo portò.
Io, quella donna, trassi l’albero dal fiume
e attesi che dall’albero qualcuno mi fabbricasse
il trono su cui sedere, il letto su cui giacere.
Ma il serpente s’insinuò nelle sue radici,
l’uccello Zû nidificò tra i suoi rami
e la vergine buia fece del tronco la sua casa.
Io che amavo ridere, ahimé, allora come piansi!».
Gilgameš, suo fratello, il guerriero, diede ascolto
al lamento di sua sorella, a Inanna prestò aiuto.
Si cinse di una corazza di cinquanta mine,
cinquanta mine che per lui erano cinquanta piume,
e impugnò la sua ascia del pellegrino
che pesava sette talenti e sette mine.
Alle radici colpì il serpente restio agli incantesimi,
dai rami dell’albero l’uccello Zû raccolse i suoi piccoli
e volò via verso le montagne, e dal suo tronco
la vergine buia che vi aveva costruito la casa
cercò rifugio altrove, nel deserto inospitale.
Dell’albero egli tagliò le radici e spezzò i rami,
e i suoi compagni d’avventura raccolsero i rami
e ne fecero fascine. Dal tronco poi egli trasse
un trono di luce e lo donò alla sorella, alla pura Inanna,
e fabbricò un letto d’amore e lo donò a sua sorella.
Con la radice foggiò il suo pukku,
con la cima foggiò il suo mikkû.
Adornò il pukku e lo portò nella pubblica piazza.