La grande importanza rituale delle mani e delle braccia (macerazione della carne, salasso) è certamente da attribuirsi al fatto che essi furono considerati come un analogo cosmico, alquanto più basso, delle ali.
Mentre nel braccio si manifesta la forza fisica, le ali sono l’organo di un agire spirituale che, pur meno forte della potenza spontanea del suono, sorpassa tuttavia ampiamente la forza esclusivamente corporea.
Le mani e il braccio sono unicamente il deposito di una forza canora quasi morta perché trasformata in materia.
Occorre tuttavia tener conto del fatto che anche le braccia, essendo originariamente la parte superiore del torace, possono ancora simboleggiare una parte dell’uccello immateriale Âtman, dalla cui cassa toracica (sede della voce) uscì il primo respiro.
È altrettanto importante il fatto che, sia negli antichi miti della creazione, sia per esempio in Ezechiele, 1: 24, le ali siano spesso messe in relazione con la voce tonante di Dio. In una miniatura di una Bibbia di Liegi (1160 circa), in cui è rappresentata la visione di Ezechiele, Cristo è figurato in forma di aquila. In basso siede il profeta il quale, dopo aver visto la divinità, tiene in grembo un’aquila. Sotto è scritto: In p(rincipio) e(rat) v(erbum).
Premesso che l’idea di âtman non coincide col contenuto giudeo-cristiano dell’idea di Dio, la parola verbum allude a un evento primordiale sonoro che si manifesta in Cristo considerato come uccello.
L’affinità formale delle espressioni si rivela ancora nella concezione del tetramorfo che riunisce i quattro esseri in un’unica figura (quattuor facies in una). Si deve pensare che quelle quattro teste (tre animali e un uomo) siano l’equivalente dei tre mâtras e mezzo della sillaba AUMm, che nel canto del prefazio della liturgia romana sono espressi con la sequenza di tono-tono-tono-semitono?
W. Neuss ha dimostrato che le descrizioni orientali dei sei (invece che quattro) cherubini volanti che fanno da ruote al carro divino (Evangeliario Rabula) sono un’eco del libro di Ezechiele.
Se ciò è vero, entra in campo un’altra corrispondenza indiana. Anche la Maitâyana Upanisad, 7: 1-7, parla di una sestuplice diffusione dei «raggi» di Âtman e in 6: 28 si dice: «Colui che fa la traversata sulla nave AUMm … a poco a poco … raggiungerà il vestibolo del brâhman, romperà l’involucro del brâhman fatto di quattro reti … e infine poserà sulla propria grandezza puro, purificato, sciolto, riposato, liberato dal prâna e dall’âtman, infinito, imperituro, immutabile, eterno, non nato e libero. E mentre si vede fondato sulla propria grandezza, guarda alla ruota del samsâra come a una ruota che vi gira (ritorno ad Âtman)».
La Kausîtaki Upanisad, 1: 5, dice: «Alla pari di chi, viaggiando velocemente su un carro, guarda giù verso le ruote del carro stesso, egli guarda in basso il giorno e la notte, le opere buone e cattive e tutte le contraddizioni. Egli però è libero … ed entra nel brâhman».
Anche in Ezechiele, 1, 12: 20-21: «nelle ruote c’era lo stesso spirito degli esseri» ( = animali) e «andavano là dove lo spirito li sospingeva».
Lo stesso Ezechiele, 1: 22, parla ancora di una zona cristallina che si stende sui quattro cherubini volanti «simile alla volta celeste». (Anche Esodo, 24: 10, menziona un pavimento di lapislazzuli che sta sotto i piedi di Dio).
Secondo varie Upanisad, le ali dell’uccello AUMm sono rosse in A, nere in U e marrone in M. In m diventano invece multicolori come la luce solare che è rifratta da un cristallo di rocca ( = quarzo limpidissimo). Altrove il cristallo è anche definito materia del trono divino o strada di latte o escremento divino.
Ci troviamo qui di fronte all’antica concezione dello svolgimento della creazione, secondo cui dall’aria (respiro sonoro) si condensa un’umidità (nebbia) e infine l’acqua, da cui si formano i cristalli.
Per la filosofia medica tibetana tutti i cristalli leggeri, galleggianti e ricettori di luce, rappresentano la forma primordiale delle sostanze cornee, ossee e pietrose. Anche i pianeti vaganti (musica delle sfere) sono considerati cristalli, e le penne degli uccelli corrispondono forse ai cristalli volanti che riflettono la luce dell’atmosfera (mondo intermedio).
È addirittura probabile che la schiuma del mare, da cui nacquero i piedi di Taikomol, sia da considerarsi la forma primitiva del sale marino luccicante.
Dal punto di vista della storia della creazione la Atharva Veda Šiva Upanisad 6 colloca la schiuma direttamente prima dell’uovo della creazione: «Quando Rudra (Visnu) sta attorcigliato come un serpente, le creature vi sono attirate dentro. Se espira, nascono le tenebre e dalle tenebre l’acqua. Se col dito rimesta nell’acqua, ciò che è rimestato diventa freddo nel freddo e … schiuma. Dalla schiuma nasce l’uovo e dall’uovo il brâhman …».
Come lo zaffiro e il cristallo di rocca formano i confini sonori fra Dio e il mondo, così sembra che le ali cristalline spuntino direttamente dalle acque primordiali mormoranti.
Presso gli Aztechi il segno con cui è comunemente rappresentata l’acqua è un fiume blu che sgorga dal guscio di una chiocciola, oppure un recipiente traboccante d’acqua. Nell’acqua galleggia un occhio (fuoco), mentre nel flusso che trabocca si ravvisa il ciuffo piumato di un uccello.
Poiché il suono è la natura e il cibo degli dèi, l’azione acustica costituisce il centro del culto. Ammessa poi la necessità di rappresentare con simboli la forza del sacrificio sonoro, è ovvio che anche la forma degli strumenti cultuali, l’atteggiamento del corpo e le vesti dei cantori debbano adattarsi alla figura di un uccello.
I sacerdoti vedici, i quali imitavano realisticamente il grido degli animali rituali, davano forma di uccello allo stesso altare.
Si è accennato spesso al vestito a foggia di uccello degli sciamani siberiani e agli energici movimenti delle braccia e delle spalle dei danzatori cinesi nelle feste di primavera.
Il movimento a danza di questi «uccelli» imita quegli esseri alati che devono evitare il più possibile di toccare la superficie terrestre perché, secondo la natura del suono sacrificale, si librano normalmente fra il cielo e la terra (atmosfera).
Si dovrebbe inoltre studiare fino a che punto la forma Y del palo sacrificale megalitico derivi da un atteggiamento rituale dei cantori (braccia levate), atteggiamento a sua volta espresso con le corna di un toro o con le zampe anteriori della «mantide religiosa».
Tutti questi danzatori non sono che riproduzioni del canto sacrificale. Questa è l’unica interpretazione che può essere data dello sciamano che «cavalca» o «vola» sulla sua oca o sul suo tamburo. Non è la sua persona fisica, bensì la sua sostanza acustica che attraversa la «porta dell’uccello» (Chuk Chen) o la «fessura» (della voce = glottide), che congiungono il cielo e la terra.
Il fatto che gli strumenti musicali siano spesso ornati di piume è dovuto probabilmente, nella maggior parte dei casi, alla volontà di trattenere e accumulare in qualche modo la forza del suono immateriale e troppo fugace.
Anche la forma a uccello dell’impugnatura del tamburo dei camani [Angola] potrebbe essere interpretata come la parte concreta e ancora afferrabile del processo acustico.
Parlando dell’inafferrabilità della realtà ultima, la Brhadâranyaka Upanisad, 2: 4, 7, afferma comunque: «Avviene come quanto un tamburo è sfiorato. Dal di fuori non è possibile afferrare i suoni. Se però uno afferra il tamburo o anche la sola bacchetta, ecco che afferra (anche) il suono».
Considerando nel suo insieme la fase della creazione in cui gli uccelli svolgono un’azione specifica, si constata che il loro compito principale consiste nell’evocare la luce col canto. Dopo che il grido cupo della civetta (morte) ha rotto il silenzio della notte della creazione, gli uccelli canori si levano e richiamano l’alba col loro canto.
Un tuono sommesso attraversa il crepuscolo. L’aquila frulla attraverso l’aria, grida il suo lampo e Indra, il toro alato del tuono, fa prorompere lo schianto che trasferisce il mondo profondamente addormentato nel sogno dell’aurora. Essi espugnano la rocca delle nubi e le vacche rosse si affacciano alla caverna. Subito dopo aver svegliato gli uomini col loro settemplice muggito, le vacche perdono le ali. Termina così la loro mansione e ha inizio l’epoca dei mammiferi.
Dobbiamo pertanto concludere che le ali rappresentano un tenue campo di concentrazione psichica in cui il tempo primitivo e il tempo del sogno si intrecciano. Sono la prima immagine percepibile dell’invisibile sonoro, il vestito degli esseri viventi vicini al cielo, il velo dell’incantesimo dietro cui Maya sta in agguato.
Sono l’inno, l’energia vergine e soccorritrice del sacrificio, la contemplazione e il manto protettore dell’anima alla pari della sillaba AUMm, con la sola differenza che non penetrano nel mondo del canto eterno con la profondità di quella.
(Schneider, Il significato della musica)