Gli Indiani Irochesi e Algonchini raccontano la storia di una ragazza, esposta alle imprese amorose di un visitatore notturno, che essa crede suo fratello. Tutto sembra denunciare il colpevole: aspetto fisico, abiti, guancia graffiata (che prova la virtù dell’eroina).
Formalmente accusato da costei, il fratello rivela di avere un sosia, o più esattamente un doppio: fra loro, infatti, il legame è così stretto che ogni evento capitato all’uno si trasmette automaticamente all’altro: vesti lacerate, ferita al viso, … per convincere la sorella incredula, dinanzi a lei, il giovane assassina il suo doppio; ma, nello stesso tempo, egli pronuncia il proprio decreto di morte, poiché i loro destini sono legati.
Allora, la madre della vittima vorrà vendicare il figlio; è una potente strega, signora dei gufi. C’è una sola maniera di sviarla: che la sorella si unisca al fratello, e che costui si faccia passare per il doppio da lui ucciso; l’incesto è così inconcepibile che la vecchia donna non potrà sospettare il raggiro. Ma i gufi non ci cascheranno, e denunceranno i colpevoli che peraltro riusciranno a fuggire.

In questo mito, l’ascoltatore occidentale ritrova senza fatica un tema che la leggenda di Edipo ha fissato: le precauzioni prese per evitare l’incesto lo rendono in realtà ineluttabile; in entrambi i casi, il colpo di scena consiste nell’identificazione di personaggi dapprima presentati come distinti.
È una semplice coincidenza – tale che cause diverse spieghino come, in entrambi i casi, gli stessi motivi vengano a trovarsi arbitrariamente riuniti – oppure l’analogia dipende da ragioni più profonde?
Effettuando l’accostamento, non abbiamo forse prodotto un frammento d’insieme significante?
Se dovessimo rispondere affermativamente, l’incesto del mito irochese, tra fratello e sorella, costituirebbe una permuta dell’incesto edipico tra madre e figlio. La congiuntura che rende il primo inevitabile – doppia personalità dell’eroe maschile – sarebbe una permuta della doppia identità di Edipo, ritenuto morto e tuttavia vivo, bambino condannato ed eroe trionfante.
Per completare la dimostrazione, bisognerebbe scoprire, nei miti americani, una trasformazione dell’episodio della sfinge, che costituisce il solo elemento della leggenda di Edipo ancora mancante.
Orbene, in questo caso particolare (che ci ha suggerito di sceglierlo a preferenza di altri), la prova sarebbe davvero cruciale: come Boas per primo ha rilevato, gli indovinelli, o gli enigmi, sono, assieme ai proverbi, un genere quasi interamente mancante fra gli indiani dell’America settentrionale.
Se si incontrassero enigmi nel campo semantico del mito americano, non sarebbe dunque casuale, ma la prova di una necessità.
In tutta l’America settentrionale, si trovano solo due situazioni «da enigmi», la cui origine sia incontestabilmente indigena: fra gli Indiani Pueblo delle regioni sud-occidentali degli Stati Uniti, esiste una famiglia di buffoni cerimoniali che pongono enigmi agli spettatori, e che i miti descrivono come nati da un commercio incestuoso; d’altra parte, ci si ricorda che la strega del mito precedentemente riassunto, e che minaccia la vita dell’eroe, è una padrona dei gufi: ora, proprio fra gli Algonchini, si conoscono miti in cui i gufi, talvolta l’antenato dei gufi, pongono, sotto pena di morte, enigmi all’eroe.
Anche in America, di conseguenza, gli enigmi presentano un duplice carattere edipico: per via dell’incesto, da un lato; d’altro lato, per via del gufo, nel quale siamo portati a vedere una sfinge americana, in forma trasposta.
Presso popoli separati dalla storia, dalla geografia, dalla lingua e dalla cultura, sembra dunque che esista la stessa correlazione tra l’enigma e l’incesto.
Per consentire il paragone, costruiamo un modello dell’enigma, che esprima nel modo migliore le sue proprietà costanti nelle diverse mitologie, e definiamolo, in tale prospettiva, come una domanda a cui si postula che non ci sia risposta.
Non considereremo qui tutte le trasformazioni possibili di questo enunciato, e ci accontenteremo, per fare l’esperimento, di rovesciarne i termini; eccone il risultato: una risposta per cui non ci sono domande.
In apparenza, si tratta di una formula completamente priva di senso. Eppure è evidente che esistono miti, o frammenti di miti, di cui questa struttura, simmetrica e inversa rispetto all’altra, costituisce la forza drammatica.
Mancherebbe il tempo per raccontare gli esempi americani. Mi limiterò dunque a evocare la morte del Buddha, resa inevitabile perché un discepolo omette di porre la domanda attesa e, più vicini a noi, i vecchi miti, rielaborati nel ciclo del Graal, in cui l’azione è sospesa alla timidezza dell’eroe nei confronti del vaso magico, di cui non osa chiedere «a che cosa serva».
Questi miti hanno un’esistenza indipendente, o bisogna considerarli a loro volta come una specie di un genere più vasto, di cui i miti, di tipo edipico, costituiscono solo un’altra specie?
Ripetendo il procedimento precedente, cercheremo se, e in quale misura, gli elementi caratteristici di un gruppo possano essere ricondotti a permute (che saranno, qui, inversioni) degli elementi caratteristici dell’altro gruppo.
Ed è proprio quel che avviene: da un eroe che abusa del commercio sessuale, tanto da spingerlo fino all’incesto, si passa a un casto, che se ne astiene; un personaggio sottile, che conosce tutte le risposte, fa posto a un innocente, che non sa nemmeno porre domande.
Nelle varianti americane di questo secondo tipo, e nel ciclo del Graal, il problema da risolvere è quello del «gaste pays», cioè dell’estate revocata; ebbene, tutti i miti americani del primo tipo, ossia del tipo «edipico», si riferiscono a un inverno eterno, che l’eroe revoca quando risolve gli enigmi, determinando così l’avvento dell’estate.
Semplificando molto, Parsifal appare dunque come un Edipo rovesciato: ipotesi che non avremmo osato considerare, se avessimo dovuto accostare una fonte greca a una fonte celtica, ma che si impone in un contesto nordamericano, in cui i due tipi sono presenti presso le stesse popolazioni.

Tuttavia non siamo arrivati al termine della dimostrazione.
Non appena si verifica che, all’interno di un sistema semantico, la castità ha, con «la risposta senza domanda», un rapporto omologo a quello che il commercio incestuoso ha con «la domanda senza risposta», dobbiamo anche ammettere che i due enunciati di forma sociobiologica sono, a loro volta, in un rapporto di omologia con i due enunciati di forma grammaticale.
Fra la soluzione dell’enigma e l’incesto, esiste una relazione, non esterna e di fatto, ma interna e di ragione, e proprio per questo civiltà tanto diverse tra loro come quelle dell’antichità classica e dell’America indigena, possono, indipendentemente, associarli.
Come l’enigma risolve, così l’incesto avvicina termini destinati a rimanere separati: il figlio si unisce alla madre, il fratello alla sorella, come fa la risposta che riesce, contro ogni previsione, a raggiungere la sua domanda.
Nella leggenda di Edipo, quindi, non è arbitrario che il matrimonio con Giocasta segua la vittoria sulla Sfinge. Oltre al fatto che i miti di tipo edipico (di cui diamo così una definizione precisa) assimilano sempre la scoperta dell’incesto alla soluzione di un enigma vivente, impersonato dall’eroe, su piani e in linguaggi differenti, i loro diversi episodi si ripetono; e forniscono la stessa dimostrazione che ritroviamo, nei vecchi miti del Graal, in forma rovesciata: l’audace unione di parole mascherate, o di consanguinei dissimulati a se stessi, genera l’imputridimento e la fermentazione, lo scatenarsi di forze naturali – si pensi alla peste tebana – come l’impotenza, in materia sessuale (come pure nell’annodare un dialogo proposto), estingue la fecondità animale e vegetale.
Alle due prospettive, che potrebbero entrambe sedurre la sua immaginazione, di un’estate o di un inverno eterni, ma che sarebbero, l’una licenziosa sino alla corruzione, l’altro puro sino alla sterilità, l’uomo deve risolversi a preferire l’equilibrio e la periodicità del ritmo stagionale.
Nell’ordine naturale, quest’ultimo risponde alla stessa funzione cui, sul piano sociale, soddisfa lo scambio delle donne nel matrimonio e lo scambio delle parole nella conversazione, purché l’uno e l’altra siano praticati con la franca intenzione di comunicare; cioè, senza astuzie né perversità e, soprattutto, senza secondi fini.
(Lévi-Strauss, Elogio dell’antropologia, in Razza e Storia e altri studi di antropologia)