Come molti termini psicologici che usiamo quotidianamente – anima, umano, emozione, spirito, coscienza, sentimento – istinto è più una metafora, anche se in vesti concettuali, che un concetto.
Forse è un’«idea» nel senso originario di questo termine, che rimandava a un «vedere»; sicché per mezzo di questa parola «istinto» possiamo vedere certi tipi di comportamento, sia guardandoli come osservatori che indagandoli, prendendone visione dall’interno, come partecipanti.
Si è versato molto inchiostro, e latte, sull’istinto; alcuni lo considerano una sorta di intelligenza primordiale che sa sulla vita più di quello che noi riusciremo mai ad apprendere; per altri è l’opposto dell’intelligenza, qualcosa di meccanico e di arcaico, privo di qualsiasi possibilità di trasformazione.
Ad esso è stato attribuito il meglio e il peggio della natura umana – e questo ci dà lo spunto per quello che sarà qui il nostro approccio.
Infatti, se Pan è il dio della natura «dentro di noi», allora egli è il nostro istinto. Inoltre, giacché tutti gli dèi partecipano della natura e hanno le loro mimesi nella natura umana, nei nostri modi di fantasia, di pensiero e di comportamento, evidentemente Pan non è tutto l’istinto, così come non è tutti gli dèi.
Quali aspetti dell’istinto egli sia, con quali aspetti della natura abbia affinità, lo si può discernere soltanto studiando la sua fenomenologia.
Una delle principali linee di pensiero sostiene che il comportamento istintuale è caratterizzato in misura preminente dalla coazione, da quella che è stata chiamata la «reazione del tutto o niente». Oltre i processi biologici primari – tropismi, ingestione ed eliminazione, riproduzione, sviluppo cellulare, divisione e morte, eccetera – la vita animale come comportamento si muove automaticamente tra i due poli dell’avvicinamento e della ritirata.
Nel corso dei secoli è stata continuamente avanzata l’idea di una fondamentale polarità del ritmo organico. Una sola e medesima idea archetipica circa il ritmo della vita naturale è presente in quelle coppie chiamate in tempi diversi e da diversi teorici: accessus/recessus, attrazione/repulsione, Lust/Unlust, diastole/sistole, introversione/estroversione, coazione/inibizione, fusione/separazione, tutto/nulla, ecc.
Sotto il dominio dei «meccanismi scatenanti innati» (come l’istinto viene ora spesso chiamato), i modelli di avvicinamento e ritirata diventano coatti, indifferenziati, irriflessi.
Le due opposte posizioni verso l’istinto – secondo cui esso è intelligente o non lo è – sono state combinate nella teoria di Jung.
Egli descrive due estremi del comportamento istintuale: nell’uno abbiamo un modello di comportamento coatto e arcaico; nell’altro le immagini archetipiche. Sicché l’istinto agisce e nello stesso tempo forma un’immagine della sua azione. Le immagini fanno scattare le azioni; le azioni sono modellate sulle immagini. Perciò ogni trasformazione delle immagini incide sui modelli di comportamento, talché ciò che facciamo nella nostra immaginazione possiede rilevanza istintuale. Agisce sul mondo, come ritenevano gli alchimisti, i mistici e i neoplatonici, ma non esattamente nel modo magico in cui essi credevano. Poiché le immagini appartengono allo stesso continuum dell’istinto (e non sono sublimazioni di quest’ultimo), le immagini archetipiche sono parti della natura, e non semplicemente delle fantasie soggettive «nella mente».
La figura di Pan rappresenta la coazione istintuale e nel contempo offre il mezzo mediante il quale la coazione può essere modificata attraverso l’immaginazione. Agendo sull’immaginazione, partecipiamo della natura «dentro di noi».
Il metodo di questa azione, tuttavia, non è così semplice come potrebbe sembrare, poiché non si tratta soltanto di un’attività della mente o della volontà consce, anche se queste vi hanno la loro parte. La modificazione del comportamento coatto richiede un’altra funzione psichica, che discuteremo più avanti in relazione agli amori di Pan. Per cominciare, osserviamo più da vicino la coazione.
Incontriamo la coazione in rapporto a Pan già nell’Inno orfico (Taylor), dove gli viene dato per due volte l’appellativo di «fanatico», e nell’Inno omerico (Chapman) leggiamo che egli si inerpica sempre più in alto e «non si arresta mai». La stessa esaltata coazione appare nel comportamento che gli è attribuito: panico, stupro – e incubo.
I poli di sessualità e panico, che possono passare repentinamente l’uno nell’altro o attivarsi a vicenda, rivelano gli estremi più crassamente coatti di attrazione e repulsione. In quest’ultimo caso fuggiamo ciecamente nel più grande scompiglio; nel primo, ci slanciamo altrettanto ciecamente sull’oggetto col quale vorremmo copulare.
Pan, come signore della natura «dentro di noi», governa le reazioni sessuali e di panico, ed è ubicato in questi estremi.
La sua auto-divisione è descritta dall’Inno omerico nelle sue due «regioni» – nevose e dirupate cime montane, e dolci vallate (e caverne) – e mitologicamente nel Pan fallico che insegue e nella ninfa in fuga nel panico.
Appartengono entrambe allo stesso modello archetipico e sono i suoi nuclei.
Questi due fuochi del comportamento di Pan, rappresentanti l’intrinseca ambivalenza dell’istinto, appaiono anche nella sua immagine, commentata già da Platone nel Cratilo, 408c, che è rozza, rustica, sporca di sotto, levigata e provvista di corna spirituali di sopra.
Pure, malgrado tutta la sua naturalità, Pan è un mostro. È una creatura che non esiste nel mondo naturale. La sua natura è completamente immaginale, e dobbiamo perciò intendere anche l’istinto come una forza immaginale e non concepirlo letteralmente alla maniera della scienza naturale o di una psicologia che fondi se stessa sulla scienza o su una meta-biologia.
Paradossalmente, le pulsioni più naturali sono non-naturali, e la più istintivamente concreta delle nostre esperienze è immaginale.
È come se l’esistenza umana, perfino al suo livello vitale di base, fosse una metafora. Se il comportamento psicologico è metaforico, allora per comprenderlo dobbiamo guardare a quelle che sono le metafore dominanti della psiche.
Ciò significa che occupandoci delle sue immagini archetipiche possiamo apprendere sulla psicologia dell’istinto altrettanto che mediante la ricerca fisiologica, animale e sperimentale.
(Hillman, Saggio su Pan)