… e molte altre cose ci sarebbero da dire, sul conto di Venere.
Andrebbero contate una per una tutte le parole che di Lei raccontano, e tutte le favole, mistiche e non, che narrano di Colei che fu la prima luce, la prima epifania della Luce, la prima impressione che si stampò sugli occhi di una memoria: l’Immagine.
E andrebbe a lungo meditato questo suo «imprimersi», questo suo «scriversi» insieme fuggitivo e indelebile sulla schiuma di quei sommovimenti che dal fondo dell’Ignoto della nostra mente la spingono, e la agitano, e la cogitano finché non la esibiscono in Superficie.

Ed eccola: è l’Evidente che galleggia sull’onda delle nostre prime luci, sulle frequenze delle nostre visioni infantili. È il Frutto, il primo frutto delle nostre tensioni più acerbe – di quei sommovimenti «criminali», di quelle oscure complicità emotive, di quelle sotterranee congiure ordite nei bassifondi della nostra mente … che finirono per «produrre» sui nostri occhi l’Immagine della loro propria Vista (la θέα della θεά, avrebbe detto un greco antico – ma di questo parleremo un’altra volta, se la Dea vuole).
Il crimine sotterraneo produce il «miracolo» di una Differenza, il crimine genera il corpo apparente di una Disgiunzione (alêthé) dalla catena delle «connessioni inconsce» (Lete).
Bellezza è questa Differenza che ci seduce, che ci strappa alla «catena» e ci porta via con sé: magari, eravamo stati mandati da Lei per punirla di chissà quale arroganza colpevole, ma poi, come a Cupido, anche a noi è successo di essere sedotti dal suo fascino.
Bellezza ci chiama dalla Superficie del Mondo. A uno a uno ci chiama a seguirla nel mondo delle sue apparizioni. Bellezza a uno a uno ci fa emergere dagli abissi del mistero del nostro essere.
In quegli anni chissà quante guerre furono combattute, quanti conflitti e quante tensioni scossero quella nostra antica Casa in fondo al mare!
È laggiù che fu nascosta e criptata la chiave del Segreto di Bellezza.
Perciò, in giro per il Racconto, non troverai eroe o vagabondo che non si sia votato al servizio di un Re Pescatore.
Il Racconto è lungo, e forse non faremo in tempo a ricostruirne che qualche frammento. Ma se è per andare appresso a Bellezza, ne vale lo stesso la pena. Che dici? Non ne va del nostro stesso essere? non è il nostro proprio essere la posta in gioco? O ci stiamo giocando solo la nostra Immagine? E noi, siamo altra cosa dall’Immagine che ci ha messi al mondo immaginale? Non fu tra Lei e noi che ci nacque la «voluttà»? Non fummo noi la prima indivisibile coppia «io-tu»? noi i Superficiali che la seguimmo fino a perdita d’occhio? noi i suoi soli Testimoni?
Non abbiamo di noi che quell’Immagine. Da quando «sopra la distesa marina», non distante da Montevideo, Bellezza nella luce elettrica della sera Magnifica ne apparve e Generosa di doni, di promesse e giuramenti, ci venne a toccare i nervi – fu stupore, miraggio o non so cosa – da allora non facciamo altro che macchinare i suoi fantasmi. E altro non fantastichiamo che fantasie con cui poterla ancora testimoniare.
Come Paride, non abbiamo da fare altro che testimoniare che Venere è la più bella. E che – dacché ci apparve – dinanzi a noi altra via non vedemmo che quella aperta dalla sua Immagine.
Ma era la sua o la nostra, quell’Immagine?
Chi «immaginò» chi tra noi due?

A ogni parola del Racconto, come vedi, chi va appresso a Bellezza inciampa in mille domande, e in altrettante distrazioni.
Ma non può che essere così – perché Bellezza è Bellezza, e Venere è Venere perché distrae dalla «retta via» le emozioni che suscita, le sbanda, le depista, le confonde. Tutti gli organi del corpo la desiderano, ma solo gli occhi la vedono e, per quanto la rincorrano, non trovano soddisfazione. Gli occhi si agitano, e gli altri organi la desiderano ancora di più.
Bellezza è la via di fuga. Solo di là si esce al «mondo umano». Solo dalla ferita aperta nel corpo di Urano, solo da quella fessura, ahimé, cruenta. Solo da questa «bassezza», da questo humus sporco di sangue, l’Umano viene allo scoperto.
Il Racconto antico insiste a ripetere che questa «scoperta», di cui esso è solo il messaggero, è a ciascuno che la scopre il suo «crimine originario», insieme il suo malocchio e tutta la sua fortuna.
Nessuno scopre altro che l’«anello maledetto» della catena da cui Bellezza lo scatena. Su quell’anello incombe, da sempre, una maledizione. Quell’anello, chiunque se lo metta al dito, finisce che gli porta male. Lo porta nel Paese del male. Lo porta nell’inferno delle vendette.
Perché l’abbiamo detto: Venere è vendicativa. Ogni volta, insieme si vende e si vendica – si offre e si distrugge nel gesto di donarsi sempre a un altro.
Venere è l’Altro Seducente. Che ti seduce a diventare quell’altro a cui Lei, l’Altra, promette e giura che un giorno lo «sposerà».
Bellezza è il «divenire sempre un’altra» di Madre Natura, ogni volta divenire «la più bella», sempre in procinto di donarsi a un altro suo vendicatore.
Venere vuole vendicarsi di Psiche, e Psiche a sua volta vorrà vendicarsi delle sorelle. Ma questo è solo un «segmento», e per giunto storto, della sequenza infinita di Nemesi (non a caso, un altro appellativo che i Greci davano alla dea Physis):
… Physis : Venere :: Venere : Psiche :: Psiche : sorelle …
Le vendette … non finiranno mai. Bellezza sarà sempre colpevole d’essere ancora più bella della precedente. E sempre nascerà da una morte, e sempre a una morte condurrà per rinascere a un’altra vita.
Bellezza ci chiama alla «vita breve», ci chiama alle suggestioni di un istante, alle intuizioni effimere, alle illuminazioni fulminee: per metterci il mondo sottosopra, a Bellezza basta l’apparizione di un momento.
Quel solo momento a Bellezza basta per mettere in scena tutta la «crudeltà» della sua breve vita: Bellezza è «perseguitata», c’è sempre qualcuno che la rincorre per punirla, diciamo così, a norma di Legge.
Bellezza è tutta la crudeltà della Natura concentrata in un’istantanea. È tutta la Potenza Venefica con cui la Natura folgora in un battito di ciglia gli occhi di chi la incontra.
Gli occhi però non incontrano la Luce, ma Bellezza che ne è il Velo. Gli occhi non vedono l’Immaginatrice, ma solo una sua Immagine. Non affondano lo sguardo nella Casa in fondo al mare, ma nell’Immagine che ne viene a galla.
A ogni apparizione è dunque la dea Luce a essere oscurata, è la dea Physis a eclissarsi dietro il Fantasma che produce negli occhi a cui si svela.
Bellezza eternamente ripete lo scandalo: è Lei che «partorisce» tutte le nostre immaginazioni, ma quando ne riproduce «la più bella», in lei si trova insieme a essere lodata e rinnegata.
Da questo circolo non si esce. Perciò possiamo pure noi, come i Magi di Eliot, domandarci se, una volta partiti alla ricerca di Bellezza, è a una Nascita o a una Morte che ci siamo incamminati. Neanche noi avremo una risposta.
Siamo noi semmai che dobbiamo rispondere: siamo noi responsabili della Nascita e della Morte del nostro Teatro immaginario.
È a forza di morire, e di rinascere – finché uno ce la fa a rinascere dalle sue ceneri – è morte dopo morte, che dobbiamo rispondere delle metamorfosi immaginali per cui non cessa di passare la luce di Nostra Madre Natura.
Passa, come a volersi disfare di un peso. Passa attraverso la morte per nascere di nuovo alla sua leggerezza.
A volte muore e rinasce col ricordo dell’Immagine precedente. In questo caso vuol dire che non era una morte, ma solo uno svenimento.
Morire e poi «svegliarsi con altri organi che bisogna prima di tutto rieducare, è quello che chiamiamo nascere» (Artaud, Van Gogh il suicidato della società): svenire e nascere all’Immaginazione.
Rinascere è possibile solo a organi che abbiano disimparato le loro sapienze, solo a «verginità analfabetiche» sopravvissute, come graffiti, nella caverna della nostra infanzia, e là (prodigiosamente) tenute al riparo dalle «parole» che pure ci abbiamo sovrascritto.
Ma di tutte le potenze divine di Madre Natura solo Venere può restituirci a quegli organi e alla loro lingua naturale.
Perciò, se pure molte altre cose restano da dire di Venere, noi vorremmo mille volte scordarcele, mille volte lasciarle rimuovere da una sua sola apparizione.