La diffusione del motivo degli «Scogli Cozzanti» è un segno della sua antichità preistorica, e autorizza a far risalire la complessa struttura dell’Urmythos della Cerca a un’epoca perlomeno precedente il popolamento dell’America.
I segni e i simboli della Cerca della Vita che tanto spesso sopravvivono nella tradizione orale, anche molto tempo dopo essere stati razionalizzati o ammantati di romanticismo da artisti letterati, costituiscono la traccia migliore che abbiamo su quale dovesse essere la forma primordiale dell’unico linguaggio spirituale di cui, come dice Alfred Jeremias, «possiamo riconoscere i dialetti nelle diverse culture esistenti» […]
Praticamente tutti riconoscono che questi Scogli Erranti, «per passare in mezzo ai quali, occorre scoprire da se stessi il modo di farlo» (Jülg), sono «forme mitiche di quel passaggio prodigioso oltre il quale sta Oceano, l’Isola dei Beati, il regno dei morti», e che essi separano «il Qui conosciuto dall’Aldilà ignoto» (Jessen): che essi «presuppongono l’antica credenza popolare in una via d’accesso all’Altro mondo formato da due pareti rocciose che cozzano l’una contro l’altra».
Le Planctai Petrai sono, in altre parole, i battenti della Porta d’Oro della Janua Coeli, di cui, secondo la tradizione cristiana, san Pietro, incaricato dal Figlio dell’Uomo, è ora il Guardiano […]
In certi contesti, le isole naviganti o danzanti sono sostituire da «canne danzanti» e, sebbene nelle fonti classiche non vi sia l’idea di un passaggio pericoloso fra una coppia di canne danzanti, questa appare altrove, e non c’è dubbio che essa appartenga alla forma originale della leggenda […]
In un testo indù si ricorda che l’aquilina Gâyatrî, la potenza vocale e metrica di Agni, deve portare giù dal cielo Soma, pianta pane o acqua della vita, il quale, ci viene detto, era stato «posto (perché fosse al sicuro) fra (cioè al di là di) due foglie d’oro taglienti come rasoi, e che a ogni batter d’occhio di scatto si chiudono».
Gâyatrî strappa via le foglie e si impadronisce della potenza vivificante che Indrâgnî «diffusero per generare progenie».
In altri termini, il Falco, fortunato ladro di Soma, passa indenne fra questi «due Gandharva guardiani del Soma» e ritorna col prigioniero fatto evadere, quel Re Soma che «era Vrtra» e che ora «è fatto essere ciò che realmente è, il Sacrificio, e che ora è un dio ristabilito tra gli dèi».
Dal punto di vista dei Titani questa traslazione del «Soma-Haôma fatto prigioniero e strettamente sorvegliato» è un furto, ma da quello degli dèi è una liberazione e la rottura di un incantesimo.
Ci si sarà immediatamente accorti che la Cerca del Falco – e adoperiamo intenzionalmente questa parola per indicare che è di una Cerca del Graal che in realtà si tratta – è uguale a quella delle colombe che vanno a prendere l’ambrosia per il Padre Zeus al di là delle Planctai Petrai, sempre a prezzo di una di loro, che resta intrappolata al passaggio fra gli Scogli Cozzanti (Odissea, 12: 58 ss.), e che essa corrisponde anche alla Cerca del Vello d’Oro, dove, benché sia una nave alata quella che Atena (Dea della Sapienza) fa passare tra gli Scogli Cozzanti ch’essa tiene separati, è pur sempre come un uccello che Argo vola attraverso l’aria, riuscendo a salvarsi, anche così, solo a prezzo della perdita del suo ornamento di poppa (o, potremmo quasi dire, delle sue penne caudali), dopo di che gli scogli rimangono strettamene aderenti l’uno all’altro, sbarrando la via ad altri viaggiatori mortali.
Di norma la porta è quindi chiusa, perché si tratta di una porta che soltanto una sapienza superiore a quella normale dell’uomo può aprire, facendola apparire in una parete che altrimenti sembrerebbe liscia e impenetrabile.

Un esempio di questo motivo dell’«apriti sesamo!» (noto soprattutto in relazione alla caverna di Aladino) lo possiamo trovare nell’Africa meridionale: «In uno dei racconti (ottentotti) l’eroina in fuga lascia cadere dietro di sé del cibo, rallentando la corsa del Leone inseguitore, che avidamente lo divora. Quando l’inseguitore tenta di venirle dietro, la roccia si richiude e lo uccide. Il motivo della roccia che si apre e si chiude ricorre in varie combinazioni nella mitologia sudafricana» (Schultze).
In tale sequenza è facile riconoscere nell’eroina Psiche, e nell’inseguitore la Morte.
Per tornare ora alle Canne Taglienti, possiamo menzionare un mito pellerossa in cui, nella serie degli ostacoli viventi che sbarrano la via all’eroe Nayanezgani, non compaiono soltanto gli «Scogli Cozzanti», il cui movimento egli riesce a fermare, ma anche delle «Canne Taglienti», che «cercarono di colpirlo, ondeggiando e cozzando l’una contro l’altra».
Riguardo a queste Canne Taglienti si dice pure che «quando qualcuno passava fra loro, le canne si muovevano, tagliavano la persona a pezzettini e se la mangiavano» (Wheelwright, Il mito navajo della creazione).
(Coomaraswamy, Il grande brivido)