Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso
(Dante, Inferno, 26: 139-142)
Dante si è attenuto alla tradizione del gorgo come fine significativa per i grandi personaggi, anche se qui esso giunge per decreto della Provvidenza. Ulisse, che nel suo «folle volo» si è spinto oltre i limiti del mondo, attraverso l’oceano, vede profilarsi lontano

… una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
È la Montagna del Purgatorio, interdetta ai mortali.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto:
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso.
Ulisse «dai molti pensieri» si è avviato verso l’immortalità, sia pure all’Inferno.
Il gorgo inghiottitore appartiene al repertorio delle favole antiche. Nell’Odissea appare come Cariddi, nello stretto di Messina, in altre culture come un gorgo dell’Oceano Indiano e del Pacifico, dove, curiosamente, lo ritroviamo associato al fico dai rami sporgenti al quale l’eroe – si tratti di Satyavrata in India oppure di Kae a Tonga – riesce ad aggrapparsi mentre la nave cola a picco.
Come la Montagna Magnetica di Sindbad, esso perdura nei secoli nei racconti dei marinai; ma la persistenza di certi particolari esclude la libera invenzione. Storie come questa appartengono alla letteratura cosmologica fin dall’antichità.
Gli scrittori medioevali, e dopo di loro Athanasius Kircher, collocarono il gurges mirabilis in un punto imprecisato al largo della costa della Norvegia o della Gran Bretagna: era il Maelstrom, a cui si sommava probabilmente un ricordo di Pentland Firth: «c’è un grande gorgo tra l’Irlanda e la Scozia, a nord. È l’incontro di molti mari, da est e da ovest, da nord e da sud […] e assomiglia a un calderone scoperto che butta il fiotto giù e su, e il suo rombo s’ode come tuono lontano».
Veniva posto di solito in direzione nord-nord-ovest, proprio come, secondo i greci, l’isola di Saturno, Ogigia, era vagamente situata «oltre» le Isole Britanniche.
A una ricerca più approfondita, questa giustapposizione sembra prodotta dalla solita confusione tra uranografia e geografia.
In cielo a nord-ovest (9 yuan per i cinesi) vi è spesso una «breccia», e giacché la carta schematica terrestre venne tratta da quella celeste, la breccia fu localizzata quaggiù come Maelstrom o Ogigia.
Le due idee, come pure le loro ubicazioni, sono tutt’altro che ovvie, e ancor più notevole è la loro frequente congiunzione.
Per gli scandinavi antichi, il gorgo ebbe origine dallo scardinamento del mulino Grotti: il Maelstrom deriva dal foro della macina colata a picco. Questo è quanto ci dice Snorri.
I versi di Snæbjörn, più antichi, in cui si descrive il Mulino di Amleto, affermano che le Nove Fanciulle del Mulino dell’Isola, che in passato macinarono la farina di Amlóði, azionano ora una «macina di scogli crudele alle schiere».
Che questa macina di scogli significhi il gorgo, e non semplicemente l’oceano del nord, viene corroborato da altri versi attribuiti a Snæbjörn da Gollancz: non sono certo di una chiarezza cristallina, ma vi ritroviamo il collegamento tra mulino e gorgo: «Il mulino dell’isola riversa il sangue delle sorelle della dea del flutto [cioè: le onde del mare], così che [esso] prorompe dal vincolo della terra: forte incomincia il gorgo».
Qui non si accenna all’ubicazione, mentre i finlandesi indicano direzioni che sono meno vaghe di quanto non sembrino: dire, come essi fanno, che il Sampo ha tre radici, una nel cielo, una in terra, la terza nel vortice dell’acqua, ha un significato preciso.
D’altra parte però, quando Väinämöinen con la sua barca di rame si spinge nel «gozzo del Maelstrom», vien detto che egli naviga fin «negli abissi del mare», fino alle «viscere più profonde della terra», fino alle «contrade più profonde dei cieli»: terra e cielo – una contrapposizione significativa.
Quanto al luogo dove si trova il gorgo, leggiamo: «Davanti alle porte di Pohjola, sotto la soglia di Pohjola ricoperta di dolore, là i pini rotolano con le loro radici, i pini cadono a capofitto nella strozza del gorgo».
Nella tradizione tedesca troviamo poi quanto dice Adamo di Brema (sec. XI): «Alcuni nobili frisoni navigarono oltre la Norvegia fino ai più lontani limiti dell’Oceano Artico, entrarono in un’oscurità che gli occhi potevano a stento penetrare, sfiorarono un maelstrom che minacciò di trascinarli giù nel Caos, ma alla fine uscirono del tutto inaspettatamente dall’oscurità e dal freddo per approdare a un’isola che, circondata come da un muro di alte rupi, contiene caverne sotterranee dove si celano giganti. All’ingresso delle dimore sotterranee si trovava un gran numero di bacili e vasellame d’oro e di altri metalli che “sembrano rari e preziosi ai mortali”. Gli avventurieri presero con sé quanto più poterono di questi tesori e s’affrettarono alle loro navi; ma i giganti, rappresentati da grandi cani, si precipitarono a inseguirli. Uno dei frisoni venne raggiunto e dilaniato di fronte agli occhi degli altri. Gli altri, grazie a Nostro Signore e a san Willehad, riuscirono ad arrivare salvi a bordo delle loro navi».
Il testo latino usa il ben noto nome classico di Euripus. L’Euripo, già menzionato nel Fedone, è in realtà un canale tra l’Eubea e la terraferma, in cui le spinte contrastanti delle maree invertono il senso della corrente fino a sette volte al giorno, formando pericolosi mulinelli – anzi, più che di un vero gorgo, si tratta di onde stazionarie.
«E qui l’instabile Euripo dell’Oceano, che rifluisce alle origini della sua sorgente misteriosa, attirò con forza irresistibile gli infelici naviganti che ormai pensavano solo alla morte, verso il Caos. Questo si dice sia la gola dell’abisso, quella profondità sconosciuta ove si crede sia risucchiato e poi rivomitato il flusso e riflusso di tutto il mare, il che è causa delle maree».
Ciò riflette quella che era stata un’idea popolare nell’antichità.
Ma ecco una versione della stessa storia nel Nord America, riguardante l’avventura in canoa di due cherokee alle foci del Torrente del Risucchio.
Uno di loro fu ghermito da un pesce e trascinato giù fino al centro più profondo del gorgo, quando un altro cerchio lo afferrò e lo portò verso l’esterno. In seguito egli raccontò che quando giunse al cerchio più piccolo del maelstrom l’acqua sembrò aprirsi di sotto e lui poté guardare in basso come attraverso la trave del tetto di una casa; e là, sul fondo del fiume, aveva visto una grande schiera di persone che guardavano in su e gli facevano cenno di raggiungerle; ma come avevano levate le mani per ghermirlo, la corrente impetuosa lo aveva preso e sollevato lontano dalla loro portata».
Sembrerebbe quasi che siano i cherokee a preservare il ricordo più autentico, quando parlano di paesi stranieri abitati da una «grande schiera» – potrebbe trattarsi indifferentemente dei morti come di giganti coi loro cani – là dove nel «cerchio più piccolo del maelstrom l’acqua sembrò aprirsi di sotto».
Sarà interessante verificare se questa impressione sia giustificabile o no.
Snorri, che ci ha conservato il Canto del Grotti, non dà il nome del gorgo; d’altra parte, ve n’è uno solo disponibile, cioè lo Hvergelmir situato nella dimora dei morti di Hel, dal quale e al quale «si fanno strada tutte le acque».
Rydberg scrive: «La mitologia, a quanto pare, concepiva Hvergelmir come un enorme serbatoio, la fonte madre di tutte le acque del mondo. Vengono ricordati in prima fila diversi fiumi sotterranei che nascono da Hvergelmir, donde poi si fanno strada in varie direzioni. Ma le acque della terra e del cielo vengono anch’esse da questa immensa fonte, e dopo aver completato il loro giro vi fanno ritorno.
«Il mito di Hvergelmir e del suo collegamento sotterraneo con l’oceano fornì ai nostri antenati la spiegazione della bassa e dell’alta marea. Lassù, nei canali settentrionali, il fondo dell’oceano si apriva in una galleria cava che conduceva a “quello che fu ruggire il calderone”, “colui che rimbomba nel suo bacino” (hverr = “calderone”; galmr [anglosassone, gealm] = “ruggito, rimbombo”). Quando le acque dell’oceano si riversavano in questa galleria giù fino al pozzo di Ade, si aveva la bassa marea; quando questo, nella sua sovrabbondanza, riversava su l’acqua, si aveva l’alta marea.
«C’era quindi un legame (e forse assai più di uno) tra l’oceano e il regno della morte. Di coloro che morivano annegati, i più non rimanevano con Rán. Secondo le saghe islandesi medioevali, Rán, moglie di Ægir, li accoglieva con ospitalità. Ella aveva una sala in fondo al mare dove dava loro il benvenuto e offriva […] da sedersi e da dormire. Il suo regno era solo un’anticamera ai regni della morte».
Qui si trovano parecchi elementi del Fedone, che però ricompariranno di nuovo in Gilgameš. Non si vuole con ciò negare che Hvergelmir e altri gorghi spieghino le maree (forse sarà possibile scoprire che cosa significhino le maree al livello celeste). Ma è chiaro che il Maelstrom come causa delle maree non giustifica gli elementi circostanti, nemmeno quei pochi menzionati da Rydberg (ad esempio, la moglie del dio del mare Ægir che nella sua anticamera in fondo riceve cortesemente le anime dei naviganti annegati), e neppure il fatto che gli avventurieri frisoni risucchiati nel Maelstrom si ritrovino improvvisamente su un’isola luminosa piena d’oro, nelle cui caverne montane si celano giganti.
Quest’isola incomincia ad assomigliare assai a Ogigia I, dove Kronos-Saturno dorme in una caverna d’oro nella montagna, mentre la sala di ricevimento di Rán – suo marito Ægir era famoso come birraio e fu nella sua sala che Loki offese tutti gli altri dèi, come si narra nella Lokasenna – suggerisce piuttosto Ogigia II, l’isola detta ομφαλός θαλάσσης, «ombelico del mare», appartenente a Calipso, sorella di Prometeo e figlia di Atlante, «il quale conosceva la profondità del mare intero».
Calipso è stata paragonata da fonti autorevoli a Siduri, la divina ostessa che, nel racconto di Gilgameš, dimora presso le profondità del mare.
Il mito, nel senso di favola poetica vera e propria, è stato di grande aiuto, ma non può assisterci oltre. L’isola d’oro di Kronos, l’isola cinta d’alberi di Calipso non trovano collocazione geografica, nonostante gli sforzi degli omeristi […]
Quanto a Hvergelmir, «calderone rimbombante», si tratta sì dell’«ombelico delle acque», ma esso è certamente collocato «giù in basso», come la strana Bierstube di Ægir.
E quando si scopre che Utnapištim (il costruttore dell’Arca, al quale si arriva solo lungo la via che passa per l’osteria della divina Siduri e quindi anche, si direbbe, per la locanda del birraio Ægir) vive per sempre alla «confluenza dei fiumi», si può anche pensare che questo a Socrate, con la sua idea delle confluenze, sarebbe piaciuto assai, ma la questione non ne guadagna certo in chiarezza […]
Per la via che attraversa «l’ombelico delle acque» è passato Väinämöinen, e lo stesso vale per Kronos-Fetonte e per altri possenti personaggi che raggiunsero la Terra del Sonno dove il tempo si è fermato.
Anticipando le conclusioni, diremo che il significato di ciò sarà, alla radice, astronomico: possiamo pertanto mettere da parte le favole e chiamare nuovamente in aiuto la Scienza Regale.
Che vi sia un gorgo nel cielo è un fatto ben noto; con ogni probabilità, è proprio il gorgo essenziale, ed ha una collocazione precisa. Si tratta di un gruppo di stelle appunto così chiamate (ζάλος) situate ai piedi di Orione, vicino a Rigel (β Orionis; riğl in arabo significa «piede»), il cui grado veniva detto «morte», secondo Ermete Trismegisto; i maori poi affermano apertamente che Rigel segna la via dell’Ade (mentre Castore indica la patria primordiale).
L’astrologo Antioco annovera il vortice tra le stelle che sorgono assieme al Toro. Franz Boll, pur trovando molto da ridire sull’accettabilità di questa descrizione, conclude che lo ζάλος deve essere proprio l’Eridano «che scorre dal piede di Orione».
Ora l’Eridano, l’umida tomba di Fetonte – la mappa stellare dell’emisfero meridionale di Athanasius Kircher mostra ancora le spoglie mortali di Fetonte adagiate sulla corrente – veniva visto come un fiume stellato che conduceva all’altro mondo.
L’intelaiatura iniziale, questa volta tracciata nel cielo, continua a reggere. Ed eccone una conferma cruciale: il misterioso luogo pî nârâti, alla lettera «la bocca dei fiumi» – ma il suo significato è la «confluenza» dei fiumi – veniva tradizionalmente identificato dai babilonesi con Eridu.
Ma il sito archeologico di Eridu non si trova affatto vicino alla confluenza dei Due Fiumi della Mesopotamia. Si trova invece tra il Tigri e l’Eufrate, che sfociano nel Mar Rosso separatamente, ed è inoltre piuttosto a monte.
La spiegazione proposta, che ad allontanare Eridu dalla «foce» congiunta dei fiumi fosse stato l’estendersi del terreno alluvionale, non era di molto aiuto per capire il topos mitico pî nârâti, e qualche filologo, perplesso e disperato, arrivò a supporre che quelle stesse genti arcaiche che avevano costruito opere idriche tanto imponenti non avessero mai saputo la direzione in cui scorrono le acque e credessero invece che la sorgente dei due fiumi fosse nel Golfo Persico.
L’impasse venne risolta da W. F. Albright, che al posto di «foce» mise «sorgente», e in prossimità della «sorgente», tra i monti dell’Armenia, ci lasciò (tipica situazione mitica) in secca. E pur sottolineando, giustamente, che Eridu pî nârâti non poteva avere un significato geografico, l’esiliò senz’altro all’interno del pianeta.
La «sorgente» non è più rivelatrice di quanto non lo fosse la «foce», o di quanto non lo sia forzatamente ogni ubicazione geografica. Come ha stabilito inconfutabilmente B. L. van der Waerden, autorevole studioso contemporaneo della storia dell’astronomia, Eridu, il sumerico mulNUNki, è Canopo, α Carinae, la luminosa stella presso il Polo Sud.
Già in precedenza, del resto, s’era calcolato che doveva trattarsi di una qualche parte di Argo. Venne così finalmente dato un senso da un lato all’imponente configurazione di miti incentrati su Canopo, dall’altro alla preponderante importanza della «confluenza dei fiumi».