Nella sua ricerca sulla natura del Tricefalo indoiranico, cercando di ricostruire lo schema ancestrale del rito di iniziazione del guerriero, schema di cui in India si sarebbe «appropriato» Indra in quanto «uccisore di Vrtra», Dumézil (Le sorti del guerriero) notò la presenza nel rituale dei Pellerossa della Bella Coola, dei Kwakiutl (Columbia britannica, Vancouver) e delle popolazioni rivierasche del Thompson River, di un mostro a tre teste, chiamato Sisiutl o Senotlke.
I racconti ne parlano come di un serpente bicefalo; nei riti, stando al materiale raccolto sul campo da Boas, compare invece ora nella forma di un manichino bicefalo o tricefalo, ora invece come una maschera, nel qual caso è sempre a tre teste.
Sisiutl è il leggendario serpente con due teste, che ha una testa ad ogni estremità più una testa umana al centro; le due teste alle estremità hanno ciascuna un corno, la testa umana ne ha due. Esso ha il potere di assumere la forma di un pesce.
Mangiarlo, e anche vederlo o toccarlo significa morte sicura poiché tutte le articolazioni dello sventurato si slogano, la testa ruota all’indietro.
Ma a colui che gode di un aiuto soprannaturale, esso può conferire potenza; il suo sangue, quando tocca la pelle, la rende dura come pietra; la sua pelle avvolta alla cintola infonde in chi la porta la capacità di compiere azioni prodigiose e può diventare una canoa che è spinta dalle pinne stesse del Sisiutl; i suoi occhi, usati come pietre da lancio, uccidono anche le balene; è essenzialmente il soccorritore dei guerrieri (F. Boas).
In un mito squamish si racconta di un giovane che, avendo dato per quattro anni la caccia al mostro Senotlke, infine l’uccise, ma subito dopo morì a sua volta, per poi ritornare nuovamente in vita e, rientrato tra la sua gente, assumervi il ruolo e il prestigio di un grande sciamano col potere di uccidere e di risuscitare chiunque osasse guardarlo.
Sempre Boas, a proposito della danza Toq’uit, racconta che i guerrieri, prima di partire per una spedizione, andavano nella foresta incontro al serpente a due teste, Sisiutl, poi al ritorno sceglievano una donna per la danza Toq’uit. In un fosso, coperto da tavole di legno veniva nascosto un serpente con due teste di circa sei metri, fatto di legno, coperte e pelli. Al serpente venivano legate delle corde che si infilavano sulle travi della casa ed erano manovrate da uomini che si nascondevano nelle camere da letto.
Come del resto conferma la letteratura etnologica del Nord America, il serpente si rivela «un essere ambivalente, talvolta protettore benevolo, più spesso avversario demoniaco, che ha molti usi e destinazioni, in particolare nelle ricette di medicina magica e nei miti di liberazione delle acque, ma che interviene soprattutto nelle iniziazioni, in quelle di stregone o di capo, come pure in quelle di cacciatore o di guerriero, sia che all’eroe capiti semplicemente di incontrarlo, sia invece che debba combatterlo e riportarne le spoglie» (Dumézil).
Ora dunque è un viandante qualsiasi che – non volendo – s’imbatte nel drago, ora invece è il guerriero impavido che osa affrontarlo faccia a faccia: per i Bella Coola il Sisiutl è l’epifania in sembianze di serpente della Grande Signora detta «Guerriero».
Pensa e ripensa bene: non è qui all’opera, in tutta la sua «mostruosità», un ermafroditismo?
Maschio e Femmina, chiuso e/o aperto: fa lo stesso!
Indifferentemente sessuato, il Sisiutl è aperto a «copulare» con chiunque l’incontri (il che ne fa un’autentica «prostituta»), ma è insieme chiuso nel nome che porta, al servizio del suo zikru – avrebbero detto i Sumeri.
È Femmina, in quanto Tavoletta di Smeraldo su cui si scrivono tutte le immaginazioni del Guerriero, Superficie in cui si specchiano tutte le sue brame, ossia tutti i malocchi dello Stregone [del Predatore «onnivoro»] di turno.
È Maschio però nel nome con cui ha fatto la guerra. Il nome che durante la guerra nominava. Faceva la guerra nel nome di Lei, e perciò – adesso che la guerra è finita – è Lui, il Maschio che l’ha «penetrata» con la lama della sua «maledizione».
È Lui che ha scritto sulla Tavoletta o sullo specchio le prime «lettere» dell’alfabeto, i primi scarabocchi immaginari.
E ora, ora che la guerra è finita, può creare finalmente un mondo.
La guerra, l’ha vinta se ha aperto una breccia, se ha dato profondità alla Superficie. Le ha dato così una «terza» dimensione: alle immagini ha dato un «volume». Il volume del Simbolo.
Nel vortice della danza Toq’uit – al centro dell’accampamento notturno – il guerriero eccitato dal suo immaginario animale, che fa? parte, a sentire lui, fumato com’è, deve partire! dice che vuole andare a vedere la «mostruosità» del drago! Vuole andare a vederla da vicino! Lo dice senza rendersi conto del rischio che corre. Lo dice senza capire che farebbe meglio a continuare a danzarla, senza farsi tutti questi debiti con la bocca.
Qualcuno tra i pellerossa del Thompson River deve avergli detto che la lotta con Senotlke rende immortale il guerriero che la sostiene. E che, se pure, nello scontro, morirà – non sarà stato che per risorgere.
E tuttavia, poiché è incontro alla «mostruosità» della sua propria morte che egli va, farebbe meglio ad andarci piano – continuando a danzare. Senza tante chiacchiere.
Che cosa strana! Di questo drago o serpente si dice indifferentemente che da lui procedono il bene e il male, la luce e la tenebra. E chi dice che è un diavolo, ha ragione a dirlo – ma ha ancora più ragione chi dice che è il Simbolo «in persona», la Personificazione dell’Angelo dell’umanità.
La mostruosità dell’Uomo – ecco cosa danzavano i pellerossa una volta. Danzavano l’iniziazione al «triplice sguardo» dell’Uomo, l’iniziazione ai «tre richiami» da cui l’Uomo si sente rivolgere la parola.
Un mostro a tre teste: della serie «animale, animale, uomo». Dai due serpenti che s’avvolgono intorno al nostro «caduceo» spinale, o da un serpente bicefalo – in ogni caso, da una «duplice» eredità animale, nasce l’Uomo in ciascuno di noi.
Non è ancora «uomo», non si è spogliato del tutto del suo antico habitus animale, talvolta è ancora peloso, sempre e comunque viene al mondo che è «selvatico», e ogni volta bisogna che il Sisiutl ne attesti, punto e a capo, l’«umanità».
È solo quando spunta l’Uomo, solo quando nel linguaggio immaginario si fa largo il Simbolo, solo quando il Guerriero affonda nelle profondità di una magia linguistica – solo allora compare la «terza» testa.
E non è detto che basti a garantire in eterno la sua «umanità».
Non si è umani che per il tempo e le circostanze in cui si affronta faccia a faccia il «mostruoso» che è ancora all’opera dentro di noi.
Il «mostruoso» non è mai vinto definitivamente, il Lupo può spezzare da un momento all’altro le catene. E il Guerriero «ricadere» nel bestiale, nel disumano.
La Guerra ci ricorda che siamo bestie!
C’è poco da discutere.
Ai Troiani è il caso di ricordare che è Lei, Elena, il Guerriero? Che fu la sua Bellezza a «prostituirli»? a investirli del «malocchio»?
È il caso di ricordare che Amore è cieco, a chi fu già tanto cieco da far entrare Elena nelle mura della sua Città Quadrata?
Bellezza e Amore, Malocchio e Maledizione, perversione di sguardi e distorsione d’echi – sono le due teste del Serpente.
La terza è quella dell’Uomo che lo vince, e solo per il tempo che lo vince.
Un altro esempio possiamo andare a raccoglierlo in Iran – tanto per dire quanto dev’essere stata «antica» la messinscena del mostro Tricefalo, se la ritroviamo, a frammenti, sparsa un po’ ovunque!
Il nome del «mostro» nell’epica iranica è Dahâk. Di lui si narra che in principio era un uomo come gli altri, ma poi un giorno gli spuntarono due teste di serpente, una per ogni spalla: la raffigurazione è troppo simile a quella del manichino del mostro Sisiutl per pensare a una vaga coincidenza!
Triplice è il drago: la sua «mostruosità» va e viene, una volta, due volte, tante volte, e ci rimane sempre volatile. Non c’è verso di «fissarla» in non so quale alchimia.
È la nostra stessa «mostruosità» che ci ritorna – dall’occhio e dall’orecchio ci torna la nostalgia di Narciso confusa con l’Eco di quella tale ninnananna, un cui «sussurro» ci toccò i nervi.
Chi ha «visto» Sisiutl, racconta che il suo volto è una ricca maschera, il suo corpo un’imponente macchina di legno.
Ma non gli basta raccontarlo. Ne è rimasto così impressionato che vuole a ogni costo mostrarlo agli altri, il Drago. Perciò, raccolte in un covone le ultime spighe del raccolto, se ne fabbrica un fantoccio.
Dice che è l’idolo della sua vita.
E che lui è venuto a viverla e morire perché l’idolo fosse immortale.
C’è poco da ridere. È a tutti noi che succede così. Solo quando e solo per il tempo che siamo umani.
Così disse Platone: eternamente umano è solo il mondo delle idee.